Un’étoile internazionale, uno dei simboli dell’eccellenza italiana all’estero, una grande innovatrice che, però, è sempre in grado di tenere fisse le punte nel repertorio classico: tutti questi aspetti creano Sabrina Brazzo, talento della danza nostrana in grado di farsi valere oltralpe e oltreoceano nonché desiderosa di andare ben oltre gli standard classici. Un’innovatrice che, però, ha molti anni di duro lavoro alle spalle: una giovane donna che non si ferma a quello che ha imparato ma va avanti, proprio per conoscere quello che non sa. Sabrina Brazzo si racconta al Giornale della Danza: dagli studi in accademia, i primi lavori all’estero, il marito danzatore e le attività che insieme conducono proprio per innovare e rinnovare il mondo della danza. Perché, si sa, chi non cambia è perduto.
Un percorso iniziato in uno dei teatri più importanti d’Italia e ente lirico riconosciuti nel mondo: la Scuola del Teatro alla Scala, a Milano. Cosa ricorda dei primi anni, del diploma e poi, delle prime esperienze lavorative?
Sì, ho iniziato studiando proprio in questa Mecca della danza, in accademia: ero molto piccola, avevo dieci anni e, data proprio la giovane età e il fatto che abitavo con la mia famiglia nella provincia di Venezia, sono andata in collegio. Il primo impatto è stato molto duro e severo: le bambine con le quali studiavo erano tutte molto belle, altrettanto brave e farsi notare era difficile, sono sincera. Non lo nego: gli anni trascorsi a studiare a Milano sono stati molto impegnativi ma mi hanno dato anche molte soddisfazioni. Dopo otto anni ho ottenuto il diploma e da lì il mio percorso di ballerina è ufficialmente iniziato: la proposta di entrare nel corpo di ballo è arrivata quasi immediatamente. A dir la verità, però, ho scelto prima di fare un percorso all’estero: ero, come del resto sono oggi, molto curiosa e volevo conoscere, sbirciare fuori dall’Italia, imparare nuove sfumature della danza, volevo confrontarmi con altre realtà. Alla fine, quasi senza esitazioni, sono partita e ho iniziato a lavorare con l’American Ballet, il Royal Ballet. La mia voglia di andare oltre e non fermarmi mi ha portato a fare una carriera anche all’estero, cominciata appunto da giovane giovane. Un periodo che mi ha permesso di diventare “grande” e che, ancora oggi, posso dire essere stato un bellissimo ed importantissimo bagaglio formativo. Alla Scala ero già stata scelta da Nureyev e, nonostante i successi in terra straniera, il mio deisderio di danzare anche nel mio paese c’era…e quindi, sono tornata. Sono stata nominata Prima Ballerina alla Scala e ho avuto la possibilità di ballare con danzatori straordinari come Roberto Bolle, Maximiliano Guerra, José Manuel Carreno. Anni meravigliosi. Ora, però, dopo periodi all’estero e in Italia, esperienze di vario genere, sento comunque sempre il desiderio di sperimentare, ricercare. Penso di non aver ancora trovato la mia giusta dimensione all’interno della danza e, proprio per questa ragione, continuo il mio percorso di crescita, scoperta, conoscenza delle tantissime e diverse particolarità della danza. Ce ne sono veramente molte…e non voglio lasciarne da parte nemmeno una!
Sulla carta lei è Prima Ballerina. Sul palco, però, interpreta ruoli da étoile.
È una questione meramente burocratica che, però, non mi inibisce affatto. Interpreto i ruoli da étoile da molto tempo, ho i miei preferiti ovviamente! Sicuramente una delle pièce a cui sono più legata è La bella addormentata di Nureyev, poi la romantica Giselle, sia la versione tradizionale che quella di Sylvie Guillem. Dai ruoli romantici e fiabeschi della danza classica, però, mi sposto senza indugi a quella più contemporanea e moderna: tra i balletti che ho interpretato e che mi sono entrati nel cuore sicuramente la Carmen di Roland Petit e Albachiara, opera rock con le musiche di Vasco Rossi. Esperienze indimenticabili.
Lei cita spesso “sperimentazione”, termine non molto comune in un ambito così classico come la danza. Crede che il primo sperimentatore, da Lei conosciuto, sia stato proprio Rudolf Nureyev?
Sperimentatore e rivoluzionario. Assolutamente. Ha cambiato il modo di ballare, la tecnica, l’approccio alla danza. Nureyev mi notò quando ero molto piccola, gli piaceva il mio modo di danzare. Il fatto di avere avuto la possibilità di lavorare con lui, ascoltare i suoi consigli e il suo essere veramente oltre ogni canone standard credo mi abbia aiutato moltissimo in questo lunghissimo, e infinito, percorso di ricerca e conoscenza. Quando ho iniziato a studiare alla Scala ha scommesso sulle mie linee “fuori dal normale”…insomma: ha sperimentato.
