Dopo Mi è caduta la danza nel piatto e La danza, due opere entrambe pubblicate nel 2008, l’ultimo importante studio sulla danza che ci ha lasciato la “Signora” della critica è L’enigma, l’estro, la grazia, edito postumo nel 2014 dalla Mimesis Edizioni, a cura di Francesca Adamo che, nella Prefazione a questo piccolo volume, spiega molto bene quale sia stato l’obiettivo perseguito dall’autrice nel concepire questa sua ultima storica e partecipata riflessione sulla presenza, o meglio, sulla fusione delle categorie del “dionisiaco” e dell’ “apollineo” nel mondo della danza e del balletto:
«La consapevolezza dell’impossibilità di ridurre la danza, etichettarla o anche solo studiarla attraverso una di queste due categorie, l’apollineo e il dionisiaco, sta alla base della riflessione che Vittoria Ottolenghi svolge all’interno di questo saggio. La vera sfida proposta non è quella di categorizzare il balletto, assegnare a una o all’altra rappresentazione un’etichetta, quanto partire dalle immagini di “un’umanità non esplicitamente danzante” per arrivare quasi a delineare il noema della danza: un prodotto artistico “per accumulazione”»
Il risultato di queste premesse emerge in tutta la sua evidenza: il saggio si presenta infatti come un excursus storico che attraversa millenni di storia iconografica e coreografica al fine di dimostrare come il salto tra le raffigurazioni delle antiche pitture vascolari greche e il Faune di Nijinsky, sino ad arrivare ai grandi nomi della danza contemporanea (Balanchine, Béjart, Forsythe, Merce Cunningham e Isadora Duncan) è in realtà molto breve, perché la danza racchiude in un modo unico ed originale l’essenza apollinea e dionisiaca, non come due alternative opposte ed antitetiche ma come due facce della stessa medaglia, un’arte sorprendente nata dall’incontro fortunato di perfezione e istinto.
È questa la risoluzione a cui giunge Vittoria Ottolenghi in questo suo saggio sapiente e lungimirante, frutto e specchio della sua lunga esperienza di studiosa e giornalista di danza e di “ballettomane” indimenticabile quale è stata:
«Frequento questo ambito immenso delle “danze tra Dionysos e Apollo” da una cinquantina di anni – ci tiene infatti a ricordare la Ottolenghi – è l’ambito dunque, lo spazio, della danza secondo la cultura prevalente dell’Ottocento e del Novecento. Da quella di alta professionalità “classica”, “accademica”, fatta dai pochi per il piacere dei molti, professionisti, a quella “istintuale”, “di strada”, fatta dai molti per il loro proprio piacere, i dilettanti».
Leonilde Zuccari
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