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La musicalità del danzatore: dote innata o competenza acquisita?

Tra le doti più importanti che un ballerino deve possedere rientrano intelligenza, umiltà, determinazione, curiosità e desiderio di crescere. Accanto a queste, però ce n’è un’altra che si rivela essenziale ai fini non solo della performance ma anche della qualità del movimento, ossia la musicalità, elemento che unisce la danza e il danzatore e che permette a quest’ultimo di trasformare la potenza della musica in passi di danza.

Come la musica influenza il nostro umore, così può certamente influenzare l’esecuzione di una coreografia. La musicalità, infatti, crea una relazione simbiotica con la danza di cui definisce la dinamica e l’estetica. Attraverso la musica, il ballerino interiorizza e traduce tecnicamente e cinestesicamente i passi che hanno un ritmo proprio e che si costruiscono attraverso l’analisi della ritmica e della metrica musicale.

Esistono diversi tipi di approccio coreografico riguardo al ritmo: la coreografia a base ritmica che crea una relazione coordinata tra movimento e cadenza musicale tramite conteggi volti a sincronizzare i movimenti alla musica, e a regolarne regolano velocità e ritmo; coreografia a base melodica che crea una sequenza di movimenti basata esclusivamente su una certa linea melodica; la coreografia ritmica e melodica combinata, in cui il movimento si adatta contemporaneamente alla melodia e al ritmo.

Ma la musicalità è innata o si impara? Tutti i ballerini possiedono questa qualità o qualcuno è più dotato di altri?

Ciò che consideriamo un’abilità ‘naturale’ in realtà è per lo più un comportamento appreso nei primi anni di vita. Già nella pancia della mamma, il bambino capta le onde sonore e reagisce alle vibrazioni grazie a connessioni sinaptiche neurali che comunicano i segnali inviati dalle cellule ciliate ai neuroni uditivi primari. L’ascolto della musica, infatti, provoca una risposta corporea spontanea in chiunque, che si traduce in un movimento sintonizzato al ritmo.

Non esiste un gene della musicalità, bensì un’attitudine che può essere stimolata e migliorata. Esattamente come insegna a eseguire una pirouette o un grand jetè, il maestro di danza può e deve aiutare l’allievo a incrementare la propria ricettività alla musica, ossia la capacità di ricevere e comprendere concetti musicali come ritmo, tempo, fraseggio e persino umore generato dalle note ascoltate.

Ricorrendo a conteggi, battute di mani e perfino alla visualizzazione guidata, è possibile stimolare la creatività e la sensibilità musicale anche dei danzatori che manifestano maggiori difficoltà nell’adeguamento al ritmo, tenendo sempre presente che il segreto di una buona musicalità sta in una solida conoscenza della tecnica, perché tutto può essere insegnato quando ci sono passione, attenzione e voglia di trasmettere e imparare.

La musicalità dunque non è connessa semplicemente all’adattamento ritmico del danzatore alla musica, ma è legata a qualcosa di più profondo che proviene all’interno del nostro corpo e che spesso non è percepibile all’orecchio umano, come le pulsazioni del battito cardiaco, per esempio. Più ci ascoltiamo ed entriamo in sintonia con noi stessi, più sarà semplice armonizzarsi alle note provenienti dall’esterno e scelte per raccontare la danza.

Stefania Napoli
www.giornaledelladanza.com

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