
Quando si parla di Wanda Osiris, il pensiero corre immediatamente ai boa di piume, alle scale scintillanti, ai turbanti, ai lustrini che riflettono la luce del proscenio.
Ma dietro quell’immaginario abbagliante esisteva una macchina scenica perfetta, alimentata da un linguaggio coreografico unico nel panorama del varietà italiano.
I balletti delle sue riviste non erano semplici intermezzi danzati: erano architetture di spettacolo, elementi fondanti di un’estetica che ha trasformato il teatro leggero in un rituale di seduzione, glamour e precisione.
Nel mondo di Wanda Osiris ogni gesto era calibrato, ogni passo costruito per amplificare un’atmosfera di lusso “irraggiungibile”.
I balletti che la circondavano – talvolta veri e propri cortei coreografati – non puntavano alla complessità tecnica fine a sé stessa, bensì alla raffinatezza del movimento, alla sincronia e a un’eleganza quasi scultorea.
Le ballerine e i boys diventavano parte integrante della cornice che esaltava l’ingresso della diva, spesso orchestrato come un’apparizione: discese da scale monumentali, pedane mobili, scenografie che si aprivano come ventagli dorati.
A differenza di molta rivista coeva, dove la danza rappresentava una pausa tra un numero comico e l’altro, negli spettacoli della Osiris i balletti assumevano un ruolo drammaturgico.
Erano dispositivi narrativi che preparavano il pubblico all’arrivo della soubrette o che ne amplificavano il personaggio: regale, distante, sovrannaturale.
Coreografi e maestri di ballo lavoravano per creare quadri tematici – orientali, futuristi, mitologici – che costruivano mondi coerenti e riconoscibili, veri antesignani dei moderni concept show.
Il tratto distintivo dei balletti osiriani era la loro capacità di creare immagini visive potenti. Le danzatrici formavano simmetrie perfette, gruppi compatti che si aprivano come petali o si disponevano in linee prospettiche che guidavano lo sguardo verso la protagonista.
Costumi scintillanti, cascate di strass e copricapi monumentali rendevano ogni movimento parte di un quadro più ampio, dove la danza dialogava con la scenografia e con la musica in un equilibrio sorprendentemente moderno.
Wanda Osiris reinventa l’idea stessa del balletto di rivista trasformandolo in un rito collettivo: il pubblico non assisteva semplicemente a un numero danzato, ma partecipava all’adorazione della diva, centro magnetico di ogni composizione scenica.
I ballerini erano guardiani di un tempio laico dello spettacolo, figure che costruivano con i loro movimenti la liturgia dell’apparizione.
Molti elementi del musical italiano e della televisione degli anni successivi – dai fasti di Studio Uno alle aperture dei varietà RAI – conservano le tracce di quella lezione: la danza non come decorazione, ma come ingranaggio spettacolare.
Gli spettacoli di Wanda Osiris hanno lasciato in eredità una visione estetica che ancora oggi riaffiora nello show business: scale luminose, tableau coreografici, masse danzanti che esaltano la star di turno.
Un’estetica che continua a vivere nell’immaginario del pubblico, anche senza che questo ne riconosca esplicitamente la matrice originaria.
Michele Olivieri
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