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“La danza umana”: intervista all’étoile Luciana Savignano

Luciana Savignano è nata a Milano ed è considerata da tutti una stella di prima grandezza, applaudita dalla critica più autorevole. Si forma presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano nella quale si diploma in seguito ad un periodo di perfezionamento al Teatro Bolshoi di Mosca. Nel 1968 Mario Pistoni la sceglie come ballerina Solista per il “Mandarino Meraviglioso”, su musica di Béla Bartòk, con il quale ottiene la sua prima importante affermazione nel mondo della danza. Nel 1972 diventa Prima Ballerina alla Scala di Milano per essere nominata tre anni dopo, Étoile. Maurice Béjart la invita nella sua compagnia “Ballet du XXe siècle” dove interpreta la “Nona Sinfonia”. In seguito Béjart crea per lei “Ce que l’amour me dit” danzato in coppia con Jorge Donn. Luciana partecipa a tutte le più significative coreografie di Maurice Béjart, in particolare “Leda e il cigno” (con i costumi disegnati da Gianni Versace), “Duo”, “Romeo e Giulietta”, l’assolo “La Luna da Heliogabalo”, “La Voce”, “Bhakti” e il celebre “Bolero” su musica di Maurice Ravel, contemporaneamente sul palcoscenico della Scala danza nel “Lago dei Cigni”, “La Bisbetica domata” e “Cinderella”. Si esibisce poi negli spettacoli creati dal coreografo Micha Van Hoecke “A la memoire” su musiche di Gustav Mahler, “Carmina Burana” su musiche di Carl Orff e “Orfeo” su musiche di Igor Stravinsky. Dal 1995 collabora con la coreografa Susanna Beltrami con la quale fonda nel 1998 la Compagnia “Pier Lombardo Danza” (oggi Compagnia Susanna Beltrami) e danza, tra gli altri, negli spettacoli “Blu diablo”, “La lupa”, “Jules a Jim”, “Tango di luna”, “Il suo nome…Carmen”, “La forma dell’incompiuto” ideati dalla stessa Beltrami. Nel 2009 è uno dei giudici del talent show di Rai 2 “Italian Academy” con Raffaele Paganini e Little Phil. Prende parte anche alla creazione del Balletto di Milano “Red Passion” su coreografie di Cristiano Fagioli e nello spettacolo “Shéhérazade e le mille e una notte” (nel ruolo della Regina Thalassa) con il Balletto del Sud su coreografie di Fredy Franzutti. Interpreta, inoltre, un inedito ruolo maschile in “Don Juan” ispirato all’omonimo balletto di Christoph Willibald Gluck su coreografie di Massimo Moricone presso il Teatrino di Corte del Palazzo Reale (produzione del Teatro San Carlo di Napoli). Al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano danza la creazione coreografica “Luminare Minus” di Emanuela Tagliavia con gli allievi della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala. Prende parte alle inaugurazioni della Stagione Lirica del Teatro alla Scala, prima nel 2003 con “Moïse et Pharaon”, opera in 4 atti di Gioachino Rossini diretta dal maestro Riccardo Muti, regia di Luca Ronconi con le coreografie di Micha van Hoecke interpretate da Luciana Savignano, Roberto Bolle e Desmond Richardson al Teatro degli Arcimboldi di Milano. Mentre il 7 dicembre del 2006, sul palcoscenico scaligero del Piermarini, danza nella trionfale “Aida” di Giuseppe Verdi firmata da Franco Zeffirelli su coreografie di Vladimir Vassiliev con Roberto Bolle e Myrna Kamara. Nella sua splendida carriera collabora altresì con coreografi di spicco come Paolo Bortoluzzi, Jorge Donn, Louis Falco, John Butler, Roland Petit, Amedeo Amodio, Birgit Cullberg, Alvin Aley, Uwe Scholz, Joseph Russillo, Sara Haley, Dolin Foreman, Glen Tetley, Robert North, Gheorghe Iancu, Emanuela Tagliavia. Nel 2006 esce il libro “Savignano. Anomalia di una stella” della giornalista Valeria Crippa e nell’aprile del 2016 viene pubblicata la sua biografia “Luciana Savignano, l’eleganza interiore”, scritta dal danzatore Emanuele Burrafato.

