Di seguito il messaggio diffuso dall’Institut International du Théâtre – ITI in occasione delle celebrazioni del prossimo 29 aprile (anniversario della nascita di Jean-Georges Noverre):
Carmen Amaya, Valeska Gert, Suzushi Hanayagi, Michael Jackson… danza non classificabile, non potrei decifrare i loro stili… li vedo come delle turbine generatrici di energia e questo mi fa riflettere sull’importanza della coreografia in relazione all’energia stessa di chi danza. Sicuramente la cosa importante non è la coreografia, ma specificamente quella energia, il turbine che essa provoca.
Io immagino una bobina di Tesla che li attrae tutti emettendo un raggio risanatore e provocando una metamorfosi nei loro corpi: Pina Bausch come una mantide religiosa, Raimund Hoghe trasformato in uno scarabeo appallottolatore, Vicente Escudero in un insetto stecco e Bruce Lee addirittura in una scolopendra.
Danzai il mio primo duetto con mia madre, incinta di sette mesi. Può sembrare un’esagerazione. Sebbene io quasi sembre balli solo, immagino che mi accompagnino da fantasmi che fanno sì che abbandoni il mio ruolo di «danzatore di solitudini». Didi-Huberman non voleva dire: «di soleares».
Da piccolo non mi piaceva la danza, ma era qualcosa che usciva da me in una maniera naturale e facile. Quasi istintiva. Con il tempo mi resi conto che la danza guariva, mi faceva un effetto quasi medicinale, mi ha aiutato a non esser così introverso e ad aprirmi agli altri. Ho visto l’immagine di un bambino con l’Ebola che si curava attraverso la danza. So che è una superstizione, ma sarebbe forse possibile?
Più avanti, la danza ha finito per diventare un’ossessione che riempie le mie ore e che mi fa ballare anche quando rimango fermo, immobile, separandomi così dalla realtà delle cose. Non so se questo è buono, cattivo o necessario ma… così è. Mia figlia Milena, quando sto quieto sul divano pensando alle mie cose con quel mio mormorio, mi dice: «Papà, non ballare».
È che vedo la gente muoversi mentre cammina per la strada, mentre chiama un taxi, mentre si muove con le sue differenti maniere, stili e deformità. Tutti stanno danzando! Non lo sanno, però tutti stanno danzando! Mi piacerebbe gridare loro: «C’è gente che ancora non lo sa! Tutti stiamo danzando! Quelli che non danzano non hanno fortuna, sono morti, non provano sentimenti né sofferenze!».
Mi piace la parola fusione. Non come termine di marketing, confusione per vendere un certo stile, un marchio. Meglio fissione, una miscela atomica: un cocktail con i piedi piantati in terra di Juan Belmonte, le braccia aeree di Isadora Duncan e in mezzo il ventre ballonzolante di Jeff Cohen in The Goonies. E con tutti questi ingredienti comporre una bevanda gradevole e intensa, che sia gustosa o amara o che ti dia alla testa. La nostra tradizione stessa è questa miscela, nasciamo da un cocktail e gli ortodossi vogliono nascondere la loro formula segreta. Però no, razze e religioni e credi politici, tutto si mescola! Tutti possono danzare insieme! Forse non uno nelle braccia dell’altro, ma gli uni accanto agli altri.
Un antico proverbio cinese dice: «Il batter d’ali di una farfalla si può sentire dall’altro lato del mondo». Quando una mosca si leva in volo in Giappone, un tifone scuote le acque dei Caraibi. Pedro G. Romero dopo un travolgente baile por sevillanas dice: «Il giorno che la bomba cadde su Hiroshima, Nijinsky ripeté il suo grande balzo in un bosco dell’Austria». E io seguito a immaginare: un colpo di frusta di Savion Glover fa girare Mikhail Baryshnikov. In quel momento Kazuo Ohno stando in quiete provoca una certa elettricità in María Muñoz, che pensa a Konrad Veidt il che obbliga Akram Khan a provocare un terremoto nel suo camerino: si muovono i suoi sonagli e il suolo si tinge delle stanche gocce del suo sudore.
Vorrei poter dedicare questa Giornata Internazionale della Danza e queste parole a qualunque persona nel mondo stia danzando proprio in questo momento. Così permettetemi una battuta e un desiderio: danzatori, musicisti, produttori, critici, organizzatori, diamo un fin de fiesta, danziamo tutti, come faceva Béjart, balliamo alla grande, balliamo il Bolero di Ravel, balliamolo uniti.
Israel Galván
Traduzione di Andrea Toschi