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Il Teatro è il mio luogo naturale: intervista a Gaia Straccamore

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Gaia Straccamore a nove anni entra a far parte della scuola del Teatro dell’Opera di Roma diretta da Elisabetta Terabust, e qui si diploma all’età di 17 anni con il massimo dei voti. Grazie ad una borsa di studio si perfeziona nella prestigiosa Accademia “Princesse Grace” di Montecarlo, sotto la guida di Madame Marika Besobrasova. Ancora giovanissima, all’età di 12 anni, è scelta da Paolo Bortoluzzi per il ruolo dell’Apparizione nel suo Principe felice, a soli 15 anni Vladimir Vassiliev le affida il ruolo di prima ballerina ne “Le Sylphides” di Fokine e a 16 anni l’allora direttore del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma, Giuseppe Carbone, le affida il ruolo di prima ballerina nel suo Cronache Italiane. Dal 1996 è al Teatro dell’Opera di Roma dove su proposta di Carla Fracci viene nominata “Prima Ballerina” nell’ottobre del 2006. Oggi il suo repertorio include: Egina in Spartacus (Y. Grigorovich), la principessa Aurora e la Fata dei Lillà ne La bella Addormentata (Chalmer – Petipa), La Sylphide (N. Kehlet – C. Fracci – Bournonville – Gielgud), Napoli (Bournonville), Infiorata a Genzano (Bournonville), Giulietta in Romeo e Giulietta (John Cranko, Bruhn, Nureyev-Gai, P. Bart), Odette-Odile ne [Il lago dei cigni] (G. Samsova – Petipa), Giselle e Myrta in “Giselle” (Perrot-Coralli/C. Fracci-P. Bart. P. Ruanne), Gulnara in [Le Corsaire] (Khomyakhov-Petipa), “Clara” ne Lo Schiaccianoci, Swanilda in “Coppelia”, Kitri nel “Don Chisciotte”, Pas de quatre [Madame Taglioni] (Perrot), Zobeide in Sheherazade (Fokine), l’Uccello di fuoco (Fokine), l’Eletta ne La sagra della primavera [Nijinskij], La gitana (Chalmer – Taglioni), La Chatte, Le Bal, Calliope in Apollon Musagete, Who cares? (George Balanchine), Pimpinella in Pulcinella (Massine), Tao Hoa in Papavero Rosso, Carmen nella “Carmen” e la “Rose Malade” (Roland Petit), “In the night” (J. Robbins), “Les amantes” in “Gaitè Parissienne” (M. Béjart), La coppia in bianco in “Diversion of Angel” (M. Graham), “Twin Cities” in “The River” (A. Ailey). Viene scelta per il ruolo principale a fianco di Vladimir Vassiliev in “Lungo viaggio nella notte di Natale” una creazione di Paul Chalmer, e di particolare interesse artistico è la sua esibizione proprio al fianco di Carla Fracci in Gerusalemme, coreografia di Luc Bouy e regia di Beppe Menegatti, nel quale ha destato nel pubblico un vero entusiasmo. È una dei protagonisti al Teatro Bol’soj di Mosca, dove ha ballato il ruolo dell’Eletta in “Sagra della Primavera”, e “Zobeide” in Sheherazade. Sempre a Mosca danza, nel Palazzo del Cremlino, il ruolo di Zobeide in Sheherazade, e i due ruoli principali ne L’uccello di Fuoco. Per lei sono stati creati diversi balletti, tra i quali: Beatrice Cenci in “Cronache Italiane” (G. Carbone), “I Vespri Siciliani” (H.Spoerli, M.Van Hoecke), Turandot, principessa chinese (L. Veggetti – B. Menegatti), La Vestale (P. Chalmer – B. Menegatti), Titania in “Sogno di una notte di mezza estate” (P. Chalmer – B. Menegatti), il ruolo di Elena nel Faust di Goethe (L. Cannito – B. Menegatti), “La Sonnambula” (L. Cannito),”Girotondo Romano” (L.Cannito), “Caterina, la figlia del bandito” (F. Franzutti – B. Menegatti), “Baccus e Arianne” (F. Franzutti), la Principessa Verde nel Peer Gynt (coreografia di R. Zanella), il ruolo della Tikvah in “Ghetto” (M. Piazza), il ruolo di Santa Chiara in Nobilissima Visione di M. Van Hoecke, “I Masnadieri” un tributo coreografato da Micha Van Hoecke per Gaia e Denis Ganio. Nel 1993 riceve il primo premio al Concorso internazionale Danza Città di Rieti. Nel 1995 riceve il riconoscimento UNICEF per la danza. Nel 2002 riceve il Premio “Danza & Danza”. Nel 2003 riceve il Premio Positano “Leonide Massine”. Nel 2005 riceve il premio “Volere Volare” per la danza. Nel 2005 riceve il riconoscimento della Croce Rossa Italiana per la danza. Sempre nel 2005 è invitata al prestigioso Festival Di Spoleto di Francis Menotti. Nel 2007 riceve il premio “David di Michelangelo” per il talento artistico. Nel 2008 riceve il premio “Anita Bucchi” per la danza. Nel 2009 viene invitata all’International Ballet Festival di Miami. Nel 2011 è una delle rappresentanti italiane del Gala Italia-Russia. Nel 2012 è protagonista al Festival di Ravenna sotto la direzione del Maestro Riccardo Muti con Nobilissima Visione, una creazione di Micha Van Hoecke. Nel 2013 é protagonista al 62° Festival Internacional de Musica y Danza de Granada con “La Sylphide”. Nel 2014 viene nominata “Etoile” dal direttore del Teatro dell’Opera di Roma M. Van Hoecke dopo la rappresentazione “Notes de la Nuit”. Nel 2016 è madrina ufficiale di “In punta di donna”, iniziativa artistica culturale in favore della donna, contro ogni forma di violenza organizzata dall’Associazione a promozione sociale Roma Restyle.