Carissima Luciana, la prima volta che mettesti piede al Teatro alla Scala che impressione ti fece?
La prima volta alla Scala è stata con mio padre e abbiamo assistito al secondo atto del “Lago dei Cigni” con Olga Amati e Giulio Perugini, la sensazione è stata magica, in primis per la magnificenza del teatro… ricordo che sono entrata in platea, mi sono guardata attorno e ho detto “qui mi trovo dentro ad una fiaba, in un mondo fatato” e poi questo spettacolo mi aveva veramente affascinata e ammaliata, quindi ho provato delle sensazioni come in “Alice nel paese delle meraviglie” la quale è attratta da questo universo che non sapeva nemmeno potesse esistere.

Tuo padre era un grande appassionato d’opera lirica?
Sì lui frequentava sempre il teatro, la Scala soprattutto, e quindi era orgoglioso di aver portato sua figlia per la prima volta nel tempio della lirica e del balletto milanese.

Cosa desiderava lui per te in termini professionali?
Desiderava che io realizzassi ciò che volevo, non aveva delle mire precise, certo che io fossi nell’ambiente del teatro gli faceva piacere, quindi io non potendo cantare ma avendo già la predisposizione teatrale tutto risultò più naturale tant’è che ricordo che a casa, mi vestivo, mi agghindavo e tenevo degli spettacoli per le mie amiche, mettevo su la musica e ballavo… Il mio lato artistico è uscito ben presto!

Cosa ricordi della prima volta in cui i tuoi genitori ti hanno visto danzare in pubblico?
Fu in occasione del Saggio finale, loro venivano sempre ad assistere a questo evento. Per me era una grandissima manifestazione che aspettavo a fine anno ed equivaleva ad un momento davvero unico e magico. Ricordo, con emozione, anche mio padre in platea alla Scala a guardarmi, in qualità di Prima Ballerina, nel “Lago dei Cigni”.

In termini di “lezione di vita” quali sono i valori più significativi che ti hanno trasmesso tuo padre e tua madre?
Ho avuto dei genitori meravigliosi, nel senso che mi hanno trasmesso molto amore e mi hanno insegnato il rispetto per gli altri… cosa che mi è sempre rimasta impressa, l’ho imparata benissimo e ho seguito costantemente i loro consigli perché comprendo alla perfezione che avere rispetto degli altri significa avere rispetto di sé stessi e viceversa e quindi anche sotto questo aspetto sono stata fortunata.

Sei stata la prima Étoile a rivoluzionare la danza classica in termini estetici?
Sono sempre stata così proiettata nel futuro, il mio modo di danzare era già molto moderno, ho fatto classico chiaramente perché era importantissimo però poi i coreografi vedevano in me un elemento irradiato in avanti, quando volevano sperimentare qualcosa sceglievano me, quindi anche sotto questo aspetto sono stata favorita perché ho aperto la strada a quelle che potevano essere tutte le sperimentazioni nel linguaggio della nuova danza.

Da ballerina come hai convissuto con il tuo corpo tu che eri fisicamente stilizzata?
Ho avuto da subito un corpo molto duttile, un corpo quasi nato per danzare, non ho mai avuto problemi, forse ero fin troppo dotata e quindi questo mi ha comportato che dovessi “stringere e raccattarmi”, come si suol dire, perché io andavo e andavo… però sono grata al mio fisico e a tutt’oggi mi segue benissimo!

La tua fisicità è stata l’arma vincente nel tuo modo di presentarti, di porti e di ballare. Mario Pistoni forse vide questo in te? L’eccezionalità di uno stile diverso?
Mario è stato il primo che mi ha individuata e ha detto: “Voglio lei” con grande stupore della mia maestra. Pistoni a mio avviso era umanamente straordinario e poi mi ha aiutata nello sbloccare quelle che erano le mie timidezze… sono sempre stata assai riservata di carattere e quasi quasi mi nascondevo, era un po’ un controsenso stare in teatro e nascondersi ma lui mi ha proprio “svezzato” come si usa dire… dopo il “Mandarino” tutto è diventato più semplice.

E della direttrice Esmée Bulnes cosa rammenti in particolare?
Era molto rigida, ma ha avuto sempre grande rispetto, possedeva delle regole ferree e trovo che per un ragazzino sia importante e fondamentale incominciare la formazione con dei riferimenti ben precisi perché poi questi ti danno “forza” per il futuro.

