Valentino Zucchetti è nato a Calcinate (Bergamo) ed è vissuto a Palazzolo sull’Oglio (Brescia). Dal 2010 fa parte dell’organico del Royal Ballet di Londra ed attualmente è ballerino Primo Solista. Ha studiato dapprima alla Enjoy Dance di Sarnico (Bergamo), poi ha frequentato la Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala di Milano ed in seguito ad un’audizione si è trasferito a Londra dove ha ottenuto il Diploma alla “Royal Ballet School” all’interno della prestigiosa “Royal Opera House”. Dal 2007 è presente sui palcoscenici internazionali avendo anche fatto parte dello “Zürich Ballet” e del “Norwegian National Ballet”. Si è già cimentato con l’arte della coreografia sia per la Royal Ballet School che per il New English Ballet Theatre. Nel 2006 ha vinto il Genée International Ballet Competition e nel 2007 il Solo Seal Award. Ha creato un ruolo dal film di Christopher Hampson “Three Dialogues” per i matinee annuali della Scuola. Nel suo repertorio, prima di Londra, sono presenti Gurn (La Sylphide) e il Principe (Lo Schiaccianoci). Valentino Zucchetti con “The Royal Ballet” ha danzato in: Colas (La Fille mal gardée), Rhapsody, blue boy (Les Patineurs), Lescaut and Beggar Chief (Manon), Brother Clown (The Winter’s Tale), Gypsy Girl’s Lover (The Two Pigeons), Lensky (Onegin), Espada (Don Quixote), Hilarion (Giselle), Puck (The Dream), Hans-Peter and Prince (Lo Schiaccianoci), Mercutio and Lead Mandolin (Romeo e Giulietta), Bronze Idol (La Bayadère), Officer (Anastasia), pas de trois (Il lago dei cigni), Bluebird (La bella Addormentata), Fool (The Prince of the Pagodas) e in “Scènes de ballet”, “Symphonic Variations”, “DGV: Danse à grande vitesse” e “Within the Golden Hour”. Ha ballato in creazioni di Carlos Acosta, Kim Brandstrup, David Dawson, Alastair Marriott, Liam Scarlett, Heinz Spoerli e Christopher Wheeldon. Nel 2005 Valentino Zucchetti ha vinto lo “School’s Ursula Moreton Choreographic Award”. Nel 2013 ha coreografato “Sonata for Six” per i matinee della Scuola e ha creato regolarmente pezzi per la “Royal Ballet Draft Works”. Inoltre, sempre nel 2013, ha coreografato “Orbital Motion” per il New English Ballet Theatre.
Gentile Valentino, tu arrivi da un piccolo centro vicino a Brescia; come ti sei avvicinato alla danza e quali sono stati i motivi determinanti che ti hanno fatto innamorare di questa nobile arte?
Tramite la televisione. Stavo guardando il “Don Quixotte” con Baryshnikov su Rai Tre, mi ricordo ancora, avevo tre anni e subito ho detto, “voglio anch’io fare così”. Dopo aver tartassato mia mamma per sei mesi, finalmente, capii che facevo sul serio e così cominciai a studiare danza all’età di quattro anni. Dico sempre che è stata come una chiamata, non ho mai avuto dubbi, fin dall’inizio, il che pensandoci adesso mi sembra abbastanza strano per un bambino di tre anni.
Mentre le maggiori difficoltà nello scegliere lo studio della danza, quali sono state?
I sacrifici sono tanti, nel senso sia sociale che economico. Per anni ho passato praticamente tutto il mio tempo libero a studiare danza, spesso anche il sabato e la domenica, a me non è mai pesato in quanto ballare è sempre stata una passione… per molte persone questo può risultare difficile! Lo studio della danza richiede dedizione e tantissimo lavoro, il che purtroppo al giorno d’oggi non va molto di moda. Si cerca sempre di trovare una scorciatoia oppure di arrivare ad un traguardo più sbrigativo o semplificato, ma con la danza questo non è possibile, pur avendo un talento naturale.
Sei l’unico che si occupa di danza nella tua famiglia?
Sì! Nessuno nella mia famiglia ma nemmeno amici o conoscenti ha mai praticato, né visto danza, fino a quando non ho iniziato io.
