In questo momento di grande difficoltà per gli Enti Lirici e per tutto il mondo dell’Arte, in questa intervista esclusiva rilasciata al Giornale della Danza, il Sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli Stéphane Lissner lancia un messaggio di impegno e di speranza.
Il 4 novembre 2020 il Teatro San Carlo di Napoli ha compiuto 283 anni, un anniversario importante. In qualità di Sovrintendente, vuole rilasciare qualche dichiarazione in merito?
Si tratta di una ricorrenza importantissima. Uno dei fattori che più mi ha spinto a venire a lavorare al Teatro San Carlo è la sua storia. Dal 1737 ad oggi è una delle storie più belle al mondo per un teatro lirico. Il ‘700 è stato un momento unico, uno dei momenti più floridi per la Lirica e il San Carlo, per la sua produzione, oltre che per la sua straordinaria bellezza, è diventato ben presto il centro dell’Europa. Ho sempre detto che il San Carlo, insieme al Teatro Colón di Buenos Aires, è uno dei più bei teatri al mondo. Per me è una felicità e un onore dirigere un teatro come questo.
È un momento particolarmente difficile per tutti i comparti dello spettacolo e per tutti gli Enti Lirici. Come state affrontando questa situazione in Teatro?
Per me la cosa più importante, prima di tutto, è tutelare i lavoratori del teatro, poter pagare gli stipendi, nonostante la mancanza di attività. Il secondo punto è far esibire gli artisti. Questo è un punto fondamentale, perché l’Arte è la nostra missione, il nostro lavoro, la nostra anima. Anche se non c’è pubblico, a partire dalle prossime settimane, ci organizzeremo con il Direttore Musicale per la riprogrammazione di alcuni concerti e della Petite messe solennelle di Rossini con il nostro Coro. Ci attiveremo inoltre per la ripresa delle attività del Corpo di Ballo. L’altro punto fondamentale è riuscire a far riprendere le attività della Scuola di Ballo, che il 3 novembre 2020 ha iniziato la didattica a distanza. Il terzo obiettivo è riuscire a mantenere la relazione con il nostro pubblico, gli abbonamenti per la nuova stagione sono stati numerosissimi, abbiamo raggiunto più dell’80 per cento in più rispetto all’anno scorso, una cifra che mostra un alto grado di solidarietà e di interesse verso il nostro teatro. Dobbiamo inventarci la programmazione settimana per settimana, perché nessuno sa cosa succederà domani. Normalmente, come Direttore Artistico, sono abituato a pianificare la programmazione con due o tre anni di anticipo ma adesso, viste le circostanze, questi tempi sono ristretti a settimane. Cerchiamo di reagire in maniera efficace alla gravità della situazione, io sto cercando di mantenere il teatro aperto. Si parla molto dell’aspetto economico, che ovviamente ha la sua importanza, ma non bisogna dimenticare anche l’aspetto psicologico. Tutti gli artisti che lavorano in teatro vengono da me a chiedermi di lavorare. Vogliono suonare, ballare, cantare ed è inevitabile che coloro che sentono la mancanza di svolgere il proprio lavoro vivano stati d’animo di tristezza e depressione. Per questo motivo ci sarebbe bisogno anche di un supporto psicologico e su questo sto lavorando, cercando di avere all’interno del teatro degli psicologici in grado di supportare gli artisti.
Rispetto alla Danza, nello specifico, qual è il suo programma in questo momento e nel medio-lungo termine, quando potranno finalmente riprendere le attività a pieno regime?
Come Lei, sa io sono stato fortunato, perché sono stato dieci anni al Teatro alla Scala di Milano e successivamente sette anni all’Opéra de Paris, quindi so bene cosa sia una Compagnia di Ballo. Per me la Danza fa parte del nostro Teatro allo stesso livello della Lirica, riveste un ruolo molto importante. Ringrazio molto Giuseppe Picone per tutto il lavoro svolto in questi anni. La nuova direttrice del Corpo di Ballo sarà Clotilde Vayer. La scelta è ricaduta su di lei perché ha lavorato all’Opéra de Paris, ha fatto parte della storia di Nureyev ed è in grado di rimontare tutti i balletti di repertorio, quali Il Lago dei Cigni, Lo Schiaccianoci, La Bayadère, tutti i titoli che Nureyev aveva messo in scena all’Opéra de Paris. Per me lei è una delle più brave al mondo come esperta dello stile classico francese ed è per questo che le ho chiesto di venire a lavorare con me. La sua nomina alla Direzione del Corpo di Ballo del Teatro San Carlo sarà effettiva a partire dal 1 aprile 2020. La sua sarà una missione importante: rilanciare il Ballo e cercare di fare proposte ambiziose per il futuro. Purtroppo, il protocollo che impone il distanziamento non ci permette di svolgere normalmente le attività del Corpo di Ballo. Ho già chiesto a Giuseppe Picone per questo Natale − se il Governo darà ai teatri l’autorizzazione a restare aperti durante quel periodo − di immaginare un adattamento de Lo Schiaccianoci rispettando il protocollo di sicurezza. Parlare dei progetti futuri è davvero difficile in questo momento, perché non si sa cosa accadrà. Voglio soltanto dire che sarà profuso un grande impegno per il Ballo. Dopo le mie esperienze e il piacere che ho avuto a dirigere teatri come La Scala di Milano e l’Opéra de Paris, posso dire che mi sono avvicinato sempre di più alla danza e, anche grazie a Clotilde Vayer, ho avuto modo di apprezzare in particolar modo la danza classica. In questi ultimi anni ho imparato molto ed è per questo che tengo tantissimo al Corpo di Ballo e alla Scuola di Ballo del Teatro San Carlo.
Qual è il suo messaggio per il pubblico, per i danzatori, per tutto il mondo dell’Arte?
La Storia ci insegna che ci sono sempre stati dei momenti molto difficili, di guerre, epidemie ed altre vicissitudini, in cui tutti i Paesi hanno dovuto vivere situazioni drammatiche, ma l’Arte e la Cultura sono sempre riuscite a superare tutto. Questo è un momento più che difficile per gli artisti, un periodo storico veramente duro, però sono convinto che dobbiamo immaginare un futuro migliore. Vorrei ricordare la storia del grandissimo pianista Keith Jarret. Quando era molto giovane fu invitato a tenere un concerto a Colonia, dove arrivò da Zurigo in un gelido giorno di pioggia. Quando si recò in teatro per le prove, invece del pianoforte che aveva chiesto, un Bösendorfer Grand Imperial, ne trovò uno più piccolo, scordato e con i pedali fuori uso, che non era assolutamente adatto ad un concerto per un Teatro dell’Opera da 1400 posti. A quel punto l’artista decise di andar via e non suonare, ma l’organizzatrice, Vera Brandes, lo inseguì disperata fin fuori al teatro e lo implorò di suonare ugualmente. Keith Jarret accettò di tornare indietro ed esibirsi, malgrado le difficoltà. Quella sera salì sul palco e suonò in un modo incredibile, con un’energia ed un’intensità tali da rendere quel concerto memorabile, nonché il più celebre di tutta la sua carriera. Racconto questa storia per dire che se oggi, a causa della pandemia, non siamo in grado di svolgere le nostre attività normalmente, se non possiamo avere il pubblico in sala, se abbiamo tanti ostacoli, dobbiamo superarli e riuscire a fare del nostro meglio con i mezzi che abbiamo a disposizione per superare questo difficile momento.
Lorena Coppola
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