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Il meglio di… Realtà e coreografi emergenti – “Pillole: somministrazioni di danza d’autore”

Holy Hole Kompanie - ph. Monica Rosanò

Intervista del 04.04.2013

Si è inaugurata a Milano lo scorso 23 e 24 marzo la prima edizione del Festival Pillole, organizzato dall’Associazione PANDANZ con l’obiettivo di diffondere e promuovere l’arte, partendo dalla danza contemporanea e coinvolgendo ogni forma artistica manifestabile all’interno dello spazio preposto (arti visive, musica, teatro, letteratura). Tra gli ospiti e i partner grandi realtà internazionali quali: Holy Hole Kompanie, Beniamin Boar, Compagnia Déjà Donné, Gilles Toutevoix, Duncan Center Conservatory, Forsythe Dance Company ed altri artisti di grande spessore. Gli ideatori, Virginia Spallarossa  e Roberto Altamura raccontano percorsi e obiettivi alla base di questo progetto.

I edizione del Festival Pillole… come nasce quest’idea?

Il festival si chiama pillole somministrazioni di danza d’autore perché all’inizio l’idea era di fare più incontri con una frequenza abbastanza regolare, invece poi, alla fine abbiamo optato per una terapia d’urto e quindi due giorni intensi di progetto multidisciplinare e policulturale che hanno lo scopo di aprire le porte al pubblico della danza contemporanea che è un po’ di nicchia e un po’ chiuso. Abbiamo cercato di inserire all’interno di questo festival più discipline che comunicassero con la danza, quindi videodanza, fotografia, ma anche cortometraggi e concerti e, poiché teniamo molto all’aspetto della formazione, abbiamo previsto anche una giornata intera di master class con tutti gli artisti invitati. 

Concentrandoci sull’aspetto della multidisciplinarietà, come avete scelto cosa far comunicare e chi?

L’idea di partenza era quella di fare un recall di artisti italiani emigrati all’estero e in maniera particolare nel Nord Europa, perché è lì che la danza contemporanea oggi ha più riscontro e, attraverso le compagnie che abbiamo trovato, siamo riusciti anche a correlare le varie altre performance, perché le proposte poi si sono concatenate tra di loro, è una rete di artisti. Abbiamo inoltre fatto un bando regolare di selezione, anche per monitorare qual è la situazione italiana in questo momento storico.

L’idea del network non è molto italiana in realtà, perché in Italia purtroppo si ragiona molto per compartimenti stagni, quali sono state le difficoltà pratiche incontrate nell’organizzare un simile evento in Italia?

Le difficoltà sono state infinite, a partire  dalla decisione di dover invertire la tendenza che ci eravamo proposti perché abbiamo visionato centinaia di proposte che però non rispecchiavano il messaggio di danza che volevamo trasmettere, ossia la contemporaneità. L’altra grande difficoltà sta nel fatto che ci siamo completamente autofinanziati, oggi nessuno investe nella danza e l’altro grande scoglio è stata la mancanza d’appoggio da parte di chi come noi fa questo mestiere a Milano. C’è stato molto più appoggio da persone in altri continenti, infatti i nostri partner sono quasi tutti stranieri.

Che cos’è la contemporaneità per voi?

Parlando di danza, è semplicemente dinamica, spazio ma contaminati con quello che è oggi il movimento in generale, che può essere l’hip hop, la break dance, la capoeira come altro, quindi ricerca in evoluzione costante.  In riferimento al festival, abbiamo cominciato a indagare su quello che poteva interessare come proposta a noi per riuscire a trasmettere il concetto di contemporaneità e che poteva risultare più interessante soprattutto per un pubblico più giovane, perché di festival ne abbiamo visti tanti e la media di età delle persone che va a vedere questi festival è di solito più alta, mentre invece potrebbero coinvolgere anche ragazzi molto più giovani.

Qual è stata la chiave comunicativa per arrivare ai giovani?

Siamo entrambi insegnanti, questo ha aiutato sicuramente, perché siamo riusciti a trasmettere il nostro messaggio agli allievi cercando di appassionarli, anche proprio attraverso questo concetto di “pillole”.

Da insegnanti secondo voi, al momento storico attuale, in Italia esiste un tessuto culturale per cui i giovani possano essere indotti a seguire questo tipo di manifestazioni e a loro volta a sviluppare il seme che cercate di lasciare in loro nel percorso formativo?