Gentilissima Gaia, cosa ti ha fatto innamorare, da bambina, della danza?
Sono figlia d’arte, mia madre, Liliana Polidoro, è un’insegnante di danza classica, diplomata all’Accademia Nazionale di Danza e direttrice artistica della sua scuola coreutica da più di quarant’anni. Siamo tre sorelle e siamo cresciute circondate dall’amore per l’arte, per la musica e per la danza. Ricordo che ci insegnava ad amare la musica classica con un gioco, una specie di musichiere ma con musica classica. Lei cantava e noi dovevamo indovinare il compositore e l’opera da cui era estratto il brano: io ero un disastro, inventavo con grande fantasia, e nel dubbio dicevo sempre Stravinsky. Chissà perché! Comunque mia madre ci ha indirizzate tutte verso la danza, ma soltanto io possedevo le doti necessarie per poter provare a fare un percorso professionale…

La tua famiglia ti ha sempre supportata in questa scelta?
Devo dire di sì, ed è stato fondamentale il supporto di tutti. I miei genitori sono stati molto bravi a sostenere ciascuna di noi tre sorelle, ognuna nel proprio campo, evidenziando le proprie individualità. Personalmente devo tanto alla presenza di mio nonno, senza il quale molto probabilmente non sarei riuscita a proseguire i miei studi alla scuola di danza del Teatro.

Cosa ricordi maggiormente degli anni di studio trascorsi alla Scuola del Teatro dell’Opera di Roma?
Sono stati anni meravigliosi. Mi ricordo quando la mattina, mentre ero a scuola, non vedevo l’ora di sentire il suono della campanella per poter correre alla Scuola di ballo. Per me era una seconda famiglia, avevo le mie amiche e mi divertivo, non l’ho mai vissuto come un sacrificio, anche se poi in realtà ne ho fatti molti. Per me era la mia fuga, qualsiasi cosa succedesse io avevo il mio rifugio. Con gli anni mi sono resa conto di quanto tutti i miei maestri mi abbiano insegnato qualcosa, e non parlo solo dei passi di danza, ma di tutti quei valori che sono necessari per poter diventare una ballerina professionista, primo tra tutti il rispetto per il maestro e poi per se stessi.

Qual è l’emozione ancora più viva del giorno del Diploma?
Il palcoscenico. Mi sono diplomata con passo d’addio sul palco del Teatro dell’Opera, quasi fosse stata un’iniziazione. Un’emozione indescrivibile. L’allora direttrice della scuola di ballo, Elisabetta Terabust, decise di affidarmi l’esecuzione de “I Tre Preludi” di Ben Stevenson, accompagnata da Giovanni Rosaci, primo ballerino del corpo di ballo del Teatro. Un balletto splendido ma difficilissimo. Ero emozionatissima, avevo una grande responsabilità, mi era stata data fiducia dalla signora Terabust e non volevo deluderla, ma dopo lo spettacolo ho visto la gioia nei suoi occhi, era fiera di me, e questo mi ha ripagata di tutto. Lei fu la prima persona a credere in me, a vedere in me qualcosa di più. Ha investito sulla mia persona, e mi ha dato tante opportunità. Elisabetta Terabust, oltre ad essere una meravigliosa Etoile, è sempre stata una scopritrice di talenti, e a me piace pensare di essere tra questi.

Mentre quali sono i maestri ai quali è indirizzata la tua gratitudine?
Per fortuna sono molti, ho avuto la possibilità di studiare con tanti bravi maestri, e ad ognuno di loro va il mio ringraziamento perché tutti hanno contribuito ad essere quella che sono diventata oggi. Spero e credo di essere riuscita a prendere qualcosa da ciascuno di loro per poi farlo mio e renderlo personale. Ricordo tutte le particolari correzioni ricevute, e tutt’oggi quando eseguo quei determinati passi mi vengono in mente le loro indicazioni. Non vorrei fare torto a nessuno, ma desidero fare una particolare menzione per Floris Alexander, allora ballerino del “New York City Ballet”, che fu mio maestro durante i corsi superiori della scuola di ballo. Purtroppo ci ha lasciati prematuramente, e ritengo sia un grande lutto per il mondo della danza. Personalmente mi ha allargato gli orizzonti della danza, non voglio scendere nei particolari, ma mi ha dato una visione della danza che prima non avevo. Non voglio dire che fosse una visione più importante, ma sicuramente diversa e di cui avevo bisogno per capire molte cose.

Da professionista il tuo percorso è iniziato presso il Teatro dell’Opera di Roma. Che anni erano per la danza…
In tutti questi anni ho visto passare per il Teatro dell’Opera i più grandi e famosi ballerini e coreografi. È veramente impossibile nominarli tutti. Da Peter Schaufuss, Fernando Bujones, Jean Babilè, Vladimir Vassiliev, Maximiliano Guerra, Yuri Grigorovich a Natalia Makarova, Carla Fracci, Natalia Bessmertnova, Alessandra Ferri, Svetlana Zakharova… e tanti tanti altri. Un periodo florido per l’arte in generale, con produzioni di altissimo livello. Danzatori che hanno fatto la storia della danza e che hanno arricchito il bagaglio di tutti noi. Ognuno con la propria personalità e il proprio approccio al lavoro. Ed era proprio questo aspetto che mi incuriosiva e che mi incuriosisce tutt’oggi negli artisti. È l’approccio che hanno verso il lavoro, vedere come ognuno di loro vive il momento della preparazione, delle prove, del palcoscenico, ma soprattutto della quotidianità. E ho visto le situazioni più disparate, una all’opposto dell’altra. E con gli anni ho capito che non si può giudicare un modo di fare che magari non ci appartiene, ogni artista è diverso così come sono diverse le abitudini. C’è chi prima di uno spettacolo ha bisogno di grande concentrazione e chi magari, essendo più irruento ed impulsivo vive tutto con più leggerezza. Trovo questa diversità molto interessante.