Durante le prove del “Mandarino Meraviglioso”, Pistoni ti disse la famosa frase “sciogliti i capelli”?
Fu come se avesse detto “spogliati”… per me sentirmi dire una cosa del genere corrispondeva ad un mezzo trauma, giusto per farti capire com’ero caratterialmente a quel tempo… poi con il trascorrere ho superato tutte le fragilità!

Hai viaggiato parecchio per lavoro ma anche per piacere, quale Paese senti più tuo?
Mi sento molto affine all’Oriente e alla sua Cultura. Spesso mi sono recata in quei luoghi con mio marito grazie anche al suo lavoro ed in particolare il Tibet mi ha colpito positivamente… è la terra con la quale ho percepito una totale affinità elettiva.

La bellezza per te cos’è?
La bellezza è qualcosa che viene dall’interno, una persona mi basta osservarla negli occhi e dagli occhi entro nell’anima, quella è la vera bellezza.

Ami rivederti nei video?
No, preferisco sempre pensare a quello che farò domani!

Doveroso citare Maurice Béjart, artista eccelso… Ricordo che tu una volta dissi che “era sicuro di sé ma aveva bisogno del consenso della platea che lo circondava”, giusto?
Questa era una cosa che mi aveva molto impressionato, perché per me lui è stato una grande scuola, una scuola di vita, una scuola di arte, una scuola di danza… ogni giorno imparavo qualcosa da Maurice e mi ritrovavo sempre in un angolino ad assistere alle prove notando questo suo modo di dominare la sala: Béjart guardava intorno a sé, oltre al ballerino che aveva di fronte, dominava tutto ciò che lo circondava e capiva semplicemente dagli sguardi e dagli atteggiamenti se la cosa poteva funzionare o meno. Questo suo modo di fare mi aveva particolarmente colpita! Una volta Maurice, mi fece una dedica su un libro che ricordo ancora alla perferzione: “A Luciana, la danza umana”…

Oltre a danzare per Béjart, hai anche recitato nel suo spettacolo “La Voce” tratta da “La Voix Humaine” di Jean Cocteau. Che impatto fu sentire la tua voce in scena per te abituata solo al linguaggio del corpo?
È stata davvero particolare quell’esperienza, ricordo che ci siamo messi in sala prove e lui mi ha fatto scegliere i pezzi che avrei dovuto poi recitare, perché chiaramente non potevamo portare in scena il testo integrale, lo spettacolo era per metà recitato e metà danzato. Quella collaborazione è risultata entusiasmante in quanto a lui piaceva il tono della mia voce e quindi il mio timbro lo ispirava. In seguito ho recitato in scena altre volte, anche perché ritengo che il timbro vocale sia anch’esso un modo per raccontare di te, per capire delle sfumature, che magari, mediante la danza le racconti perché il corpo poi viene fuori ma la voce ti fa comprendere nella sua totalità uno stato d’animo, un modo di essere, un modo di importi, un modo di osservare… infatti mio marito si è innamorato di me grazie al tono della mia voce!

Secondo Béjart dopo i quarant’anni si possiede la giusta maturità artistica per essere un vero danzatore mentre prima si è solo degli atleti, lo pensi anche tu?
So solo che a un certo momento della mia vita, dopo aver superato i quarant’anni, sono stata da lui e gli ho chiesto “Maurice cosa devo fare di me?” e lui mi ha risposto “Luciana tu sei una ballerina che quando ha finito di fare i fouettés può fare molto ma molto altro” e questo consiglio mi ha dato la forza per guardare oltre e scoprire nuovi percorsi.

La danza com’è cambiata dai tuoi tempi ad oggi, in termini fisici? Non trovi sia diventata più atletica?
In generale oggi si punta molto all’atletismo, attualmente è importante stupire, fare tanto… è più un fatto ginnico mentre io trovo che sia importante non dimenticare che oltre all’atletismo necessiti avere anche sentimento, far provare e vibrare emozioni per l’anima, perché la danza è un’arte che ha bisogno di quel “quid” che denota la differenza da ciò che può essere considerato invece sport.