Se dovessi indirizzare un grazie alle persone che hanno segnato maggiormente il tuo percorso artistico a chi lo indirizzeresti?
Certamente in primis ai miei genitori. Mi hanno sempre sostenuto, nonostante non fossero esperti in materia, ma vedendo che prendevo sul serio le lezioni e che tutto ciò mi rendeva felice mi hanno supportato fin da subito. Supporto che non ho mai preso per scontato. Poi ovviamente ringrazio i tanti insegnanti che incontrato nel mio percorso i quali hanno aggiunto, l’uno dopo l’altro, elementi di sviluppo: Cristina Zatti, Michele Vegis, Paolo Podini e numerosi altri in tutto il mondo.
Quando hai capito che investire sulla danza sarebbe stato per te fondamentale?
Per qualche motivo ho sempre saputo dentro di me di voler fare questo, quindi non c’è stato un momento preciso. Penso che la mia decisione di andare alla Scuola della Scala, ad undici anni, sia stato il primo serio passo di tanti.
Come descriveresti, nel complesso la tua esperienza alla Royal Ballet School?
L’esperienza è stata fantastica e mi ha introdotto in un network di persone di cui ne faccio parte ancora oggi. La cosa che mi ha colpito di più è la vicinanza con il teatro e la Royal Ballet. Come studenti utilizzavamo la mensa della compagnia, quindi tutti i giorni guardavo le loro prove, durante le pause e molte sere assistevo agli spettacoli dietro le quinte. Non c’è modo migliore per mantenermi motivato.
E alla Scuola di ballo della Scala di Milano?
La Scuola della Scala è stata fondamentale per donarmi un’ottima tecnica di base. È un’accademia rigorosa dove mi hanno insegnato disciplina e duro lavoro che mi contraddistinguono ancor oggi in qualità di ballerino professionista.
Secondo te, l’espressività… il procurare emozioni al pubblico quanto è determinante nella carriera di un ballerino al di là della tecnica?
È fondamentale. Specialmente per come si percepisce la danza oggi. Con l’avvento di YouTube ormai è possibile vedere ballerini in tutto il mondo fare cose tecnicamente spettacolari, il che alza le aspettative del pubblico nell’assistere alle stesse cose in scena. Quello che si sta perdendo è la teatralità della danza. La danza è l’arte del movimento il che vuol dire che come arte ha il compito di trasmettere emozioni, qualunque esse siano, dalle più astratte di pura bellezza alle più complesse emotivamente.
Che mondo è quello della danza visto dal suo interno?
Sicuramente una nicchia. Penso che ogni ballerino sia consapevole di far parte di un mondo totalmente a sé, ma un aspetto della danza che poco viene discusso è quello di unità e multiculturalità. Ho ballato in giro per il mondo e ho amici di ogni nazionalità, e quello che ci accomuna è una forma d’arte che riesce ad oltrepassare le barriere linguistiche e sociali.
Tra le varie esperienze c’è stata anche quella a Zurigo e a Oslo. Come ti hanno arricchito artisticamente entrambe?
Sono state esperienze molto istruttive specialmente per quanto riguarda la varietà di repertorio. In quei tre anni prima di entrare alla “Royal Ballet” ho avuto fortuna di lavorare con parecchi coreografi sia neoclassici che moderni, nomi come Jirj Kylian, Forsythe, Duato, Lightfoot e altri che mi hanno aperto la mente su nuovi stili di danza e differenti linguaggi di movimento.
Cosa ami particolarmente di Londra dal punto di vista culturale?
Adoro il teatro in ogni sua forma, musica, prosa, balletto, danza moderna etc.. Londra viene spesso considerata la capitale del teatro nel mondo. In questa città c’è tutto e sovente a prezzi accessibili rendendo il “teatro” un luogo particolarmente e assiduamente frequentato.
Attualmente sei Primo Solista al Royal Ballet, quali sensazioni provi all’idea di far parte di un Corpo di ballo così prestigioso sulla scena internazionale con una nomina di tale livello?
È sempre stato un onore, sin da quando ho cominciato a studiare qui nel 2004 poi entrando a far parte della prestigiosa compagnia nel 2010. Essere nell’organico di questa celebre compagnia internazionale, apprezzata e ben seguita rende la mia carriera un sogno realizzato sotto molti aspetti.