C’è stata anche una parentesi di perfezionamento alla prestigiosa Accademia “Princesse Grace” di Montecarlo. Mi parli di Madame Marika Besobrasova e delle giornate trascorese all’Accademia monegasca?
Madame Besobrasova era una vera Signora, maestra ineccepibile e preparatissima e allo stesso tempo una donna attenta e rispettosa verso tutte noi ragazze, non sottovalutando mai quello che era il nostro aspetto psicologico. Per me e per quasi la totalità delle ragazze della scuola, era la prima esperienza lontano dalla propria casa e dai propri cari. Poteva non essere facile, molte ragazze hanno avuto dei momenti complicati e hanno preferito abbandonare. Ci si trova da soli in un’Accademia ad affrontare ogni esperienza, e questo Madame Besobrasova lo sapeva bene, e per questo cercava in ogni modo di coinvolgerci anche nell’organizzazione della scuola, ognuno di noi aveva un compito, come in una grande famiglia, così da non farci sentire mai sole. In sala ricordo le sue lezioni sui “port de bras”, oppure ore intere a sentire la nostra respirazione… per una quindicenne non era facile da capire. Per fortuna tutto il suo insegnamento sono riuscita a metabolizzarlo con la crescita, avendo una maturità diversa. Una volta, in scena, ero talmente tesa per un balletto che ho quasi dimenticato di respirare, ho rischiato di scoppiare, e alla fine dello spettacolo mi sono rinvenute alla mente, di colpo, tutte le sue raccomandazioni sull’importanza del respiro e su come va eseguito… ora so quanto è importante per un ballerino avere l’esatta respirazione quando si balla, me lo ha insegnato Lei.

Ti ricordi la prima volta che hai calcato il palcoscenico in veste di allieva e quella di professionista?
Mamma mia, in veste di allieva è stato parecchio tempo fa. Avevo dieci anni, in scena c’era “Pulcinella” di Massine. Un gruppo di bambine della scuola, tra cui io, dovevamo interpretare i piccoli pulcinella. Ricordo estremamente bene la mia felicità, sprigionavo entusiasmo. Da lì non ebbi più dubbi, io da grande avrei voluto fare quello, o per lo meno, ci avrei dovuto provare. Avevo trovato il mio obiettivo, ci dovevo riuscire. Volevo che la danza diventasse la mia professione, le emozioni che mi dava il palcoscenico mi avevano completamente catturato.

Cos’ha significato per te avere la nomina a Prima Ballerina da un mito come Carla Fracci?
Beh, parlare della signora Fracci vuol dire descrivere una parte fondamentale della mia vita. La mia gratitudine verso di lei è immensa, e lo sarà per sempre. Non avevo ancora vent’anni quando ci siamo incontrate professionalmente. Lei divenne Direttore del Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. All’inizio tutte noi ballerine eravamo un po’ intimorite dalla sua figura, e devo dire che questa forma referenziale che avevamo nei suoi riguardi non si è mai affievolita, neanche dopo i dieci anni della sua direzione. E questo è un riguardo che solo i veri grandi artisti ricevono. L’aspetto più bello era notare come, anche tutte le più grandi Etoile ospiti che venivano in teatro avessero una forma ossequiosa nel confrontarsi con Lei, una stima e un rispetto incondizionato. Avevamo tutti verso di Lei un atteggiamento di riverenza fondato sulla consapevolezza dei suoi grandi meriti. Tutt’oggi la chiamiamo “La Signora”. Lei mi ha davvero presa per mano, e mi ha accompagnata lungo un viaggio duro e faticoso durante il quale mi ha insegnata ad essere un’artista completa e non semplicemente una ballerina. Me lo ha ripetuto tutti i giorni. Con Lei ho un rapporto vero, ed è così ancora oggi, mi supporta, mi aiuta, mi sprona ma mi sa anche sgridare, molto, criticare e correggere. Abbiamo avuto scontri, abbiamo avuto vedute diverse in alcune situazioni, ci siamo confrontate e ci siamo ascoltate, e ne sono felice perché il nostro è un rapporto vivo, sincero, fondato sulla stima reciproca. Mi ha fatto crescere tecnicamente ed artisticamente, mi ha insegnato i ruoli classici nel loro profondo, mi ha fatto danzare i personaggi più diversi sia del repertorio classico che nelle creazioni pensate appositamente per me. Ho gioito, ho pianto, ho esultato e ho sofferto, ho lavorato tanto, mi ha fatto lavorare moltissimo, ma alla fine il suo regalo è stato incomparabile: la nomina a “Prima Ballerina”. Non posso descrivere la mia gioia, sarebbe troppo riduttivo… Comunque un discorso a parte dovrei poi farlo per il Maestro Beppe Menegatti, il mio mentore, colui che ha sempre creduto in me e che mi ha costantemente sostenuta. Lui mi ha trasferito una continua voglia di sapere, di informarmi, di approfondire ogni ruolo che dovevo affrontare, mi ha sempre stimolata culturalmente. I suoi racconti, le sue storie sui grandi artisti di teatro sono memorabili. È sempre stato fonte di ispirazione per me, ma soprattutto ha rappresentato un porto sicuro. Ci vogliamo veramente bene.

