“L’ingiustizia commessa in un luogo qualsiasi del mondo è una minaccia per la giustizia in tutto il mondo”.
Così diceva Martin Luther King Jr., pastore protestante, politico e attivista statunitense, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Queste parole suonano sempre più vere di fronte alle ingiustizie esacerbate dalla pandemia e dai recenti eventi di razzismo sistemico che stanno sconvolgendo il mondo.
La danza come protesta ha una lunga storia, sul palco e fuori. Durante l’era buia dello schiavismo americano, il cakewalk veniva ballato dagli africani ridotti in schiavitù per intrattenere i bianchi. Tuttavia i ‘padroni’ non si rendevano conto quei passi di danza espressi in impettite passeggiate costituivano una sottile parodia dei manierismi, un modo per scimmiottare l’aristocrazia europea. Schernire la pomposità di massa era un modo valido e sicuro per protestare e sfidare l’autorità.
La protesta attraverso la danza ha stimolato la creazione di opere di eccezionale impatto sociale e culturale come Strange Fruit, riflessione straziante sul linciaggio ideata da Pearl Eileen Primus, ballerina, coreografa e antropologa statunitense, allieva di Martha Graham, Charles Weidman, Ismay Andrews e Asadata Dafora.
Oppure Run Sister Run, ideata da Cleo Parker Robinson, danzatrice e coreografa americana, fondatrice e direttrice creativa di Cleo Parker Robinson Dance Ensemble. La sua opera è ispirata alla vicenda dell’attivista del movimento afroamericano statunitense Angela Yvonne Davis, ingiustamente accusata di omicidio e rilasciata dopo anni di carcere.
Le proteste danzate per le strade hanno iniziato a prendere piede principalmente negli Stati Uniti nel 2010, stimolate dalla prova evidente della brutalità di alcuni membri della polizia, fornita dai video dei cellulari. Nel 2020 questo tipo di protesta si è diffusa e consolidata in seguito alla pandemia e alle piaghe sociali conseguenti, confinamento e disoccupazione. L’ormai notorio omicidio di George Floyd ripreso in video è diventato virale e ha suscitato sdegno in tutto il mondo. I ballerini hanno accolto l’appello sociale all’eguaglianza e sono scesi in piazza.
Nelle ultime settimane anche in Europa e in Italia abbiamo visto la danza unirsi, gridare il proprio dolore e la richiesta di riconoscimento e di giustizia sociale.
La voce dei ballerini e degli insegnanti di danza di tutto il Paese si è fatta sentire chiaramente, sempre con l’aplomb, il rispetto delle regole e il controllo che distingue questa straordinaria disciplina e coloro che la amano.
Abbiamo visto il ballerino Danilo Di Leo a Napoli, abbiamo visto le proteste di Roma, Padova e molte altre città italiane. Abbiamo capito che uniti siamo forti, e che diffondere e difendere cultura a dispetto dell’ingiustizia sistemica è un’alternativa all’oppressione e una pacifica risorsa rivoluzionaria.
La danza, infatti, è giusta in ogni sua forma. Ci insegna a ribellarci con grazia e decisione, ci insegna che fatica, sudore e lavoro sodo sono valori da trasmettere. La danza ci chiede di non stare lì a guardare, di agire per migliorare, per come possiamo, la società sempre più indifferente e anestetizzata in cui viviamo.
Stefania Napoli
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