Ora parliamo di Roland Petit? Che uomo ed artista era? Diciamo che lui era molto sensibile ma più esteta?
Una persona molto particolare, è stata un’esperienza importantissima anche con lui perché considerava fondamentale che il ballerino avesse un impatto fisico bello, piacevole… in un certo senso lo capisco perché la danza è anche “bellezza” e quindi se possiedi pure questo dono chiaramente ti giova, oltre alla bravura in quanto la tecnica non bisogna mai dimenticarla. Perciò rammento che mi aveva impressionato questo suo modo di far sì che la bellezza avesse un ruolo così importante e predominante.

Tra le creazioni che hai danzato di Petit quale ti ha particolarmente stupita?
Lola-Lola in “L’angelo Azzurro”, dedicato al mito di Marlene Dietrich, che ho interpretato con i bellissimi costumi di Franca Squarciapino nel 1988 alla Scala, tratto dal romanzo di Heirich Mann su musica di Marius Constant con in scena anche lo stesso Roland Petit, Jean Pierre Aviotte e Milva.

Hai conosciuto anche Zizi Jeanmaire?
Sì certo, di lei mi aveva colpito il suo essere donna con un carattere molto forte, determinato ma al contempo venato di una certa dolcezza.

Tu come donna e non come artista al di fuori del teatro non “fai teatro”… come vivi la tua popolarità e il successo?
Nella vita sono una donna normale e mi piace la mia normalità. Chiaramente mi fa piacere quando qualcuno mi ferma e mi dice “lei deve ballare ancora” oppure si ricordano del “Bolero” ma soprattutto mi appaga quando affermano “che io ho dato emozioni”… questa è la cosa più bella che mi gratifica.

Gli applausi e il momento dei saluti come li percepisci?
Gli applausi sono importanti però alla fine di uno spettacolo tu sei talmente dentro al ruolo interpretato che gli applausi, sì ti fanno piacere, ma al contempo quasi ti disturbano, perché ti riportano in maniera brusca alla realtà. Ricordo ancora al termine di “Albatro” quando ci fu quel momento di totale silenzio… ecco occorre questo tipo di passaggio tant’è che l’ho ancora bene impresso nella mente.

Tra i tuoi partner, ti faccio qualche nome… associali ad un pensiero?
Ho avuto tanti partner belli e bravi!

Jorge Donn?
Donn è stato il mio partner in cima alla scala, ho completamente adorato Donn…

Cosa lo rendeva magico?
Il suo modo di stare in scena, di guardare, di star fermo, di estraniarsi e di avere quella velata malinconia che trasmetteva serenità… queste peculiarità non si possono insegnare: sono doti innate!

Paolo Bortoluzzi?
È stato un connubio meraviglioso con lui, era però molto più terreno e presente, molto meno etereo e quindi mi ha dato grande forza e coraggio specialmente nel terzo atto del “Lago dei Cigni”.

Marco Pierin?
Marco è stato un buonissimo partner e siamo rimasti legati da grande amicizia.

Roberto Fascilla?
Nel 1974 durante il “Lago dei Cigni” l’ho avuto come partner e gli ho sempre indirizzato un sentito grazie per avermi aiutata e supportata. Per me quello spettacolo è stata una prova importantissima e quindi gli sono davvero grata.

Micha van Hoecke?
Con lui ho avuto un rapporto artistico molto bello perché è stata la giusta continuazione del percorso fatto in precedenza con Béjart, in quanto Micha aveva lavorato parecchio tempo al suo fianco, perciò mi sono ritrovata perfettamente nel suo linguaggio. Un’esperienza davvero piacevole.

Louis Falco?
Un altro coreografo bello e bravo, purtroppo è vissuto troppo poco però aveva una sua personalità e un suo modo alquanto discreto… possedeva una sensibilità trattenuta e mai plateale.

Amedeo Amodio?
Lui è un coreografo geniale con un estro del tutto particolare ricco di poesia, delicatezza, sensibilità… è una bella persona!

Birgit Cullberg?
Ho fatto una sola esperienza con lei però ricordo una donna incredibile, una forza, un’energia, un modo anche spiritoso di porsi.

Alvin Aley?
Ero talmente presa dal suo linguaggio… devi sapere che quando c’è una creazione a me piace partecipare in prima persona e mi ricordo che lui mi mostrava delle cose e io ci mettevo molto del mio, ne sentivo realmente il bisogno e lui mi ripeteva spesso “guarda Luciana che il coreografo sono io”!

