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Tante interpretazioni, tanti coreografi, una sola grande artista: Sylvie Guillem

Sylvie Guillem Rearray

Nominata étoile a soli diciannove anni da Rudolf Nureyev, ballerina dalle straordinarie doti fisiche,  talento e professionalità, Sylvie Guillem ha calcato il palco della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, con le coreografie di tre dei più importanti coreografi del momento: Jirˇí Kylián, William Forsythe e Mats Ek. Uno spettacolo suddiviso in tre parti, quello che domenica l’ha vista come protagonista indiscussa, con l’intera sala gremita di persone pronte ad applaudirla già al suo primo ingresso sul palco. 

La prima coreografia 27’52 del coreografo Jiří Kylián su musica di Dirk P Haubrich è stata interpretata da due eccellenti danzatori: Nataša Novotná e Václav KunešUn incontro tormentato ed in continua trasformazione tra un uomo ed una donna. Lei indossa un pantalone nero e maglietta rossa, lui dorso nudo e pantalone nero. I due si attraggono e si respingono come in una continua lotta che si trasforma in fuga e poi di nuovo in un incontro appassionato.

La differenza uomo-donna si annulla con l’atto di togliersi la maglietta rossa da parte della danzatrice, il suo dorso nudo, come quello del partner fa anche pensare ad una vera simbiosi tra i due, che si risolve solo nel finale con un autentico congiungimento. Fremiti, contorsioni, salti, corse, delineano i movimenti della danzatrice, vigore e solidità caratterizzano invece l’uomo. La progressione drammaturgica arriva al culmine con il commovente finale, in cui Václav Kuneš si arrotola nel pavimento di linoleum e scompare, lei rimasta sola, decide di essere a sua volta inghiottita dal pavimento, e porre fine all’inevitabile epilogo.

Rearray è la seconda coreografia proposta, la prima che vede sulla scena Sylvie Guillem. È un duetto firmato William Forsythe, su musica di David Morrow, in cui emerge la tendenza del coreografo alla deconstruction e construction della tecnica ballettistica, che aveva sempre caratterizzato i suoi lavori degli anni Novanta. In questo modo riusciva a far emergere il suo linguaggio, fondato sulla disarticolazione del corpo danzante, che esplora nello spazio in accelerazione giocando con il peso del proprio corpo. La Guillem incarna perfettamente l’ idea di Forsythe di lavorare sempre al limite delle proprie possibilità, basti pensare all’iper-estensione delle gambe, allo straordinario collo del piede, alla scioltezza delle sue gambe e alla rapidità nei giri e nei salti.

Il duetto dà vita così ad un continuo scambio di energie, di impulsi tra i due danzatori, che danno vita ad un gioco di pesi; i due infatti danzano come se stessero all’interno di un campo magnetico, i loro corpi si attraggono e si respingono mediante dei contatti corpo a corpo. I loro corpi funzionano come delle leve, ogni parte può essere un appiglio per il partner su cui fare una presa.

A rendere ancora più interessante il duetto è l’uso delle luci, che ad ogni posa scultorea dei danzatori si spengono e si riaccendono con una nuova posa. L’ultima parte è un assolo firmato dal coreografo svedese Mats Ek, Bye che ha visto Sylvie Guillem danzare sulle note dell’ultima sonata per pianoforte di Beethoven. Uno schermo interattivo sul palco, con un primissimo piano della danzatrice, che indietreggiando viene vista nella sua interezza con indosso una camicetta, una longuette ed un golfino.

Danzatrice sullo schermo ma anche sul palco, grazie all’effetto che dà il mezzo interattivo, ma è una Guillem diversa, che interpreta una donna ordinaria, che si stringe nelle spalle curve, che cammina con un passo insicuro di chi non vuole essere guardata. Guardandosi riflessa nello schermo, è come se guardasse dentro di sè e scoprisse la donna che in realtà è, colta da un impulso si spoglia, si toglie le scarpe, i calzini, il golfino e  si abbandona ad una danza atletica, vigorosa e ricolma di salti.

È così che rientra nello schermo, insieme alle altre immagini di uomini, donne ed animali che nel frattempo la stavano osservando danzare. Una danzatrice che si è messa alla prova con interpretazioni e tecniche contemporanee differenti, e che al contempo è riuscita a far emergere in questa diversità la perfezione che ha sempre dimostrato anche nel repertorio classico.

Alessia Fortuna 

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