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Maria Antonietta e il linguaggio silenzioso della danza

Nel cuore sfarzoso della Reggia di Versailles, quando i rintocchi del clavicembalo sfioravano l’aria come dita leggere su una superficie d’acqua, Maria Antonietta danzava.

La madre, Maria Teresa d’Austria, garantì alla giovane arciduchessa una formazione completa. Tra maestri di musica, di etichetta e di francese, Maria Antonietta apprese anche le basidella danza di corte, esercizio indispensabile per brillare sotto i candelabri del potere europeo.

Maria Antonietta non era solo la regina, né soltanto la figura controversa di intrighi politici: in quei momenti, era una ragazza viennese che non aveva mai smesso di cercare uno spazio di libertà.

La danza era il suo rifugio. Fin da bambina, alla corte degli Asburgo, aveva imparato i passi del minuetto e della gavotta, ma fu a Versailles che trasformò il rituale in qualcosa di più.

Nella dorata residenza reale alle porte di Parigi, la danza era più di un passatempo: era una forma codificata di politica. Il ballo di corte, erede del balletto rinascimentale francese, serviva a stabilire gerarchie, a mostrare favori e ad affermare identità.

Lontana dagli occhi rigidi dei ministri e dalla lingua tagliente dei cortigiani, Maria Antonietta trovava nella danza un linguaggio senza parole, dove nessuno poteva interromperla, correggerla o giudicarla.

Ogni passo era un atto di resistenza silenziosa. Quando i problemi di Stato si facevano pressanti, quando il popolo mormorava fuori dai cancelli e la politica stringeva il suo laccio attorno al trono, lei si rifugiava nel Petit Théâtre, il suo mondo privato.

Il Petit Théâtre de la Reine (1780) fu eretto appositamente per la regina Maria Antonietta dall’architetto Richard Mique nel parco del castello di Versailles. Un luogo segreto, appartato, lontano dalla corte.

Lì, con poche amiche fidate e qualche musicista discreto, Maria Antonietta ballava fino allo sfinimento, come se potesse spazzare via, a colpi di pirouette, il peso della corona.

C’era una indipendenza particolare nel modo in cui sollevava le braccia o voltava il viso a metà di un passo: non era solo grazia, era una condizione di piena autonomia.

Molti oggi la ricordano per il lusso,  l’opulenza, l’eccesso, la collezione di scarpe, i pasticcini e le parrucche.

Ma nessuno racconta di quella sera del 1786, in cui danzò da sola sotto una pioggia d’estate, senza musica, con i piedi nudi sul marmo del Trianon, mentre le lanterne illuminavano i suoi volteggi.

Le sue dame di compagnia la guardavano in silenzio, incapaci di interrompere quel momento così fragile, così vero.

In ogni ballo, la sovrana cercava di riconciliare dovere e desiderio, maschera e verità, ruolo e persona.

La danza, per Maria Antonietta, non era mai stata solo divertimento. Era fuga, verità, respiro. Era il luogo in cui la figlia degli Asburgo tornava ad essere semplicemente Maria, lontana dai tamburi della rivoluzione che già iniziavano a farsi sentire sullo sfondo della Storia.

Michele Olivieri

www.giornaledelladanza.com

©️ Riproduzione riservata

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