Cosa ci racconta dell’esperienza di “Albachiara”? Portare la musica rock di Vasco Rossi in un tempio sacro della musica classica come La Scala non è stato un momento che si vive spesso…
È stata un’esperienza splendida, proprio perché era diversa, fuori dai canoni a cui tutti siamo abituati. Ho ancora i brividi al solo pensiero di sentire la voce graffiante di un’anima rock come Vasco Rossi e di poter danzare le sue parola. Ero molto preoccupata in merito all’esito perché, essendo il primo appuntamento di questo genere, vestivo degli “abiti” non consoni, o almeno a cui le persone che avrebbero assistito non erano certamente abituati. Insomma: non sapevo se un’opera rock come questa avrebbe ricevuto consensi. Ricordo ancora Vasco che, un pomeriggio, mi guardò e disse: “Lo sai che sei proprio carina con le punte?! Perché non le metti anche in scena?!” Da quel momento le ho indossate. Uno strano accostamento, vero, che però, alla fine, è piaciuto moltissimo. Anche grazie a questo balletto ho scoperto qualcosa di nuovo dentro di me: ho capito che, se si è convinti di quello che si fa e lo si fa con il cuore, nessuno mai ti potrà mai fermare e criticare. Ho anche imparato ad esplorare il mio lato meramente interpretativo e recitativo. E un lavoro di questo genere ha rafforzato la mia tesi: la danza è fatta di tanti aspetti, non c’è solo la classica che, però, è bene ricordare, è la base per fare tutto. Ballare significa attraversare percorsi differenti e incontaminati, senza paura. Mai fermarsi davanti a qualcosa che non si conosce!
Lei ha sposato un danzatore, con il quale divide vita personale, lavorativa di “sperimentazione”. Una curiosità: vi capita mai di punzecchiarvi mentre siete alla sbarra?
Assolutamente sì! Spesso ci capita di correggerci a vicenda mentre lavoriamo! Entrambi teniamo molto alla nostra preparazione e allo studio. Il fatto di poter condividere ci aiuta moltissimo anche nella vita di tutti i giorni ma soprattutto quando saliamo insieme sul palco: io “parlo” e lui mi risponde. Quando balliamo questa meravigliosa sinergia si sente e si vede, proprio perché c’è qualcosa che va oltre la danza, i passi: c’è qualcosa di speciale, uno stimolo continuo. A casa nostra, poi, arrivano artisti di ogni tipo…insomma: non ci fermiamo mai tranne, ovviamente, quando trascorriamo tempo con nostro figlio che, giustamente, ci reclama!
Quali sono i vostri progetti come coppia artistica?
Due anni fa abbiamo deciso di fare qualcosa, di apportare un cambiamento: volevamo sperimentazione e abbiamo deciso di creare un gruppo tutto nostro, la compagnia JAS ART BALLET, giovane, prendendo ballerini giovani e di talento. È un progetto che coinvolge tutte le discipline della danza: per noi è pur sempre essenziale creare una sinergia tra i vari ambiti che la compongono. Pensa: nel nostro ultimo pezzo io ero sospesa con il trapezio! Vogliamo essere promotori della danza, vogliamo farla conoscere il più possibile! Cerchiamo di portare i nostri spettacoli anche nei piccoli paesi proprio perché crediamo che dal piccolo si può risalire per fare qualcosa di grande…L’Italia è la culla del teatro e dell’arte ed è giusto che tutti, dai piccoli ai grandi centri, ne possano beneficiare.
I progetti futuri?
Stiamo creando degli spettacoli per l’Expo, da portare poi anche in ambiti internazionali. Saremo presto a Padova, poi a Rovigo per l’Unitalsi. Tanti bellissimi progetti che non vediamo l’ora di condividere. Le nostre giornate sono sempre molto piene e di questo siamo felicissimi!
Riuscirà l’Italia a diventare un paese di cambiamento, nell’ambito della danza?
È una domanda molto difficile, purtroppo. Noi ci crediamo e riteniamo che prima o poi si arriverà ad una svolta e che il cambio generazionale potrà fare bene. Mantenere il repertorio è fondamentale, però bisogna puntare sulle nuove generazioni. Io e mio marito abbiamo già iniziato a cambiare, poi tutto il resto verrà…me lo auguro! La volontà c’è, questo è fondamentale!
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