Con Emanuela Tagliavia e gli allievi della Scuola di Ballo Accademia Teatro alla Scala avete collaborato per la messa in scena al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano alla performance “Luminare Minus”. Che esperienza è stata e come ti sei trovata a lavorare con Emanuela?
È stato un evento molto bello ed importante, un’esperienza magica poter lavorare con gli allievi dell’Accademia scaligera in quanto l’operazione è risultata uno scambio interessante, loro hanno dato a me ed io a loro. Una collaborazione particolare anche perché lo spettacolo era ispirato dal frammento di Luna conservato dal Museo della Scienza e della Tecnologia. Spettacolo che poi abbiamo portato, con successo, anche a Ravenna, Recanati e a Padova. “Luminare Minus”, è nato dall’idea e la regia di Mauro Bonazzoli, e unisce varie forme di espressione: danza contemporanea, musica e videoproiezione, che si fondono in un percorso originale e coinvolgente, articolato in sei quadri: Luminare Minus, Luna Nuova, Luna Crescente, Luna Piena, Galileo, Luna Calante. Il compositore Giampaolo Testoni ha scritto le musiche, accostando rari strumenti classici a strumenti non occidentali, con l’uso dell’elettronica. La coreografia, creata da Emanuela Tagliavia, ha sviluppato l’intreccio tra il mito e la scienza con i costumi appositamente creati da Federico Sangalli. In questo spettacolo ho interpretato due ruoli: Selene ed Ecate, luce ed ombra, bianco e nero, spazio luminoso e spazio oscuro con un linguaggio nuovo, contemporaneo. Emanuela è una coreografa che apprezzo molto e tra l’altro stiamo preparando, in questi giorni, tre serate per l’inaugurazione del rinato e storico Teatro Gerolamo di Milano proprio con la riproposta di “Luminare Minus” nella prima parte, mentre nella seconda andrà in scena una sua nuova inedita creazione sempre danzata da me con altri sette ballerini.

Mentre il connubio con Susanna Beltrami cosa ha rappresentato?
Con Susanna ho avuto un rapporto bellissimo e ce l’ho tuttora, abbiamo creato splendide situazioni, è una coreografa con la quale ho un contatto assai gioioso perché il linguaggio si è sviluppato in maniera sciolta, con totale libertà… è stato un rapporto in cui ci siamo dette cose e scambiate idee e quindi è frutto di una collaborazione e di assoluto accrescimento da ambo le parti.

Il Tango che scoperta è stata?
È stata una scoperta meravigliosa, un mondo magico, il primo momento che me lo hanno proposto ho sgranato gli occhi ma poi è risultata una esperienza entusiasmante, perché il tango ti prende proprio visceralmente, devi partecipare emotivamente, devi avere un rapporto con il partner, devi sentire la musica così romantica, così languida e a tratti anche triste la quale ti avvolge completamente.

Sei stata impegnata anche nel sociale, come testimonial a titolo gratuito, delle Associazioni per la malattia del Parkinson. Parlami di questa nobile causa?
Sì è stata un’esperienza toccante e positiva perché ho capito come la danza può sbloccare tante inibizioni e molti fattori fisici che sono degli handicap veri e propri, ma la danza ti aiuta sempre… quest’arte trovo sia un toccasana per ognuno di noi, anche non affetti da gravi patologie come il Parkinson, in quanto ti “libera”.

Il tuo modo di stare in scena è stato spesso considerato “erotico, sensuale, attrattivo e magnetico”… Cosa rispondi a coloro che ti hanno dipinta in questo modo?
Mi fa sorridere ma è così, non so perché ma è vero. Una volta ho posto questa domanda a Roland Petit, lui mi ha guardata e mi ha risposto “muovi le braccia come un serpente”… molto probabilmente aveva ragione perché nella danza viene fuori un lato di me inconsapevole ma evidentemente è ciò che ho dentro altrimenti non uscirebbe in maniera così naturale. Quando ho danzato il ruolo spregiudicato nel “Mandarino” non ho faticato nell’interpretarlo come del resto anche nella “Lupa”… tutti ruoli erotici, forti, violenti!