Un tuo ricordo per Paolo Bortoluzzi?
Ero una bambina, un’allieva del terzo corso, avevo dodici anni, e al Teatro dell’Opera di Roma andava in scena “Il Principe felice”, con le coreografie di Paolo Bortoluzzi. Aveva bisogno di una bambina per interpretare il ruolo dell’Apparizione, così venne alla scuola per visionare le allieve più piccole e mi scelse. Non ho un’immagine nitida di lui, il mio ricordo più vivo va al momento in cui mi trovai per la prima volta da sola nella sala ballo del Teatro insieme a tutti i ballerini della Compagnia. Io una bambina e loro tutti professionisti, poteva rappresentare un momento di blocco per me, e invece andai tranquilla e sicura a fare la coreografia che mi era stata insegnata…  beata incoscienza! Mi ricordo che rappresentavo un sogno e quindi Paolo Bortoluzzi decise di farmi fare la prima apparizione da una botola, dovevo scendere nelle zone macchine e apparire magicamente su di un piccolo praticabile. Ero molto eccitata per questo, mi piaceva tantisimo, e infatti ricordo che Bortoluzzi si avvicinò a me e con un bel sorriso mi disse: “piccola Gaia, ti diverti eh?!? Brava…” e mi diede una carezza.

Mentre di Vladimir Vassiliev e del Maestro Giuseppe Carbone?
Vladimir Vassiliev è stata la persona che in assoluto più mi ha sorpresa, nel senso che la sua scelta mi colse davvero impreparata, non me lo aspettavo in alcun modo. In quel periodo era direttore del Corpo di ballo del Teatro, e andava in scena “Giselle”, rimontata dal caro maestro Zarko Prebil. Io avevo quattordici anni e come spesso accadeva, alcune ragazze della scuola venivano chiamate in aggiunta al corpo di ballo. Io ero sostituta delle vignaiole e delle villi. Avevo un desiderio incontenibile di danzare quel balletto. Ricordo ancora la spiegazione del Maestro Prebil del momento in cui alla fine del secondo atto “il velo della morte cala sul volto delle villi spingendole forte di nuovo sotto la terra…” mi emozionai, piansi. Era un’immagine troppo forte per me, ma mi servì, mi fece capire realmente il senso, tanto che dopo molti anni ancora ricordo le parole esatte. Durante le prove ogni tanto entrava Vassiliev e osservava attento. Arrivò il giorno della prima, io ero in camerino, iniziò l’ouverture e ad un certo punto dai microfoni interni sentii pronunciare il mio nome. Una ragazza si era sentita poco bene e io dovevo sostituirla sia nel primo che nel secondo atto. In tutta velocità mi misero il vestito indosso e andai… ballai bene, e non mi feci annientare dall’emozione. Non so se questo evento contribuì in qualche modo, ma successivamente Vassiliev decise di farmi imparare il ruolo di “Giselle”, e mi ritrovai da sola in sala con il maestro Prebil ad affrontare quel ruolo che fino al giorno prima avevo tanto agognato e che mi sembrava irraggiungibile. Non scorderò mai, e dico mai, la mia prima prova. Passai la prima ora e mezza con il Maestro Prebil ad aprire la porta della casa di Giselle, non riuscivo a varcare la soglia. Sbagliavo, sbagliavo e sbagliavo. Mi sembrava un incubo perché non comprendevo cosa c’era di così difficile nell’aprire una porta e in che cosa sbagliavo. Con il tempo ovviamente ho capito, ho inteso il significato e l’importanza di quel momento, di quell’entrata e ogni volta che ho varcato quella soglia in scena, il mio pensiero e il mio ringraziamento è andato al maestro Prebil. Così, dopo quell’esperienza, venni richiamata dalla scuola per copertura nell’allestimento successivo della compagnia di balletto, “Les Sylphides”, e io mi trovai con immensa sorpresa a ricoprire il ruolo di prima Ballerina nella Mazurka. Ero scioccata, avevo quattordici anni e non potevo crederci. Vladimir Vassiliev aveva scelto me. Ovviamente gli chiesero il perché della sua scelta, e soprattutto se non fosse una decisione prematura e avventata. Lui, forte della sua scelta rispose “a me basta un ‘port de bras’ per vedere se si può essere una prima ballerina, e non mi importa quanti anni ha…”. Fu per me una dimostrazione di fiducia troppo grande, non potevo e non volevo deluderlo. Lavorai giorno e notte, mi aiutò tantissimo Patrizia Lollobrigida, allora prima ballerina del Teatro, la quale si dedicò tantissimo a me. Fu un successo, e lui fu contento di me e per me. Che grande gioia che provai! L’incontro con il Maestro Giuseppe Carbone è avvenuto l’anno successivo. Era stato nominato direttore del corpo di ballo. Fu un trienno molto florido per la stagione di balletto, oltre alle sue creazioni, portammo in scena tre tra i balletti più belli e famosi di John Cranko, “Romeo e Giulietta”, “Onegin” e la “Bisbetica Domata”. Per me Lui fu come un papà, fu sempre molto paterno, un papà rigido e severo, ma un papà. Ero l’unica ragazza minorenne in mezzo a professionisti grandi e importanti, avevo sedici anni ed ero un po’ spaesata. Ero sempre un’allieva della scuola e mi scelse per interpretare il ruolo di Beatrice Cenci nel suo “Cronache Italiane”. Il mio partner era Mario Marozzi, noto primo ballerino della compagnia. Inutile dire quanto fossi agitata. Mi coreografò un passo a due con lui, una scena di violenza, e a sedici anni non avevo assolutamente una grande esperienza nei passi a due. Sia il maestro Carbone che Mario Marozzi furono estremamente gentili e disponibili, mi insegnarono nel vero senso della parola, avevo bisogno di imparare e loro furono un pozzo profondo di sapere. Fu anche la mia prima possibilità di mostrare le mie doti artistiche, la vita di Beatrice Cenci fu travagliata e dolorosa, la scena della violenza era davvero molto forte, e il maestro Carbone mi richiese un coinvolgimento vero e totale. Da quel momento capì quanto mi piaceva ed interessava interpretare un ruolo narrativo, un personaggio vero, con una storia reale. Fu una scoperta! Credeva in me, e in seguito mi diede tante altre opportunità, una delle più importanti fu ne “I Vespri Siciliani”, in quell’anno opera di apertura di stagione, coreografia di H. Spoerli, con Alessandra Ferri, Maximiliano Guerra ed Ethan Stieffel. Fu un’inaugurazione strepitosa, ballai da prima ballerina al fianco di Etoile d’eccezione, ero talmente emozionata che sembravo in trance… che bello però!