No, decisamente no, questo purtroppo non avviene e abbiamo trovato estrema difficoltà anche nella motivazione. Ci sono tantissimi ragazzi e tantissime scuole in questo Paese ma la vera curiosità, la vera motivazione, la vera passione è altro, la danza purtroppo spesso è poco meno di un hobby e quindi è molto difficile riuscire a guidare, direzionare, incuriosire un pubblico molto giovane perché purtroppo i modelli di riferimento in questo momento sono altri. Bisogna smantellare tutta una sovrastruttura di fronte alla quale spesso purtroppo siamo quasi impotenti. In questo giorni di festival abbiamo avuto appunto la riprova di quanto potentemente possa essere arrivato il nostro messaggio e a chi sia arrivato.

Cos’è più importante per voi nel processo comunicativo di danza, il piano emotivo o quello dei contenuti?

Entrambi. A noi piace veder danzare, cosa che si è un po’ persa di recente perché la moda del momento è un concettualismo estremo che porta al nulla estetizzato e questo minimalismo alla fine diventa di difficile comprensione e accettazione. Anche in Italia abbiamo sicuramente dei bei danzatori, ma non li vediamo danzare e questo è un peccato. Noi col nostro festival stiamo cercando di andare controcorrente, proponendo una danza attiva, viva, contemporanea, molto fisica. Le compagnie che abbiamo invitato sono state scelte proprio per il loro contributo in questa direzione.

La controtendenza che voi portate come messaggio innovativo in cosa consiste esattamente se doveste racchiuderla in poche parole?

Come già detto, noi teniamo tantissimo alla contemporaneità intesa come la danza del 2013! Non vorremmo più vedere cose che vengono etichettate come contemporanee quando invece appartengono ad un repertorio di ormai mezzo secolo perché nozionisticamente non è corretto, forse anche perché pensiamo che la danza sia legata al corpo. Va bene inserire il concetto nella danza, va benissimo raccontare, esprimere ma la danza è innanzitutto corpo, senza corpo non si danza. Quindi è quello il messaggio che vorremmo dare, che bisogna tornare forse a muoversi. Per questo motivo crediamo tanto nella formazione perché il pubblico che dovrebbe essere motivato, interessato e incuriosito da spettacoli di un certo tipo viene anche da un corpo studentesco formato in un certo modo con determinati parametri. Tutto questo manca e quindi è molto difficile lottare, oltre a tutte le altre guerre annesse e connesse, anche su questo, perché non c’è capacità di analisi, non c’è voglia di mettersi in discussione. L’ostruzionismo dunque viene fatto anche in questo senso. Al festival ad esempio un pubblico che poteva essere molto vasto e molto interessato non c’è stato perché purtroppo c’è questa tendenza a tenere le persone legate nel proprio cerchio ristretto, forse perché basta un soffio per perderle ma, anche se è molto triste, questo ci dà la prova che almeno noi siamo nella direzione giusta.

Questo è il primo appuntamento, ce ne saranno altri?

Questo è il primo impegno della nostra associazione che si chiama PANDANZ e stiamo già pensando al prossimo progetto che vorremmo indirizzare proprio verso la formazione.  Oggi tutti fanno formazione, ma bisogna farla anche in maniera mirata, perché è inutile creare un popolo di danzatori infelici, non c’è mercato in questo paese per la danza. Il nostro è un lavoro sinergico tra la formazione e il cercare di smuovere qualcosa. Nonostante tutte le difficoltà, siamo molto motivati nell’andare avanti e, comunque andrà, per noi sarà sempre un successo. Per noi avere qui anche un numero di persone ristretto ma realmente interessato vale molto più di un pubblico acritico che invece di andare al cinema viene a vedere il Festival giusto per trascorrere la serata.

Il prossimo passo in questo percorso?

Essendo anche danzatori ci piacerebbe impostare una prima produzione PANDANZ con un taglio sicuramente internazionale, cercando tra i partner che già abbiamo o altre realtà a noi molto simili una collaborazione possibile per un lavoro che ci veda protagonisti come danzatori.

Un messaggio conclusivo

Torniamo alla danza!  

Lorena Coppola

Foto Monica Rosanò

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