In scena la verità è fondamentale o è tutto finzione?
La finzione è una cosa che mi fa orrore!

Il lettore nella biografia “Luciana Savignano, l’eleganza interiore”, scritta da Emanuele Burrafato, cosa scopre di te pagina dopo pagina?
Scopre che c’è un’altra Luciana perché il lettore il più delle volte, riagganciandomi al discorso di prima, mi ha ammirata in scena in questi ruoli sensuali ed erotici però in fondo sono soprattutto “non così” e quindi mi piaceva, attraverso le pagine di questa biografia, far conoscere anche il mio lato di donna e persona. Ecco il motivo perché ho accettato di fare questo libro. Avendone già creato un altro con Valeria Crippa mi sembrava inizialmente inutile pubblicarne un secondo, ma poi mi sono detta “io non l’ho chiesto, mi è stato proposto e allora perché no?” L’autore, Emanuele Burrafato, mi è piaciuto molto come persona, in quanto devo avere un rapporto in qualunque cosa io faccia, di qualsiasi natura, devo sentire un’empatia, percepire che c’è un qualcosa che scatta e con Emanuele è avvenuto così. Mi sono affidata a lui e abbiamo costruito, giorno per giorno, anche faticosamente perché egli abita a Roma ed io a Milano, un ritratto in cui è venuta fuori un’altra faccia di Luciana, utile da far conoscere e scoprire al pubblico.

Il lavoro del danzatore è un lavoro faticoso ma magico, la fatica viene sempre ripagata?
Molto faticoso, qualcuno lo ha paragonato a quello dello “scaricatore di porto”… ma uno non deve fare le cose per essere ripagato ma deve farle per la propria soddisfazione, deve gratificarsi giorno per giorno anche se non viene ricompensato di nulla… tutto ciò che si fa nella vita deve avere un obiettivo finale che è quello del piacere personale, io la penso così!

Ho avuto la fortuna di conoscere Kalù il tuo meraviglioso Akhita. Cosa rappresenta nella tua vita e che amore speciale riescono a donare gli animali all’uomo?
Ho sempre avuto animali, trovo che il rapporto uomo-animale sia una cosa splendida perché quello che ti donano non sempre lo trovi in un essere umano. Kalù è un cane molto impegnativo perché non è di tutto riposo, ha un proprio carattere, è indipendente, un po’ testarda… caratteristiche insite negli Akhita però per me è un cane particolare, la adoro e quindi grazie a “Kalù”!

Dopo anni di successi, di tournée, di consensi… ti piace ancora guardare a lungo raggio?
No io non guardo mai il futuro, vivo giorno per giorno, perché il futuro può essere dietro l’angolo e può succedere di tutto e da un momento all’altro ti può cambiare la vita. Cerco di vivere intensamente il presente e l’attimo, sia nella vita privata che in quella artistica.

Per te cosa significa lo “stile” nella danza?
A mio avviso ognuno deve crearlo uno proprio stile. Possederne uno è importante però trovo sia fondamentale che l’artista rimanga fedele alla propria anima… Forse la migliore definizione è quella di “essere sempre sé stesso”!

Per un artista cos’è la dignità?
È tutto, la dignità è un qualcosa che non ti deve mai abbandonare in ogni momento della tua vita, che tua sia in palcoscenico oppure nella vita reale. La dignità, in assoluto, è in cima alla scala dei miei valori.

Luciana rifaresti tutto esattamente nella tua carriera, hai dei rimpianti o ti senti una donna e un’artista totalmente appagata?
Uno non è mai appagato e questo fa parte anche del mio carattere, non sono mai contenta, penso sempre che potrei fare di più, potrei fare qualcosa di meglio, non lo so, non mi pongo queste domande e quello che ho fatto l’ho fatto con tutto l’amore… l’amore possibile sia nel lavoro che nelle persone con le quali ho avuto rapporti, naturalmente sia nei momenti belli che in quelli difficili. Tutto deve far parte della vita ed è un bagaglio che ti porti dietro, però mi ritengo una persona positiva, perché sono sicura che la vita ti viene incontro, nel momento in cui ti senti angosciato e perdi le speranze, essa si fa avanti… ed è meravigliosa proprio per questo!

Michele Olivieri
Foto: Antonella Perugini (Luminare Minus)
www.giornaledelladanza.com

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