Quali emozioni hai provato a danzare al fianco di Carla Fracci in “Gerusalemme” per la regia di Beppe Menegatti?
È stata una creazione meravigliosa, ed è stata ripresa per ben due anni di seguito durante la stagione estiva del Teatro dell’Opera alle Terme di Caracalla. Una produzione di grande successo; si è voluto riproporre un tema attualissimo, lo scontro tra israeliani e palestinesi, legando il tutto con un filo sentimentale, una storia d’amore tra due ragazzi di famiglie con origini diverse, appunto una israeliana e l’altra palestinese. Una sorta di “Romeo e Giulietta” dei nostri giorni. Il cast era di “primo ordine”, come direbbe il maestro Menegatti, la Signora Fracci in prima linea, Loredana Bertè come cantante/narratrice della storia e con le musiche Di Tullio De Piscopo, proprio in scena con noi. Ho partecipato a questo evento con il ruolo della ragazza innamorata. Luc Bouy, il coreografo e il maestro Menegatti mi hanno cucito addosso quel ruolo, e con tutte le sfumature che io sono riuscita a dare, mi hanno spinta ad andare oltre, a vivere realmente il dramma di quelle popolazioni. Avevo un assolo accompagnato dalle percussioni di Tullio De Piscopo, il quale, come ogni vero artista, improvvisava e “seguiva l’onda”, e io lo assecondavo, ballavo con la sua musica… il risultato era sorprendente, mi emozionavo ogni volta. Alla fine avevamo un ballo d’insieme capitanato dalla Signora Fracci. Io non potrò mai dimenticare i suoi occhi: profondi, diretti, vivi, magnetici, ipnotici. Incantava tutti, sia noi ballerini che il pubblico. Veramente un successo!

Hai avuto l’onore anche di danzare in Russia, al Bolshoi e al Palazzo del Cremlino… quali sono stati i maggiori sacrifici e le rinunce per raggiungere una carriera di così alto successo?
I sacrifici e le rinunce sono stati veramenti tanti e soprattutto in tenera età. Ricordo quanto le mie compagne di scuola cercavano in ogni modo di coccolarmi e di aiutarmi, vedendo quanto poco tempo libero avessi per fare qualunque altra cosa. Qui ovviamente è entrata in scena la mia famiglia, la quale mi ha sempre supportata e guidata nelle difficoltà. Santo mio Nonno Umberto, ha praticamente vissuto con me i miei otto anni della scuola di ballo… In ogni caso, i sacrifici di un ballerino sono ormai ben noti, o comunque negli ultimi anni si sta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che è l’aspetto della preparazione di uno spettacolo, e di tutto ciò che c’è dietro al risultato finale che si porta sul palcoscenico. I ballerini dal punto di vista fisico sono degli atleti e ritengo che ogni atleta professionista non faccia una vita all’insegna dello svago e del divertimento assoluto. Spero però, e questo è stato il mio caso, che il divertimento per questi sia proprio lo sport o l’arte che si è scelti di vivere. Lo spero perché solo così si riesce ad arrivare a dei risultati significativi. Tutto ciò che si vive come un sacrificio o come una rinuncia non può sortire qualcosa di positivo. E con questo non voglio dire che i ballerini non affrontino delle privazioni, anzi, i ballerini per antonomasia sono votati al sacrificio e alla rinuncia, sono disposti a sopportare fatica e dolore con dignità e silenzio. È un aspetto fondamentale del nostro stile di vita, ci viene insegnato da bambini, il nostro è un modo di vivere legato alla disciplina. Il problema sono semplicemente le priorità, la bilancia delle emozioni. Capire cosa si è disposti a sopportare, e quindi capire quanto si ama ciò che si è scelto di intraprendere, in questo caso la danza. Se il sacrificio diventa troppo forte e non riusciamo a sostenerlo, la scelta deve essere ferma e decisa. Se tutto ciò di cui ci dobbiamo privare lo riteniamo più importante di quello che stiamo facendo, è meglio avere subito il coraggio e la determinazione di lasciar perdere. Ed è proprio questo che penso ci differenzi dagli altri artisti o atleti. Dobbiamo avere questa maturità di comprensione ed accettazione in giovanissima età. La nostra carriera è molto breve ed inizia quindi molto presto. Viviamo una vita fuori dagli schemi prestabiliti, una ballerina di dodici anni non fa la vita della dodicenne e così via… Insomma, tutto questo per dire, che i sacrifici che ho dovuto affrontare sono stati davvero molti, di ogni tipo, ma sono stata io a scegliere tutto questo, l’ho voluto io, e quindi non ho mai vissuto ogni rinuncia come un macigno o un ostacolo da superare, il piacere era maggiore. Semplicemente questo!

