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La Reverence: un gesto di grazia, umiltà e tradizione

Nel mondo della danza classica accademica, ogni movimento, ogni gesto, ogni posizione porta con sé secoli di storia, estetica e significato.

Tra questi, la reverence occupa un posto di rilievo, non tanto per la sua complessità tecnica, quanto per la sua carica simbolica e il suo valore rituale.

Spesso relegata alla fine della lezione o dello spettacolo, la reverence è in realtà un momento profondamente significativo, dove si intrecciano rispetto, gratitudine e consapevolezza artistica.

Il termine reverence deriva dal francese, lingua ufficiale della terminologia del balletto classico, e significa “riverenza” o “atto di rispetto profondo”.

Storicamente, la reverence affonda le sue radici nelle corti europee del XVII secolo, dove la danza era parte integrante dell’educazione aristocratica.

I ballerini, spesso nobili essi stessi, erano tenuti ad esprimere omaggio al re, alla corte e ai maestri attraverso gesti codificati, eleganti e misurati.

Con il tempo, queste formule di saluto e ringraziamento si sono cristallizzate nella pratica della danza accademica.

In ambito didattico, la reverence viene eseguita alla fine di ogni lezione, in particolare dopo il lavoro alla sbarra e dopo il centro.

È un gesto semplice ma solenne, sovente accompagnato da una musica lenta e cerimoniale.

Le ballerine inchinano il busto e piegano le ginocchia in un profondo plié, mentre i ballerini possono optare per un’inclinazione più discreta ma altrettanto rispettosa.

Si ringrazia il maestro o la maestra, il pianista (quando presente), e si onora simbolicamente lo spazio sacro della sala di danza.

La reverence non è solo una formalità, ma un momento di riflessione e interiorizzazione.

È un modo per chiudere il cerchio, per riconoscere lo sforzo fisico e mentale appena compiuto, per dimostrare umiltà e gratitudine.

La reverence ci ricorda che la danza è soprattutto disciplina, ascolto e rispetto: per sé stessi, per chi insegna, per chi osserva.

In contesto teatrale, la reverence prende la forma dell’inchino finale, spesso coreografato in armonia con il resto dello spettacolo.

È il momento in cui il danzatore si concede al pubblico, offrendo un ringraziamento silenzioso per l’attenzione ricevuta.

Non è solo un atto di cortesia, ma una dichiarazione d’amore per l’arte stessa: è lì che il performer esce dal personaggio e ritorna persona, vulnerabile, reale, umana.

Insegnare la reverence ai giovani allievi significa trasmettere loro una visione della danza che va oltre la tecnica.

Significa educarli alla consapevolezza del proprio corpo come strumento espressivo, ma anche come veicolo di relazione.

Significa mostrare loro che l’eleganza non sta solo nella linea perfetta di una gamba o nella tenuta impeccabile del port de bras, ma anche nella capacità di onorare ciò che si fa, chi lo insegna e chi lo riceve.

La reverence, nella sua apparente semplicità, è un gesto potente. È il punto di incontro tra forma e sostanza, tra estetica ed etica.

È il respiro finale dopo una sequenza intensa, il sorriso silenzioso che chiude una storia danzata, l’eco di un’arte che continua a vivere, ogni giorno, nel rispetto delle sue radici e nella speranza del suo futuro.

Chi danza e chi insegna sa che, in quel breve inchino, c’è tutta l’essenza della danza classica.

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

©️ Riproduzione riservata

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