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Maximiliano Guerra, eccellenza della danza [ESCLUSIVA]

Massimiliano Guerra

Maximiliano Guerra è nato in Argentina, ha studiato all’Istituto delle Arti del Teatro Colón di Buenos Aires con Wasil Tupin, Mercedes Serrano, Leandro Regueiro e, all’estero, con Woitek Lowsky e Stanley Williams. Dopo aver danzato con il Balletto del Teatro Argentino di La Plata e con la Teresa Carreno Foundation in Venezuela, nel 1985 entra a far parte della Compagnia del Teatro Colón di Buenos Aires. Nel 1988 inizia la sua carriera internazionale, con l’invito di John Clifford a partecipare con il Los Angeles Ballet a una lunga tournée negli Stati Uniti. Nello stesso anno, invitato da Peter Schaufuss, entra a far parte dell’English National Ballet come Principal Dancer e, un anno più tardi, è nominato Senior Principal Dancer. Nel 1991 passa come Primo ballerino alla Deutsche Oper di Berlino. E nello stesso anno, invitato dal Teatro dell’Opera di Novosibirsk, danza “Spartacus” di Jurij Grigorovic, diventando il primo ballerino non sovietico a interpretare questa produzione. Il 1992 segna l’inizio della sua straordinaria carriera come ospite delle più prestigiose compagnie del mondo. Partecipa, inoltre, a una tournée del Kirov negli Stati Uniti e inizia una lunga collaborazione con il Teatro alla Scala di cui è stato “Primo ballerino ospite principale”. Nella sua carriera si è esibito in tutti i più prestigiosi teatri del mondo dal Bolschoi di Mosca alla Royal Albert Hall di Londra, dal Metropolitan di New York al Kirov di San Pietroburgo e al Kennedy Center di Washington. Il suo repertorio comprende più di cento produzioni, dai grandi balletti classici sino a quelli d’avanguardia. Ha interpretato La Sylphide nelle versioni di Taglioni-Lacotte e Bournonville, La Bella addormentata, Il lago dei cigni, Lo schiaccianoci e Don Chisciotte di Rudolf Nureyev, La Bayadère sia di Grigorovic che di Natalia Makarova, La bisbetica domata e Onegin di John Cranko, Romeo e Giulietta nelle versioni di Frederick Ashton, Leonid Lavrovskij, Vladimir Vassiliev e Kenneth MacMillan. Si possono inoltre citare numerosi balletti di Maurice Béjart, George Balanchine, Ronald Hynd, Harald Lander e Antony Tudor. Il coreografo John Neumeier ha creato per lui Nachtskizzen su musica di Béla Bartók e Oscar Araiz, Astor, l’Angelo e il Diavolo e Con gloria morir su musiche popolari argentine. Tra i riconoscimenti più ambiti, spiccano il Grand Prix e Medaglia d’argento al V Festival di Trujillo in Perù e la Medaglia d’argento all’International Ballet Competition di Varna in Bulgaria. Ha inoltre ricevuto alcuni premi per il suo impegno sociale: The Winners Don’t Use Drugs, il “Riconoscimento Internazionale delle Nazioni Unite”; nel 2000 è stato designato “Messaggero di Pace” dall’Unesco.

Gentile Maximiliano, partiamo con il raccontare gli inizi della tua formazione e come hai scoperto la danza?

Ho scoperto la danza quasi per caso. Mia sorella già ballava mentre io giocavo a calcio, un giorno mia mamma mi ha portato a prendere mia sorella allo studio ed io mi sono innamorato di quello che facevano a lezione, i movimenti sulla musica, così chiesi di provare. Un anno dopo era tutto quel che volevo fare.


Per il balletto hai abbandonato la tua passione per il calcio, il tuo sogno d’infanzia di giocare da professionista. A distanza di anni ti sei pentito di questa scelta?

In assoluto mi piace molto il calcio però non è stato mai paragonabile alla passione che ho sempre nutrito per la danza. Ballerino si nasce, calciatore anche. Io sono nato Ballerino sia di anima che di mente.


Il tuo percorso formativo coreutico nasce grazie al maestro Wasil Tupin. Come sono stati i primi anni di studio?

Il mio primo maestro Wasil Tupin ci dava lezioni di danza ma anche di vita, ci insegnava come salire sul palcoscenico ma soprattutto come amare e rispettare il mestiere, la storia, e sapere il perché eravamo lì in ogni passo per raccontare i personaggi. Era un grande maestro. Così i miei primi anni sono stati meravigliosi, imparando tutti giorni cose nuove e scoprendo me stesso come artista.