Come hai vissuto la danza in “Russia”? Hai notato sostanziali differenze rispetto al nostro Paese?
Ricordo che lavorai molto severamente per la preparazione di quegli spettacoli, soprattutto perché il mio approccio psicologico ed emotivo era differente. Saper di dover ballare al Bolshoi, il museo della danza, il palcoscenico per antonomasia, il palcoscenico più famoso al mondo, conosciuto anche da chi non appartiene al mondo della danza, crea un’agitazione non indifferente. L’emozione è stata indescrivibile. Abbiamo portato un programma meraviglioso, affascinante, ma davvero molto impegnativo: “La Sagra della Primavera” di Nijinski, “Petruska”, “L’Uccello di fuoco” e “Sheherazade”. Siamo stati invitati dalla Fondazione Liepa, e quindi ogni prova è stata supervisionata dallo straordinario Andris Liepa. Lui è stato semplicemente fantastico. Ha rimontato tutti i balletti con una carica, un’energia, e una passione fuori dal comune. L’attenzione che metteva in ogni minimo particolare era sconvolgente, abbiamo lavorato senza sosta. Mi ha insegnato personalmente i due ruoli principali dell’Uccello di Fuoco e di Sheherazade, mi ha spronata oltre l’impensabile, e il risultato alla fine è stato sorprendente. E poi è un partner incredibile, insegnandomi il ruolo mi sono trovata spesso a provare con lui, e… wow!!! In Russia l’aspetto più evidente è proprio la grande cultura che tutti hanno verso la danza. È riconosciuta e rispettata da tutti, gli spettacoli sono quasi sempre sold out e i danzatori vengono trattati con tutti gli onori che meritano. È bello vedere come il pubblico conosca perfettamente le coreografie dei balletti, sanno perfettamente i passi, sono dei reali intenditori, hanno i loro beniamini e li seguono e li supportano. E nei ringraziamenti finali ti ripagano di tutto lo sforzo, ti fanno capire realmente se e quanto abbiano apprezzato ciò che hanno visto. Ricordo di aver provato una soddisfazione unica, un appagamento fuori dal comune nel sentire un applauso ritmato di tutta la platea con il battito dei piedi… Pazzesco!

Nel 2014 hai ricevuto la prestigiosa nomina a Étoile del Teatro dell’Opera di Roma. Quali sono le sensazioni legate a questo momento?
È stata una grandissima gratificazione dopo tanti anni passati sul palco del teatro dell’Opera. Io sono un frutto del Teatro, sono nata e cresciuta nella scuola di danza del Teatro e ho fatto tutta la mia carriera all’interno dello stesso, passando per tutti i livelli, e arrivando fino al massimo riconoscimento. Ho ricevuto la nomina proprio sul palcoscenico dal sovrintendente Carlo Fuortes dopo la rappresentazione di “Notes de la Nuit”, una creazione di Micha Van Hoecke. Una cerimonia per me, è stato un tributo che il teatro ha voluto donarmi e di cui andrò sempre fiera e onorata.

Cosa devi al maestro M. Van Hoecke e qual è il suo maggiore pregio artistico che lo differenzia? Com’è stato lavorare al suo fianco?
Micha è un artista a tutto tondo, ha la mentalità degli artisti di una volta, quando sei vicino a lui ti accorgi di quanto sia diverso il suo modo di pensare, di riflettere, a volte sembra su un altro parallelo. È un uomo molto buono e generoso, sotto ogni punto di vista, sia umano che artistico. È un entusiasta, è divertente, cerca spesso l’ironia nelle vicende della vita. Ho lavorato molto con lui durante i suoi quattro anni di direzione all’Opera di Roma, e devo constatare quanto si sia creato un feeling artistico tra di noi. Durante le creazioni eravamo spesso sulla stessa lunghezza d’onda, capivamo all’istante quello di cui l’altro aveva bisogno, senza troppe spiegazioni o richieste. In sala, Micha, lavora con e per il ballerino, non impone la sua coreografia, ma la crea per la persona che ha davanti, con quello che il ballerino gli esprime, sempre cercando di farlo sentire a proprio agio. Solo così si crea un’atmosfera produttiva e stimolante per tutti, perché così coreografo e danzatore si sentono ispirati e motivati e si aiutano reciprocamente. Diventa un lavoro di team, e personalmente lo trovo molto stimolante. Con Micha ho lavorato così, senza tensioni o stress particolari,  sempre in modo propositivo, e a lui devo la mia visione del danzatore in senso più completo, come colui che può emozionare il pubblico in diversi modi, anche stando fermi… a volte è un dono, ma se si ha la sensibilità di capirlo e se si ha vicino qualcuno che ti avvicina a questo modo di vedere l’arte, allora penso si diventi artisti completi. E lui in questo mi ha raffinata. E a lui in particolar modo devo il mio ringraziamento per la mia nomina ad Etoile. Ha creduto fortemente in me, abbiamo lavorato molto insieme e dopo quattro anni mi ha voluto conferire l’onorificenza del ruolo di Etoile, la più prestigiosa delle nomine. Non lo potrò mai dimenticare!

Tu sei impegnata anche nel sociale, sei stata madrina per un’iniziativa a favore delle donne. In cosa consiste questa Associazione e come pensi che l’arte possa essere di sostegno?
Sì, sono molto attenta a quelli che sono i problemi sociali che ci circondano e, nel mio piccolo, cerco di dare sempre un contributo. Appena ho la possibilità non mi tiro indietro di fronte ad iniziative lodevoli e di giusto valore. Verifico sempre con attenzione l’organizzazione, e la finalità del progetto, assicurandomi la veritiera attribuzione del risultato, sia economico che organizzativo. Ultimamente sono stata madrina di “In Punta di Donna”, manifestazione contro ogni violenza sulle donne, un modo originale ed innovativo per dire no, attraverso la danza, ai soprusi perpetrati ai danni dell’universo femminile. Penso sia nostro dovere dare una mano dove si può, ognuno nel proprio piccolo e nelle proprie possibilità. Ora sono in contatto con un’altra associazione per i bambini non proprio fortunatissimi, stiamo cercando una collaborazione per sensibilizzare l’opinione pubblica verso questo particolare problema. Esistono intorno a noi delle super mamme e dei super papà che portano avanti le loro lotte con una determinazione e una forza che va oltre il nostro immaginario. Vanno aiutati e supportati!

