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A Natale scoppia una malattia che ha un nome: il balletto “Schiaccianoci”. Di Alberto Testa

A New York ogni anno scoppia, insieme alle malattie di stagione (raffreddore, influenza, morbillo, rosolia, scalattina, ecc,) un’altra malattia che si chiama il balletto “Schiaccianoci”.

Anche da noi, in Europa, a Londra come a Parigi, a Roma come a Milano, sotto le feste natalizie, riappare questo fortunato balletto fantastico. E’ quasi inevitabile per la gioia dei bambini, come per il divertimento degli adulti.

E’ un regalo che dal 18 dicembre 1892 ci ha fatto il Teatro Marijnsky di San Pietroburgo grazie a Piotr Cijaicovsky, musicista e al librettista-coreografo Marius Petipa.

Si tratta in realtà di un racconto “Schiaccianoci e il Re dei Topi” di Ernst Thomas Amadeus Hoffmann.

Non si sa se fu malattia diplomatica o per qualche altro motivo, ma il compito di comporne la coreografia fu poi affidato in un secondo tempo a Lev Ivanov, maestro in seconda di Petipa. Pare che il lavoro compositivo incontrò da ambo le parti non poche difficoltà soprattutto causa i precedenti contatti di sofferenza tra il musicista e Petipa coreografo. Tali punti di dissenso continuarono durante il non facile cammino del balletto.

 

Ancora oggi “Schiaccianoci” sta subendo rivolgimenti diversi, ma immutabile permane sempre fascino e successo.

Il motivo risiede nella sua storia che ha al centro la festa del Natale, una festa particolarmente sentita dal mondo dell’infanzia che è anche quello della danza.

Già all’inizio tutto predispone ad accostarsi a quel momento solenne, rituale, tenero e gioioso: il tema della marcia, l’arrivo degli ospiti, il senso della festa, la tipologia dei caratteri, la varietà delle danze, l’apparizione dei giocattoli animati e di un personaggio fantastico: lo zio-padrino Drosselmeyer, capace di misteriori eventi illusionistici. Tutti ballano; c’è anche la danza del nonno. I bambini si contendono i regali e c’è il desiderato Schiaccianoci. Fritz, uno dei fratellini, lo butta a terra per scherno, ma il burattino ha un’anima e si mette a ballare.

E’ notte: Chiara, la sorellina, non riesce ad addormentarsi. E qui si fa avanti lo spunto più interessante della story: il turbamento adolescenziale con i pensieri, gli incubi, il lento passaggio, attraverso il sonno, dell’età della bambina. Chiara scopre in un esercito ben intenzionato di soldatini, condotti dallo Schiaccianoci, che è il loro re, i topi che albergano nella sua coscienza. E’ una lotta di topi e di soldati, ma è anche una vittoria dello Schiaccianoci. Egli altri non è che il bel principe sognato dalla bambina. Sarà condotta da lui al castello dei dolci. Per arrivarci Chiara dovrà percorrere un viaggio attraverso un bosco fitto di alberi addobbati con fiocchi di neve. Essi danzeranno un dolcissimo valzer che la porterà alla strada verso il mondo sospirato dei dolci, delle leccornie, della felicità, al castello inzuccherato di un sogno troppo bello che si trasforma in una successione di visioni popolate da figurine. Sono queste appartenenti alle varie popolazioni secondo i prodotti per i quali esse vanno famose: il cacao (danza spagnola), il caffè (danza araba), il té (danza cinese). E’ stato però solo un sogno…

Chiara si risveglia e si trova accanto il suo amato Schiaccianoci, primo palpito adolescenziale dell’amore, quello delle illusioni e dei misteri del subconscio.

Bisogna anche aggiungere che “Schiaccianoci” è fra i balletti ciaicovskiani (“Il lago dei cigni” e “La Bella addormentata nel bosco”) quello che forse ha subito minori elaborazioni e modifiche, ultimamente addirittura sovvertitrici dei significati dei soggetti. Forse si prestava di meno a nuove interpretazioni rivoluzionarie o anche soltanto indagatrici di contenuti d’ordine psicologico. Nel corso della partitura di Cijaicovsky c’è l’uso importante di nuovi strumenti che meglio le conferiscono il tono di leggenda, di fiaba, di sogno ad occhi aperti: il glockenspiel e la celesta. Quest’ultima era stata scoperta dal musicista stesso a Parigi, restandone abbagliato nel 1892, con il vantaggio per noi ascoltatori-spettatori di esserne incantati a nostra volta. Proprio quei suoni hanno circonfuso l’opera intera e il balletto di una luce celestiale che gli ha procurato l’incanto che continua ad arridergli da 123 anni.

Un successo, una magia che ha toccato il vertice più alto attraverso grandissimi interpreti grazie anche all’evoluzione della tecnica classico-accademica e alla tempra di un creatore ispirato e geniale quale è stato Rudolf Nureyev.

Alberto Testa

Presidente Onorario www.giornaledelladanza.com

 

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