Sei rimasto in contatto con alcuni dei tuoi compagni di corso dei primi anni da allievo?

Certo, con Julio Bocca ed altri colleghi che ancora vedo, è sempre bello ricordare quei tempi.


Ti ricordi la primissima volta in cui hai calcato il palcoscenico in veste di allievo e la prima volta in quella di danzatore professionista?

Assolutamente!!!! Era una produzione di “Spartacus” al teatro Colon di Buenos Aires, avevo solo undici anni, mi ricordo la magia del palcoscenico, una specie di tempio sacro dell’arte. Rammento tutti i sensi, i profumi, le luci, l’orchestra e il pubblico. Se ci penso, chiudo gli occhi e viaggio con il pensiero ed è come se fosse ancora oggi.


Maximiliano sei considerato da tutti i critici ed esperti internazionali uno dei più importanti ballerini classici del secolo. Che effetto ti fa?

Mi intimidisce ma mi piace, perché quando si lavora molto per arrivare a dare il massimo in ogni performance, per cercare di sedurre il pubblico, ciò fa piacere come nell’essere riconosciuto ed acclamato. Il segreto è mai smettere d’imparare… se oggi è andata bene domani deve andare meglio, ed è così che si mantiene vivo il giudizio e l’affetto del pubblico. Per un artista non si può rimanere senza crescita… nemmeno un solo giorno!!


A tutti gli amanti della danza sono note le tue capacità tecniche, la versatilità artistica nell’interpretazione di ruoli classici e moderni unitamente al vigore e ad una grande destrezza fisica. Dove trovavi tutta quella potenza, sicurezza e quel magnetismo in scena?

Ci sono qualità con cui si nasce ed altre per le quali bisogna lavorarci molto. Di conseguenza devo dire che la potenza ed il magnetismo vengono dalla culla, il resto l’ho creato a forza di disciplina e desiderio di dare il massimo. Avendo sempre la coscienza che ciò che facciamo è arte. Mai lasciare che la danza muoia nella mancanza di destrezza.


Cosa ha significato per te danzare “Spartacus” di Grigorovic?

È stato l’apice della mia carriera, sono stato il primo ballerino non-sovietico a ballare in quel ruolo. Un personaggio a cui mi sento molto vicino ideologicamente, e che possiede una forza interpretativa d’eccellenza. Una danza forte in cui si lascia l’anima per trasmettere lo spirito di questo magnifico personaggio.


Quali sono state le maggiori difficoltà in sala prova nel montare questo balletto?

Capire il vero senso creativo che il coreografo, mediante la sua visione, desidera infondere al balletto.


La tua famiglia, da giovane, ti ha sempre supportato nella scelta di diventare ballerino?

Sì, la mia famiglia è sempre stata orgogliosa delle scelte sia delle mie sorelle che le mie.


Tra tutti i tuoi maestri a chi sei più grato?

Sarei ingrato se parlassi soltanto di alcuni, tutti sono stati molto importanti e ne sono grato.


Da protagonista il tuo percorso è iniziato presso la Compagnia del Teatro Colón di Buenos Aires. Che anni erano per la danza e che aria si respirava?

Erano anni di cambiamento sociale e politico, la danza era in un ottimo momento, il Colon programmava la migliore stagione in circolazione. Si vedeva una compagnia in crescita. Da lì la danza argentina è diventata celebre in tutto il mondo.


Che ricordi hai di Peter Schaufuss?

Molti, lui mi portò a ballare a Londra e mi fece conoscere in Europa, ho imparato assai da lui, è sempre stato generosissimo come direttore ed era un piacere danzare sotto la sua guida.


Mentre di John Neumeier che ha creato dei titoli appositamente per te?

Un grande creatore, l’unico che ancora oggi riesce a trascrivere storie nuove in balletti. Se c’è un coreografo che ti invita a creare con i suoi personaggi è lui.


Poi c’è stata la trionfale tournée americana con il Balletto del Kirov, un grandissimo successo. Quanti sacrifici hai dovuto sostenere per raggiungere questa consacrazione?

Ho sempre pensato che quello che faccio per la danza non è un sacrificio, a volte il lavoro si fa duro, ma i risultati e il piacere sono appaganti e assapori la leggerezza del fatto compiuto. Una specie di ventata d’aria fresca nel cuore, e così è stata quell’esperienza, danzare come ospite della compagnia del Kirov dove tutto è nato fu come toccare il cielo!