Hai danzato in tanti bellissimi teatri. Sicuramente conserverai molti ricordi ma secondo te quali sono state le serate più memorabili?
Per fortuna ho tanti bei ricordi legati ai palcoscenici. In realtà il ricordo positivo è legato a delle belle sensazioni avute durante un particolare spettacolo. E non so neanche dire la motivazione, forse per un insieme di aspetti, primo fra tutti il mio stato d’animo. Ricordo con estremo piacere e soddisfazione le serate al Bolshoi e al Cremlino di Mosca, molto divertente fu la partecipazione all’International Ballet Festival di Miami, ma ho dei meravigliosi ricordi legati ad un Gala a Villa Adriana a Tivoli, dove portammo un programma di Balanchine ed Alvin Ailey, e un Gala al Teatro Greco di Taormina. Sia a Villa Adriana che a Taormina rimasi completamente catturata dallo scenario che avevo davanti, da mozzafiato, e ricordo perfettamente la sensazione di benessere che provai mentre ballavo, di piacere puro…

Tra i tanti personaggi della danza e della Cultura che hai conosciuto, chi ti ha colpita particolarmente?
In realtà cerco sempre di ricordare tutte le impressioni che ho provato con i vari artisti che mi è capitato di incontrare e di conoscere, sia in positivo che in negativo. E una delle persone che senza alcun dubbio mi ha catturata è stata Mikhail Baryshnikov. Il suo carisma, la sua presenza, il suo modo di fare, di comportarsi, la sua autorevolezza, l’ascendente che ha sulle persone lo rendono magnetico. Ti ipnotizza, ti cattura completamente. Venne qualche anno fa al Teatro dell’Opera per alcuni giorni e con l’occasione prese parte alla lezione mattutina. Non riesco a spiegare con le parole i volti delle persone in sala ballo. Era come se avesse creato una magia, eravamo tutti in trance ed in completa adorazione. E lui, come tutti i più grandi artisti, con grande umiltà e senso del dovere si mise alla sbarra e lavorò come se dovesse andare in scena la sera stessa. Il giorno dopo lo volli andare ad osservare nuovamente in sala durante la lezione, era da solo perché per la Compagnia di ballo era il giorno di riposo. Lui mi vide e mi fece entrare in sala ed assistere alla sua lezione. Ricordo i suoi “frappè” alla sbarra, la sua precisione, la sua pulizia, il suo rigore, la sua disciplina. Parlammo un bel po’, sul teatro, sulla danza, sui suoi dolori… ed io non potevo crederci! Un grande esempio di vero artista.

In quale ruolo da “protagonista” ti sei sentita più vicina per affinità elettiva?
Sicuramente “Giulietta”. È un ruolo che amo visceralmente, amo ogni aspetto e sfumatura. Giulietta è una ragazza, non è una figura scaturita dalla fantasia, è reale, è viva. Ci si può calare perfettamente nel suo personaggio, Giulietta può essere ognuna di noi. Amo rappresentare i drammi in scena, e li vivo come se fossero i miei, mi calo completamente nel ruolo, soffro realmente per quello che sto rappresentando, vivendo un dramma interiore. Ed ogni volta lo vivo in modo diverso, ho danzato molte volte Giulietta ed ogni volta ho reagito in maniera differente. Conosco benissimo la musica (quella di Prokofiev) e quindi posso completamente seguirla con i movimenti, mi posso lasciare andare e farmi guidare da lei. Non so mai quale sarà la mia reazione, e quale sentimento prevarrà in me. E questo non sapere, questa suspence mi elettrizza, mi incuriosisce, mi stimola. Provare delle sensazioni e delle emozioni in scena per me è “fondamentale”, e ballare il ruolo di Giulietta ti dà la possibilità di provare una vasta gamma di sentimenti che ritengo nessun altro ruolo, o quasi, possa darti. Si comincia con la spensieratezza della fanciullezza, l’emozione per l’entrata in società, il primo sguardo verso un uomo, la scoperta dell’amore, l’innamoramento, la passione, e poi la forza d’animo per difendere questo amore, la determinazione, il coraggio, la desolazione, la tristezza, il dramma, la tragedia per poi arrivare fino alla morte. Non penso sia possibile descrivere cosa si prova a calarsi in questo ruolo, e soprattutto come ci si sente alla fine dello spettacolo. La sensazione più forte è quella di sentirsi “svuotata” da tutto, priva di forze e completamente in trance. Affrontare questo ruolo è l’augurio che posso fare ad ogni danzatrice.

