Stasi incidentali – Riflessione su uno stato di salute precario
Stare fermo. Stare. L’enciclopedia Treccani ci ricorda essere uno dei verbi più comuni della lingua italiana che racchiude concetti quali “permanenza” e “immobilità”. Interessante è la sua etimologia – di antica radice indoeuropea – che conduce al concetto di “arrestarsi”, ma che riporta ad altri verbi quali «assistere, consistere, esistere, resistere, restare, sostare, stanziare, sussistere». Sì, certo, fermarsi ma anche assistere, resistere, stanziare.
Ed è proprio da queste altre parole che si muove questa riflessione. Mai come in questo caso specifico lo “stare” non è deciso, ma solo subìto e per una causa più che giusta, la salute del prossimo ancor prima della propria. Questo è un fatto. Come è un fatto che da settimane medici, infermieri, e tutta una serie di figure professionali specializzate stanno operando in maniera concitata per garantire al popolo l’assistenza necessaria durante l’emergenza. Dunque fermi, sì, ma non tutti. Alcuni corrono e a loro il “grazie”, anzi la “gratitudine” è doverosa oltre che sentita. La danza – poco importa se con “d” maiuscola o minuscola – si è dovuta arrestare.
Tant’è. Con enorme sacrificio, sia in termini economici che psicologici, e con uno stacco dei secondi sui primi. Vero è che siamo già abituati al sacrificio economico, ai tagli improvvisi e inspiegabili, alle disoccupazioni che giungono – se giungono – in tempi dilatati, perdendo la loro effettiva funzione di sussistenza nell’immediato periodo appunto di “disoccupazione”.
Poi c’è il grande arcipelago di “scuole private” che operando sul territorio nutrono – in alcuni casi con buoni risultati – la formazione delle giovanissime e dei giovanissimi. Ed è forse a loro che è dedicato questo pensiero. 1 Molti hanno parlato dell’emergenza Covid-19 come di una guerra, e in effetti i numeri ci sono: morti e feriti senza dubbio. Quanto ai “bombardamenti” la situazione non è poi più felice.
Certo, nulla in confronto a ciò che sta succedendo in questo stesso momento storico qualche centinaio di chilometro a sud-est (Gaza, Siria, tanto per fare un esempio), ma se pensiamo al bombardamento di dati e materiali telematici vari ed eventuali cui stiamo sottoponendo le giovanissime e i giovanissimi non c’è da rincuorarsi. Dunque stare, stare fermi, ma possibilmente in movimento. Un controsenso, o meglio una stasi controproducente.
Prendiamo la giornata tipo di un/a adolescente. Sveglia un po’ più tardi del solito, diciamo alle 8, perché la prima lezione on-line è alle 8.30, o anche alle 9.00, e non c’è traffico dal bagno alla cameretta. In media 4 ore di lezione, quindi dalle 3 alle 4 discipline. Pranzo. Pranzo luculliano in alcuni casi – ovviamente i casi più fortunati – perché i genitori che in genere lavorano in ufficio, ora con lo smart working operano in casa a hanno ore per preparare da mangiare.
Pomeriggio e sera il bombardamento vero e proprio di attività: video-conferenze, videoparty, video-aperitivi, TikTok – Make your day (Real people Real Day), Instagram, Facebook, video-lezione di danza, video-addominali, video-flessioni, video-saluto-al-sole (anche al tramonto), video-pilates. Insomma tutto video. Stiamo “consigliando” di adoperare metodi e modi che i giovanissimi e le giovanissime già praticavano e contro cui ci siamo scagliati in maniera bigotta e talvolta bacchettona fino a poche settimane fa (quattro per l’esattezza) quando questa non era ancora emergenza ma solo una banale influenza più virulenta del solito.
I motivi sono nobili, la modalità forse plebea. Perché in realtà stiamo solo riproducendo una normalità nella extra-ordinarietà, dunque un controsenso. Si sa, il corpo ha necessità di muoversi, di correre, di esplodere, ma siamo sicuri che questa sia la modalità più opportuna? Come si fa a correre ed esplodere nei metri quadri della proprio soggiorno? Semplicemente non si può. Un grand battement che non esplode semplicemente non è un grand battement.
Non sarebbe invece più opportuno educare non alla stasi, all’immobilità, ma allo stare? D’altra parte è quello che professiamo durante un momento di tenuta alla sbarra o al centro: “stai lì ma continua a muoverti internamente, il relevé è vivo, incede anche se sei sul posto”.
L’abbiamo sentito o detto milioni di volte. Dunque educhiamo a questo, all’essere in movimento pur accettando una stasi, un arresto che è temporaneo, e lo sappiamo. 2 Lasciamo loro lo spazio, il loro spazio immaginativo, lasciamoli nella loro cameretta, a ballare con la loro musica preferita, a saltare dal letto al divano sulle note della sigla del telegiornale o qualsiasi altra cosa, ma lasciamo che siano loro a decidere cosa, come e quando.
Lasciamogli la voglia di fantasticare. Se proprio noi grandi non sappiamo stare, chiediamo loro il segreto, chiediamogli quale musica ascoltano, qual è la loro ballerina preferita e perché no invogliamoli alla lettura, magari leggiamo insieme a loro e chiediamo cosa pensano di quelle righe. Stare.
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