A tuo parere, visto dal di dentro, com’è il mondo della danza? È sempre tutto rose e fiori come appare in scena?

No, ci sono un sacco di contrattempi, dolori ed incertezze, una concorrenza sempre maggiore con te stesso e a volte anche può mancare la voglia, però se sei professionista devi andare avanti e fare in modo che allora lo spettacolo diventi tutto rose e fiori.


Tra i tanti premi vinti non possiamo dimenticare la prestigiosa medaglia d’oro all’International Ballet Competition di Varna in Bulgaria. Sicuramente uno dei massimi Concorsi a livello mondiale. Ricordi cosa avevi danzato e chi c’era in commissione?

Sì lo ricordo, ho vinto la medaglia d’oro al Festival di Varna, ballando diverse variazioni perché mi ero presentato come danzatore solista. Ho danzato tra le altre variazioni, lo Schiaccianoci, Don Quisciotte, Diana e Atteone, Il corsaro. Tra i tanti giurati era presente Grigorovich, Alicia Alonso, Vassiliev. È stato un momento di giro nella mia carriera. Adesso da più anni sono io nella giuria e mi piace ricordare quel momento nel vedere i nuovi talenti iniziare la loro carriera.


L’elenco delle tue collaborazioni è lunghissimo, certamente non possiamo dimenticare quella con il Teatro alla Scala di Milano. Che tipo di esperienza è stata e cosa rammenti con maggior piacere di quegli anni e quali sono state le soddisfazioni che porti nel cuore?

Sarebbe poco elencarli, la Scala mi ha dato i migliori momenti della mia carriera artistica, ricordo che sono arrivato per segnalazione di Rudolf Nureyev e da lì non mi sono più staccato da quel meraviglioso teatro. Ricordo molte performance indimenticabili ma soprattutto quelle danzate con Alessandra Ferri e Carla Fracci.


Hai danzato con grandissime étoile e ballerine. Tra tutte le tue partner, con chi hai trovato la magia perfetta artistica in scena?

Alessandra Ferri, sentivo che ogni sera era una premiere diversa, e percepivo che le anime si incontravano come se fossero una sola. E anche con Patricia, per la quale sento che siamo ancora in sintonia l’uno per l’altro in ogni passo, in ogni sguardo, e possiamo creare una significativa magia da offrire al pubblico.


Un tuo ricordo su Rudolf Nureyev, ancora oggi tanto amato e considerato. Mi ricordo una straordinaria serata al Teatro Smeraldo di Milano in cui partecipavi al galà “Nureyev and Friends” al suo fianco?

Certo, i miei ricordi su Rudolf sono di un artista disciplinato, esigente, perfezionista e generoso. Quando saliva sul palcoscenico era un animale artistico. Ho avuto l’onore ed il piacere di lavorare con lui.


Nella tua carriera hai avuto tante nomine, primo ballerino all’English National Ballet. Primo ballerino alla Deutsche Oper di Berlino. Primo ballerino ospite alla Scala di Milano. Tra tutte queste prestigiose nomine a quale sei più legato affettivamente?

Sicuramente a quella della Scala, soprattutto perché ho potuto sviluppare e crescere con quel pubblico d’eccellenza.


Hai danzato nei maggiori teatri del mondo anche in qualità di guest star e ospite. Sicuramente le emozioni sono tante però dovendo scegliere quale sono state le serate più memorabili?

La prima volta che ho ballato al Marinsky, è stata senza dubbio quella che ricordo di più nel profondo del mio cuore, ero giovanissimo e mi chiedevo come fossi arrivato lì… nella culla del balletto mondiale.


Tra i tanti personaggi internazionali della danza che hai incontrato, danzatori e coreografi, chi ti ha colpito in particolar modo e perché?

Maurice Bejart, aveva uno sguardo che sembrava entrasse dentro e ti studiasse. Così era anche Rudolf. E non posso dimenticare Maia Plisetskaya, una grande compagna di scena.


In quale ruolo da “protagonista” ti sei sentito più a tuo agio sia per emotività sia per qualità tecniche nei balletti del grande repertorio classico e anche in quelli modern?

In tanti, ma “Spartacus” rimane per me il migliore.


