I muscoli scheletrici sono composti dall’insieme di milioni di cellule muscolari che prendono il nome di fibre; esse si riuniscono in fasci dando origine al ventre muscolare (cioè la parte carnosa del muscolo) e sono tenute insieme da sottili strati di tessuto connettivo che, fondendosi insieme, portano alla formazione dei tendini, cioè delle “corde” attraverso le quali il muscolo si attacca all’osso. Ogni muscolo del nostro corpo possiede almeno due tendini: per convenzione si chiama origine il tendine prossimale, cioè più vicino al centro del corpo, mentre si identifica con il mome di inserzione il tendine distale, cioè quello con cui il muscolo finisce. I muscoli che hanno due diversi tendini d’origine sono detti bicipiti; quelli che ne hanno tre sono detti tricipiti, fino ad arrivare al muscolo quadricipite che presenta quattro differenti origini.
La caratteristica principale del tessuto muscolare è la contrattilità cioè l’abilità di modificare la sua lunghezza in risposta ad una stimolazione nervosa: la teoria più accreditata per spiegare il meccanismo della contrazione muscolare è conosciuta col nome di “teoria dello scivolamento dei filamenti” (Huxley, 1969) e dimostra come, durante la contrazione muscolare, i filamenti contenuti nel citoplasma delle fibre muscolari siano in grado di scivolare gli uni rispetto agli altri, modificando la lunghezza della cellula e, di conseguenza, quella dell’intero muscolo. Per comprendere meglio il meccanismo di azione dei nostri muscoli bisogna capire che, sempre in riferimento alla teoria dello scorrimento reciproco dei miofilamenti, “i muscoli sanno solo tirare ma non sanno spingere” (Clippinger, 2007) ovvero, siccome i filamenti scivolano gli uni sugli altri, una estremità del muscolo può soltanto avvicinarsi all’altra, ma non può allontanarsene attivamente. Ciò vuol dire che un muscolo fa muovere l’articolazione su cui agisce soltanto in un senso; per compiere il movimento opposto sarà necessaria la contrazione di un altro muscolo.
Quando un muscolo si contrae, comunque, non dovrebbe accorciarsi come se fosse un organetto: nei movimenti più comuni degli arti, ad esempio, l’origine del muscolo resta fissa mentre l’inserzione si avvicina al centro del corpo provocando il movimento del segmento scheletrico cui è attaccata (esempi: la flessione del gomito legata alla contrazione del muscolo bicipite brachiale, oppure la flessione del ginocchio legata alla contrazione dei muscoli ischio-crurali). Per ottenere un movimento biomeccanicamente valido è importante che il segmento scheletrico su cui si trova l’origine del muscolo sia stabile, ovvero che il muscolo prenda correttamente “punto fisso” su uno dei dei capi articolari per permettere all’altro di muoversi liberamente. E’ ovvio, tuttavia, che i muscoli si possono muovere anche nella direzione opposta: in questo caso il punto fisso diverrà l’inserzione del muscolo e il movimemento avverrà a carco del segmento scheletrico prossimale.
Partendo da queste osservazioni possiamo imparare a riconoscere i diversi tipi di contrazione muscolare:
- Sono contrazioni dinamiche (o contrazioni isotoniche) tutte quelle in cui si modifica la lunghezza del muscolo e si ottiene un movimento visibile dell’articolazione su cui il muscolo agisce; le contrazioni dinamiche si suddividono ulteriormente in due grandi categorie: si definiscono contrazioni concentriche quelle in cui la lunghezza del muscolo diminuisce e lo scheletro si muove lungo la linea di trazione del muscolo stesso, mentre si chiamano contrazioni eccentriche quelle in cui il movimento articolare è accompagnato da un allungamento del muscolo in questione. In realtà, in questo ultimo caso, non si assiste ad un reale allungamento del muscolo rispetto alla sua posizione di riposo ma ad una graduale distensione del muscolo partendo da una posizione di accorciamento, che ci consente di controllare gli effetti della forza di gravità e di assorbire gli effetti del carico.