Esiste un aspetto della tua carriera che ti piacerebbe leggere e che non è stato ancora scritto?
Forse il mio aspetto comico. Ho un aspetto fisico che all’apparenza può risultare molto serio e posato, ma in realtà ho una vena comica che mi caratterizza. Chi mi conosce bene lo sa, chi lo scopre piano piano ne rimane quasi interdetto, sorpreso direi! Ho avuto una sola possibilità in scena di esprimere questa mia vena comica, nel ruolo di una delle due sorellastre di “Cenerentola” di Loris Gay. In realtà ne fui sorpresa anche io perché all’inizio mi sentivo quasi fuori luogo, ero a disagio, poi piano piano ho cominciato ad apprezzare il ruolo ricco di sfaccettature, per poi trovarmi a divertire fino all’inverosimile. Con la mia compagna/sorellastra Alessia Barberini c’era un affiatamento unico, abbiamo sfruttato un’occasione che capita poche volte ad un ballerino classico, quella di essere comiche, ironiche, divertenti e “goffe”. La Signora Fracci ci correggeva in continuazione perché eravamo troppo dolci, troppo carine, troppo delicate, insomma, troppo ballerine! Finché arrivò il primo giorno di prova in palcoscenico. Lì successe qualcosa, ci trasformammo nelle vere sorellastre, delle vere arpie… eravamo un pericolo per tutti. Facevamo scherzi e dispetti in scena a chiunque, ma soprattutto tra noi due, tanto che la Signora Fracci ci disse “ragazze, non vi riconosco più…” Non ricordo di essermi mai divertita così in scena prima di quel momento, e di aver fatto divertire così tanto il pubblico. Ormai durante il terzo atto, appena entravamo in scena la gente cominciava a ridere. Non avevamo più neanche l’ansia per l’esecuzione tecnica, era troppo grande il nostro coinvolgimento emotivo. Alla prima rappresentazione, durante gli applausi finali ci fu per noi una vera ovazione, io ed Alessia all’inizio rimanemmo interdette, non ce lo aspettavamo, e passati i primi secondi di incertezza, ci siamo guardate fiere e abbiamo proseguito i ringraziamenti sull’onda del nostro nuovo essere… Proprio un bel ricordo!

Che programmi hai in serbo per il futuro?
Da quest’anno lavorerò con la Scuola di ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretta da Laura Comi. Ho avuto la nomina di Docente di repertorio classico e di Assistente alla Direzione. Sono molto entusiasta ed onorata per questo incarico di così grande prestigio. Ho la responsabilità di poter lavorare con i ragazzi, per me è un aspetto nuovo ma molto stimolante. I ragazzi hanno una grande voglia di fare e di imparare, sono aperti ad ogni nuovo stimolo, sono curiosi e desiderosi di migliorare. Per me è importante trasferire loro tutta la mia esperienza e la mia competenza, senza tralasciare anche una particolare attenzione anche a quello che è l’aspetto emotivo. Sono sicura che costruiremo insieme un bellissimo rapporto per portare avanti un lavoro serio, costruttivo e anche piacevole. Devo constatare quanto la direttrice Laura Comi abbia fatto in questi anni un lavoro d’eccellenza, ha proseguito il percorso di rilancio della scuola fino a innalzarla ad altissimi livelli. Ha trasferito il suo immenso background, le sue conoscenze, la sua cultura e la sua preparazione, dimostrando di avere profonde capacità sia artistiche che didattiche. Poter lavorare di nuovo accanto a Lei per me è fonte di orgoglio. È assistita da un corpo docenti di grande levatura, guidano i ragazzi ogni giorno con fermezza e autorevolezza. E i risultati si vedono!

Come ti senti quando ti trovi sola a ballare? E quali emozioni rappresentano per te gli applausi?
Una delle sensazioni più belle mentre danzo è sentire sulla mia pelle il calore dei riflettori. È un momento molto intimo e personale, mi capita di provarlo solo alcune volte, non succede ad ogni spettacolo. Solitamente mi accade durante dei momenti di grande trasporto emozionale, in genere verso la fine di un balletto. La sensazione che provo è come se mi trovassi da sola, come se fossi estraniata da tutto, è un rapporto intimo e profondo tra me e il teatro, con il solo suono della musica che mi accompagna e appunto il calore della mia pelle sotto i riflettori. È una mia follia personale! Gli applausi rappresentano un momento unico, si ha il primo contatto vero e diretto con il pubblico, in quel momento si viene ripagati di tutta la fatica che c’è stata in precedenza. Gli applausi rappresentano il vero test, da lì capisci se hai fatto un buon lavoro. Il pubblico va sempre rispettato ed onorato.

Quali ruoli prediligi?
Sicuramente i ruoli narrativi, mi piace raccontare una storia, e mi piacciono i drammi finali.  Riuscire a commuovermi in scena con un dramma da raccontare mi ha sempre affascinata. Prediligo interpretare un ruolo completo, narrando le più svariate vicende, e vivendo tutte le emozioni del personaggio. Sono molto attratta dal lato artistico, ritengo che i danzatori debbano essere anche dei bravissimi attori.

Hai qualche rituale prima di entrare in scena?
In realtà no, piuttosto sono molto metodica nelle abitudini della preparazione. Faccio sempre le stesse cose e nello stesso ordine. Sono quasi maniacale. Dispongo le cose sulla mia toletta sempre nello stesso posto e preparo tutto ciò che mi serve o che può eventualmente servirmi. Calcolo anche gli imprevisti. Amo l’ordine e la mia toletta dev’essere organizzata perfettamente. Le sarte e i parrucchieri conoscono perfettamente tutto ciò di cui ho bisogno e mi fanno trovare il necessario nel camerino così come lo desidero. Sono tutti estremamente gentili, e mi coccolano sempre.

Tu, Gaia, rappresenti la danza. Ma per te cos’è realmente la danza?
In realtà ritengo che sia la danza a rappresentare me. La danza è la mia vita, la Gaia di oggi è così perché in tutta la mia vita la danza ha rappresentato un elemento principale e fondamentale. Quella danza che si ama e che si odia, che ti dà gioia e dolori, gratificazioni e frustrazioni, che ti ricorda i tuoi limiti ma che ti spinge a superarli, e della quale quindi non si può rinunciare. Non mi vedo in vesti o in ambienti diversi, il Teatro fa parte di me, è il mio luogo naturale, è la mia casa. Infatti più che alla danza, mi piace pensare al “Teatro” in generale come ciò che mi rappresenta, ciò di cui non potrò mai fare a meno, e dal quale sarò sempre indissolubilmente legata.


Michele Olivieri
foto © Yasuko Kageyama/TOR e Silvia Lelli
www.giornaledelladanza.com

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