Sei celebre anche per l’impegno umanitario. Hai prestato la tua collaborazione per tante fondazioni ed ospedali anche per la salvaguardia dell’ambiente, la sensibilazzione Cardiologica in Argentina, ma anche contro l’AIDS. Tutto ciò ti ha reso onore e ha mostrato la tua grande sensibilità rivolta al “sociale” venendo nominato nel 2000 “Messaggero di Pace” dall’Unesco. Quanto è importante per te prestare la tua immagine e collaborazione alla solidarietà?

Credo che innanzitutto noi siamo parte della società e non possiamo essere indifferenti alle necessità degli altri, anche se ci fa sentire bene, gli artisti hanno una voce che si ascolta e la nostra responsabilità è quella di sensibilizzare tutti e mostrare cosa si può fare per migliorare tante situazioni di vita. Anche perché noi non siamo immuni dal soffrire.


Hai danzato in tanti teatri ma dove ti sei sentito più “a casa”?

Al Teatro alla Scala di Milano.


Nel panorama attuale mondiale a chi riconosci l’eccellenza tra i danzatori e danzatrici?

Difficile, siamo ad un livello attuale in cui c’è la presenza di molta danza ma purtroppo senz’anima, mancano dei veri artisti. Sono felice che Alessandra Ferri sia tornata in scena. Lei è un artista che molte danzatrici di oggi dovrebbero prendere come esempio per apprendere la disciplina.


Recentemente sei stato nominato Direttore del Balletto Teatro Colòn di Buenos Aires. Una grande soddisfazione, come sono le tue linee guida e quali i maggiori cambiamenti e sogni per la celebre Compagnia di danza argentina?

Soprattutto cambiamenti di mentalità. Il Colon è una compagnia molto talentuosa però con diversi problemi sindacali, loro si sentono artisti ma non lavorano in questo senso. Anch’io sto portando nuove creazioni di coreografi per cercare di fargli capire come si deve lavorare oggi giorno nel mondo della danza professionale.


Cosa ricordi con più piacere dell’Italia?

Tutto, il lavoro e il cibo. E soprattutto il mio amore per quella terra che mi ha dato i miei nonni, mi ha accolto a braccia aperte e mi ha permesso di crescere mia figlia.


Ha da poco debuttato presso il Teatro Colon la tua versione del “Don Chisciotte”. Parlaci di questa creazione coreografica?

Questa creazione è andata in scena per la prima volta nel 2000 a Stoccarda, al Colon arriva con una diversa scenografia ma è la stessa coreografia. È così meraviglioso poter mostrare nel mio paese ciò che ho realizzato all’estero.


Mentre dell’esperienza con la Compagnia “Ballet del Mercosur” quali sono gli stimoli che ti hanno spinto nel 2012 ad intraprendere questo percorso?

Ho fondato il Ballet del Mercosur nel 1999, principalmente per dare lavoro a tanti ballerini che non l’avevano, molti talenti che si perdevano senza poter salire sul palcoscenico. Così ho fondato questa realtà e ancora oggi prosegue con creazioni di nuovi coreografi. Reputo molto importante poter anche sviluppare l’unità culturale dei nostri paesi della comunità.


C’è un aspetto della tua carriera, un personale ricordo o un aneddoto di cui non si è mai parlato ma che vorresti far conoscere?

Una volta ballando al Bolshoi a Mosca, mi aspettavano tutti come il grande giovane che arrivava dall’occidente a far vedere le sue capacità. Arrivai a teatro presto come sempre, mi preparai, mi riscaldai, mi truccai e al momento della vestizione mi accorsi di aver dimenticato il costume in hotel… mi sentii malissimo! Poi, per fortuna, mi prestarono i costumi di scena di Mukhamedov ed entrai in scena per danzare!!!!


Grazie alla danza hai conosciuto e incontrato anche tua moglie, la danzatrice Patricia Baca Urquiza. Cosa ti ha colpito in assoluto di lei, artisticamente parlando?

Patricia è un artista nata, la sua intensità è ineguagliabile. Trovo che sia meravigliosa sia sul palcoscenico che nella vita di tutti i giorni. Perfezionista, lavoratrice ed intelligente. Ha sempre qualcosa in più da offrire… tutto ciò la rende unica!


Un tuo personale pensiero per definire l’Arte della danza?

Libertà!!! La danza è il modo di esprimere tutto ciò che le parole non riescono.

 

Michele Olivieri

 

www.giornaledelladanza.com

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