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Infant Spirit: discesa e risalita nell’intimità [RECENSIONE]

Infant Spirit è un assolo intenso e raccolto, che Marco Goecke ha concepito come omaggio a Pina Bausch, e che si snoda come un piccolo viaggio fissato nella carne e nel respiro di Rosario Guerra.

È un pezzo che non cerca la narrativa esplicita, ma lavora con la tensione, il gesto, il corpo come oracolo, come luogo di memoria e desiderio. La musica di Antony and the Johnsons, con la sua voce fragile e struggente, crea il paesaggio emotivo su cui la danza si proietta — non come mera illustrazione, ma come eco, come contrasto, come luogo di risonanza.

Goecke costruisce Infant Spirit attorno ad alcune idee forti: la vulnerabilità, la tensione — interna ed esterna —, la contrazione, la difesa, ma anche l’apertura improvvisa, la speranza che cerca di farsi spazio.

I movimenti sono bruschi, gli arti angolari, spesso il busto incurvato, le spalle arcuate; l’asse del corpo talvolta sembra quasi ceduto al peso dell’insicurezza, alla paura che somigli ad una presenza fisica.

Il collo “affondato”, la testa che si ritrae, lo sguardo che lotta tra fuga e attrazione della luce — sono tutti elementi che comunicano non solo il disagio, ma la libertà che il disagio contiene.

C’è un andamento quasi spasmodico in certe sezioni: ossessivo nel ripetere certe micro-azioni (spostamenti minimi, scatti, tremori), poi improvvisamente sospeso, come se il tempo potesse dilatarsi fino a diventare una membrana sottile che separa l’esterno dall’interno.

Goecke non concede davvero respiro, eppure nei momenti di pausa — se così si possono chiamare — si coglie un senso di grazia che non è consolazione, ma rivelazione: la possibilità stessa del corpo di restare, di sopportare, di cercare.

La performance artistica di Rosario Guerra (ammirata sabato 27 settembre 2025 al Teatro Verdi di Padova nell’ambito del Premio Nazionale Sfera d’Oro per la Danza) è al centro di tutto — non solo come esecutore, ma come figura capace di dare corpo a quel che non si dice. La coreografia è stata creata nel 2018 sul danzatore napoletano quando faceva parte di Gauthier Dance. Nel silenzio del gesto, Rosario danza come un bambino che sogna ad occhi aperti — fragile e feroce, con il cuore nudo e i piedi che raccontano fiabe senza bisogno di parole.

È nella sua fisicità che si vede la dualità del pezzo: fragilità e forza commiste, ferita e desiderio, sottrazione e donazione.

Guerra padroneggia il linguaggio di Goecke: accetta la brutalità del gesto, la verticalità spesso sospesa, ma anche la tensione emotiva, lo sguardo che tradisce tutto. In lui, il corpo non è mai semplice strumento: diventa pelle viva, superficie di confessione. Anche la scelta del costume, l’illuminazione, il disegno spaziale contribuiscono: il corpo isolato, la luce che disegna ombre nette, che lascia parti sommerse nel buio, che talvolta pare aggressiva o aspra come un taglio.

Guerra risponde, si ritrae, ricompare, in un alternarsi che riflette lo stato d’animo evocato dalla partitura sonora. La musica è fatta per questo tipo di complicità. La voce decadente, ma limpida, le atmosfere malinconiche, la tensione tra perdita e speranza — tutto ciò si intreccia con la danza di Goecke, rendendo Infant Spirit. Für Pina Bausch un’esperienza che non è solo visiva, ma acustica, corporea, percettiva.

Le sonorità non sottolineano il gesto, ma lo accompagnano come un indizio, lo sfiorano, lo dilatano, lo contrastano. Le pause, le sospensioni musicali, i momenti più acuti (vocali o strumentali) diventano punti di arrivo della danza, occasioni in cui l’energia interna esplode o implode. Se c’è un filo che corre lungo tutto lo spettacolo, è quello della giovinezza (o meglio: di ciò che essa lascia, di ciò che si porta dietro).

Il titolo Infant Spirit — spirito infantile — parla di un’ancestralità, di un ricordo di sé che precede le maschere, le difese, il mondo sociale. C’è il timore, l’insicurezza, ma anche la curiosità, la ribellione, il baluginare di una speranza che si vorrebbe “infante”, puro, non ancora corrotto dalle delusioni.

Il garofano rosa — il microfono con in cima un garofano rosa, il gesto finale con il garofano appuntato al rever della giacca — sono simboli che richiamano il mondo di Bausch, la memoria, l’estetica della perdita ma anche dell’amore.

Sono come segni che tracciano una linea: dalla caduta alla resurrezione, o almeno al tentativo di risalire, di guardare la vita nonostante le ferite. Infant Spirit colpisce per la sua sincerità: non è coreografia che vuol stupire solo per virtuosismi numerici, bensì per la capacità di rendere palpabile ciò che spesso rimane nascosto: l’insicurezza, la solitudine interiore, la bellezza fragile. È un’esperienza che scuote, che lascia un residuo, una risonanza.

Potrebbero esserci per spettatori meno inclini alla danza contemporanea che richiede vigilanza emotiva: il ritmo interno non è “facile”, il gesto non è sempre “canonico” nel senso tradizionale; la frantumazione, la contrazione, le contorsioni possono risultare ardue. Ma è forse proprio in quella arditezza che il pezzo rivela la sua forza.

Infant Spirit è una piccola gemma nella coreografia contemporanea europea: audace, toccante, autentica.

Con Rosario Guerra che diventa il veicolo di un linguaggio emotivo potente, e con la musica di Antony and the Johnsons che fa da specchio d’anima, Marco Goecke consegna non solo un tributo a Pina Bausch ma anche un’esperienza che parla al presente — alle paure, alle speranze, all’infanzia che non smette di essere viva dentro di noi.

Nel ventre oscuro del palcoscenico, Infant Spirit restituisce la figura di Pina Bausch come fosse una lanterna accesa nel gioco degli dei. Bambina-oracolo nascosta tra i veli del tempo, danzava specchi e ferite, collezionando ombre al pari di compagne della fanciullezza. Ogni suo passo era un varco, una domanda lanciata nel buio con la leggerezza di chi sa che solo chi ha occhi innocenti può ballare la verità.

Michele Olivieri

Foto di Regina Brocke

www.giornaledelladanza.com

© Riproduzione riservata

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