Qual è il più grande sacrificio che hai fatto e che farai per inseguire costantemente il tuo sogno?
Di sacrifici ce ne sono stati tanti, ma non mi hanno mai pesato. Anche tutt’ora, nonostante le varie difficoltà che una carriera comporta (spesso sono in teatro 11-12 ore al giorno il che non lascia molto tempo per altri interessi o ad incontri con persone nuove al di fuori del mondo della danza) sono tutti sacrifici che vengono ripagati in altro modo.
Che passioni coltivi, oltre alla danza?
Il mio secondo interesse primario è la coreografia. Una passione che coltivo da anni anche se non a tempo pieno in quanto sono sempre impegnato a ballare. Adoro la musica, sia contemporanea che classica e quando ho una sera libera vado spesso ad assistere ai concerti presso la Royal Albert Hall o South bank.
Ti vedremo in Italia a danzare?
Purtroppo quest’anno, per ora, non ho previsto nessun spettacolo. Spesso sono impegnato oppure le condizioni di lavoro scarseggiano in Italia.
Cosa ti senti di dire ai tanti giovani che coltivano il sogno della carriera nel mondo della danza e del balletto?
Che questo è un lavoro che richiede passione, rigore ed intuizione. Ci saranno molte delusioni, piccole e grandi, e saperle sormontare vi farà crescere professionalmente e caratterialmente. Non lasciate ad altri definire ciò di cui voi siete in grado di fare, se siete convinti di riuscire in un traguardo e sapete che tutto ciò vi è possibile allora non scoraggiatevi se altre figure – direttori/coreografi – non credono in voi.
Da Palazzolo sull’Oglio al tempio della danza mondiale. Ricordi il tuo primo giorno in teatro a Londra?
Certo che me lo ricordo! Un giorno speciale! Il teatro qui è situato nel cuore di Covent Garden con un panorama da invidiare, ogni sala era piena di stelle della danza, da Sylvie Guillem ad Alina Cojocaru, da Carlos Acosta a Johan Kobborg… artisti unici nella loro generazione e che ammiravo tutti i giorni.
Ogni ballerino ha un asso nella manica, che nel tempo, ne favoriscono il successo. Quali sono stati i tuoi?
Non saprei di preciso, forse è una domanda da porre al pubblico. Penso la versatilità. Ho ballato veramente un ampio ventaglio di ruoli: da Puck in Ashton “The Dream” a Lensky in Cranko’s Onegin, da il principe dello “Schiaccianoci” al Giullare in “Prince of Pagodas”. Credo che la versatilità, tra le altre cose, sia una qualità e un ottimo biglietto da visita.
La danza in Italia e all’estero. Quali sono, per tua esperienza, le differenze?
Di differenze ce ne sono tante, troppe per condensarle in poche parole. In generale c’è un’esposizione e promozione della danza all’estero che è più integrata nella società, sia cittadina che nazionale ed una frequenza e varietà di spettacoli superiore rispetto all’Italia. In Italia, anche se sempre meno, gli spettacoli di danza ci sono e spesso sono pieni ma non per una buona promozione ma per carenza di spettacoli che costringono il pubblico ad andare a quell’unica recita prevista. Per far sì che la danza abbia un percorso espansivo e non riduttivo ci vuole un piano a lungo termine di costruzione ed istruzione del pubblico, ad esempio eventi organizzati per le scuole, all’aperto e magari qualcuno anche gratuito per avvicinare sia i giovani che le persone di ogni stato sociale verso questa nobile arte. Un altro aspetto assai importante è rendere la danza economicamente sostenibile sia tramite l’aiuto di sponsor privati, complementari a patrocini pubblici, con diverse leggi a riguardo, mediante piani di compagnie italiane che svolgono tour nazionali in modo da ottimizzarne i finanziamenti.
Un altra tua passione oltre alla danza professionale è la coreografia. Cosa ti piace in questo ruolo e a cosa ti ispiri principalmente?
