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PROSPETTIVE01 – “TUFO”: la costruzione di una casa in scena

TUFO

“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di dare spazio a iniziative dedicate ai giovani e di raccogliere articoli e interviste mirate a dar voce a tutte le fasce creative del mondo coreutico: realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi o realtà già consolidate e di chiara fama, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive.

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) ha accolto TUFO – La costruzione di una casa in scena di Alessandra Sorrentino nell’ambito delle Giornate del Patrimonio 2024. TUFO era stato realizzato alla Biennale Sessions/ Biennale Architettura di Venezia 2023 con la curatela di Escuela Moderna e grazie al Centro Nazionale di Produzione della Danza KÖRPER, direzione artistica Gennaro Cimmino, è giunto a Napoli e si è inserito nel programma di apertura serale del Museo MANN, proponendo una nuova riflessione artistica che fonde danza, musica e filosofia. Napoli sorge sulle pietre gialle e porose di tufo sulle quali si erge la città e che diventa dunque la rappresentazione della realtà.

Tutto è stato costruito sul tufo. La fragilità della vita a Napoli che si sorregge su questa pietra fragile e porosa, quasi in modo paradossale ci fanno riflettere sullo stato di moto e di quiete dei napoletani, su una città fatta di umani e pietre.  Alessandra Sorrentino, artista pompeiana, “costruisce” una macchina scenica utilizzando due tonnellate di pietre di tufo. Uno spazio di indagine nel quale, partendo da un corpo femminile, si possa scoprire il senso crudo e reale della fatica ‒ commenta l’artista ‒ Voglio studiare l’individuo contemporaneo nella costruzione di sé stesso, in senso psicologico, e del proprio cantiere abitabile in senso antropologico.

TUFO è il frutto di un lungo e intenso studio sul corpo abitato protagonista di una vera rivoluzione interiore, ma anche sul concetto di installazione site specific, che porta a fare un’esperienza nuova dello spazio architettonico, trasformandolo, contraddicendo le convenzioni che ne regolano l’uso per esplorare modi alternativi di abitarlo: il corpo diventa operaio e viene spinto al limite della fatica, diventando uno specchio per il pubblico, il quale viene inconsciamente spinto a ‘liberarsi’ e a ‘costruire’ un’opera collettiva di intenti insieme all’artista. I movimenti fluidi del corpo, che le note del violoncello del Maestro Catello Tucci accarezzano e accompagnano, addolciscono la fatica del trascinare ogni giorno il peso della vita.

I blocchi di tufo sembrano gomma piuma mentre una figura quasi eterea li solleva, li osserva, si lascia cadere addosso la loro polvere. Polvere del tempo che incanutisce. A tratti appare la fatica, l’affanno del peso da sopportare, affanno che si percepisce nelle note che stridono, nel corpo che ora si muove a scatti. Il peso di ogni singolo mattone di pietra ci aiuta ad elaborare i nostri blocchi emotivi, ci libera dall’imbarazzo di aver sbagliato, ci sostiene anche se siamo noi a sostenere queste pesantissime parti di noi stessi. Lo spettatore si libera a ogni spostamento faticoso: se può farlo l’artista può farlo anche lui. È così che inizia lo “spaesamento” sartriano ed è in questo modo che i pori tufacei diventano buchi come in Napoli Porosa e queste mura di noi stessi la nostra casa dell’anima come la Bella Mbriana della Serao, ma contemporanea e finalmente padrona in casa sua.

Il corpo diventa la casa di tutto quello che abita dentro di noi, i mattoni porosi come una seconda pelle, diventeranno le fondamenta di un habitat psicologico in continua trasformazione: un cantiere abitabile in cui vivono le memorie del nostro “corpo-operaio”. Ma siamo dentro o fuori? Dov’è il confine tra i luoghi che dovrebbero proteggerci e la città che pretende di essere sognata? Alessandra Sorrentino parte da qui. Da questa domanda sospesa, dal confine tra dentro e fuori, tra inconscio e superficie. Immette energia nella bellezza del passo, perimetra il vuoto con la grazia della danza per poi rimuovere uno dopo l’altro i mattoni che ci portiamo addosso.

Ogni mattone un desiderio sfiorito, una colpa inflitta, un rimpianto divenuto zavorra. Lavorando per sottrazione, ci solleva dal peso. Eliminando il peso, ci riporta alla verità di ogni esistenza: essere liberi, finalmente in procinto di diventare ciò che siamo destinati ad essere, ma ad un passo dalla vertigine di cadere. Nell’improvviso vuoto che si forma, ci sembra di ricordare – come se lo avessimo sempre saputo – che i corpi non dovrebbero mai incontrarsi; dovrebbero semplicemente sognarsi, da un punto all’altro di ogni desiderio. Dovremmo vivere tutti dentro il medesimo sogno collettivo, liberi di galleggiare tra l’infinito dell’inconscio e la beatitudine delle cose che proseguono anche senza di noi.

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Photo Credits: Sergio Siano

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