In un regno sospeso tra sogno e destino, dove la musica non è solo suono ma respiro, vivono due nomi – Odette e Odile – specchio e ombra dello stesso battito d’ali.
Odette, candore che danza nella luce dell’alba, cigno bianco di un’anima prigioniera, è la promessa dell’amore puro, l’innocenza che resiste al sortilegio del tempo.
Odile, nera come la notte che seduce, è la scintilla del desiderio travestita da verità, il volto che mente con grazia e sorriso, l’incanto dell’illusione fatta carne e pirouette.
Due corpi, un solo danzare. Un’unica ballerina che li incarna entrambi: non come scelta, ma come necessità. Perché dentro ogni essere umano coabitano la grazia e la tentazione, la verità che implora fedeltà e la maschera che vuole essere vista.
Il principe, in mezzo, non sa vedere. Non sa distinguere tra ciò che luccica e ciò che brilla. E come spesso accade, l’inganno ha la voce più forte. Ma la verità, anche trafitta, non svanisce. Odette non muore: si trasfigura. Va oltre la carne, oltre la danza.
E così, Il Lago dei Cigni non è solo una favola tragica, ma una meditazione sull’identità.
Chi siamo, davvero? Siamo Odette quando amiamo senza difese. Siamo Odile quando ci travestiamo per sopravvivere. E in entrambi i casi, siamo profondamente umani.
Nel passo a due tra luce e ombra, il cuore riconosce sé stesso. E il palcoscenico si fa specchio dove ciascuno può vedere la propria lotta tra l’angelo e la tentazione, tra ciò che è e ciò che appare.
Odette e Odile non sono due. Sono l’eterno conflitto che danza silenzioso nel cuore di ognuno.
Michele Olivieri
Foto di Ocs Alvarez
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