Adoro coreografare! Il fatto di poter creare qualcosa di mio è un’esperienza che mi dona grandi soddisfazioni. L’idea di riuscire a combinare un’idea, un punto di vista o un messaggio tramite il linguaggio della danza unitamente alla musica è affascinante e apre diverse vie d’espressione. Principalmente parto dalle sonorità, mi viene più naturale e mi aiuta a trovare lo stile e l’atmosfera di cui necessito per esprimere il concetto che desidero allestire.
Chi sono i tuoi coreografi del passato e del presente che ammiri di più?
In primis Jiri Kylian; un coreografo che ho sempre ammirato. Un genio assoluto di espressione e teatralità con la capacità di rendere viva la musica. Kenneth MacMillan e Frederick Ashton sono coreografi che ho imparato qui a Londra ad amare ed ammirare. Così diversi ma così incredibili nei loro modi. Più recentemente ho avuto modo di apprezzare il mio collega Liam Scalett con il suo intricato classicismo oppure Paul Lightfoot il quale combina movimenti ispirati dai “Silent Films” con un’iniezione di teatralità ed uso di scenografie veramente geniali.
Il Teatro, in senso lato, quale essenza “magica” nasconde?
Premetto che il teatro è il posto in cui mi sento più a casa, non importa in quale teatro del mondo. La musica rimbalza da ogni parte e si è circondati da costumi, scenografie, persone creative e straordinarie che si mettono insieme per dare vita ad opere d’arte. Potrei benissimo abitare in un teatro!
Hai occasione spesso a Londra di andare a teatro… musica classica, prosa, danza contemporanea, balletto classico, musical?
Non ho molto tempo libero in quanto balliamo parecchio e quel poco di tempo che mi rimane lo uso per coreografare. Solitamente vedo tutte le compagnie ospiti al Sadler’s Wells, al Coliseum o alla Royal Opera House. Le domeniche se ci sono delle esposizioni interessanti vado ad ammirarle (l’ultima è stata quella sull’artista scultore francese Rodin), a volte mi capita di vedere anche dei musical pur non essendo un genere teatrale che mi attrae particolarmente.
Il linguaggio muto del “movimento” quali sentimenti ti ispira?
Che sia bellezza, emozioni o suspence, la danza riesce ad esprimere cose che non possono essere trasmesse a parole oppure momenti che descritti in parole verrebbero rovinati. Adoro ricoprire ruoli in cui posso cimentarmi in caratteri diversi senza dire una parola.
Quale musica ti piace ascoltare?
Principalmente classica, Rachmaninov, Listz, Prokofiev o Philip Glass, che ascolto praticamente tutti i giorni. Da quando ero piccolo sono un fan dei Queen e Michael Jackson. Tra gli artisti contemporanei mi piace molto Amy Winehouse.
E che genere di film ami particolarmente?
Di solito film che sono ispirati a fatti veramente accaduti come “Cast Away”, “Love and Other Drugs” o “The Theory of Everything”.
So che uno dei tuoi idoli è Michail Baryshnikov. Cosa apprezzi artisticamente in lui?
Il suo carisma e la voglia di esplorare metodi di danza diversi, specialmente all’epoca in cui la Russia era molto più chiusa di adesso.
L’hai mai incontrato o visto dal vivo in scena?
Sì! Stavo facendo un corso estivo di perfezionamento a New York alla “School of American Ballet”… un giorno lui è entrato e ha fatto lezione con noi! Un giorno che non dimenticherò mai! Guardarlo lavorare a lezione è stata un’esperienza a sé; la concentrazione e il modo introverso di lavorare esprimeva serietà e assoluta maturità… aveva più di cinquant’anni quando lo vidi! Un esempio di professionalità che tutti i giovani dovrebbero seguire.
Da bimbo sei sempre stato convinto che un domani saresti diventato un celebre ballerino, un vanto coreutico per l’Italia nel mondo?
Queste affermazioni sono molto lusinghiere ed io ringrazio ma certamente da piccolo non potevo sapere quanto la danza mi spingesse sia territorialmente che caratterialmente. Da bambino ballavo per passione, spensierato, senza fini di carriera. Il passaggio da studio a carriera professionale è stato totalmente omogeneo.
Michele Olivieri
Foto: Andre Uspensky, Bill Cooper
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