- Sono invece definite contrazioni statiche ( o contrazioni isometriche) quelle in cui la lunghezza del muscolo non cambia e non si evidenzia alcun movimento articolare: noi usiamo questo tipo di contrazione per il mantenimento della postura e delle diverse posizioni dei singoli segmenti scheletrici.
Nella pratica della danza vengono costantemente utilizzati tutti e tre i tipi di contrazione: durante l’esecuzione del demi plié, ad esempio, il muscolo quadricipite lavora eccentricamente nella fase di discesa del plié (per contrastare la forza di gravità impedendo l’eccessiva flessione del ginocchio), mantiene la profondità del plié grazie ad una contrazione isometrica ed infine si contrae concentricamente nella fase di risalita (per estendere le ginocchia).
Parlando di contrazione muscolare è anche utile comprendere che un muscolo costantemente contratto diventa, a lungo andare, biomeccanicamente meno efficiente: tenendo sempre presente che la contrazione muscolare avviene grazie ad un scivolamento dei miofilamenti gli uni rispetto agli altri, quando il muscolo non viene mai rilassato, si raggiunge un punto oltre il quale i filamenti non possono più sovrapporsi. I nostri muscoli lavorano correttamente soltanto se le contrazioni si alternano a situazioni di ritorno alla lunghezza di partenza e, soprattutto, soltanto se il grado di contrazione cui il muscolo è sottoposto, è quello strettamente necessario ad ottenere il movimento e/o il mantenimento della posizione: una eccessiva contrazione dei muscoli glutei durante il plié, ad esempio, lungi dall’essere biomeccanicamente utile, modifica il corretto assetto del bacino e blocca l’articolazione dell’anca limitando la profondità del movimento.
Questa idea di “alternanza” nel lavoro muscolare diventa ancora più chiara se prendiamo in considerazione la classificazione funzionale delle azioni muscolari.
- Il muscolo agonista è quello che si contrae concentricamente per ottenere un determinato movimento articolare; se più muscoli agonisti si contraggono contemporaneamente si definiscono sinergici;
- Il muscolo antagonista è quello che fa compiere il movimento opposto a quello desiderato e che si rilassa, o più spesso si contrae eccentricamente, durante il movimento stesso;
- Il muscolo stabilizzatore è quello che si contrae isometricamente per mantenere stabile la parte del corpo verso la quale avviene il movimento.
Se vogliamo applicare questa classificazione funzionale ad un movimento di danza possiamo pensare che, per estendere l’anca, cioè per portare l’arto inferiore in dietro, i muscoli posteriori della coscia (o muscoli ischio-crurali) sono gli agonisti, il muscolo retto femorale (parte del quadricipite) è l’antagonista, mentre il retto addominale è lo stabilizzatore del bacino.
Se ogni danzatore imparasse a conoscere la disposizione dei principali gruppi muscolari rispetto al proprio scheletro e riuscisse a memorizzarne, anche genericamente, le origini e le inserzioni, avrebbe un’idea molto più precisa e dettagliata del movimento che lo aiuterebbe nella corretta esecuzione di qualsiasi passo di danza, senza sforzo e senza dispendi eccessivi di energia. La capacità di visualizzare mentalmente il decorso di un muscolo rispetto all’articolazione su cui agisce ci permette, infatti, di dedurne la linea di trazione e, di conseguenza, la sua azione principale: se l’inserzione del muscolo ileo-psoas è anteriore rispetto all’articolazione dell’anca, tale muscolo non potrà essere altro che un flessore dell’anca stessa; il muscolo medio gluteo, invece, il cui tendine d’inserzione di trova lateralmente alla testa del femore, sarà inevitabilmente il principale abduttore dell’anca. Studiando l’anatomia e la fisiologia del movimento, non è necessario cercare di imparare a memoria una serie interminabile di nomi senza senso: è molto più utile usare la logica e cercare, attraverso la visualizzazione mentale dei rapporti anatomici tra scheletro e muscoli, di ricavare la propria personale “sensazione dell’attivazione muscolare” durante l’esecuzione del movimento.
Dott.ssa Luana Poggini