Il 29 aprile è la Giornata Internazionale della Danza, una festa che celebra la creatività, la libertà espressiva, l’ingegno della danza, dedicandola all’artefice della riforma del balletto francese: Jean-Georges Noverre (29 aprile 1727 – 19 ottobre 1810).
Noverre viene generalmente ricordato per i successi raccolti nei maggiori teatri europei e per Lettres sur la danse et sur les ballets del 1760, il testo teorico in cui, contestando il balletto accademico dell’Opéra di Parigi, l’artista ne propugna una rifondazione per restituire alla danza dignità di arte.
Non bisogna tuttavia dimenticare che nel 1760 Noverre non aveva ancora messo in atto quanto dichiarato nel testo, dal momento che aveva appena avviato la sperimentazione sul gesto ispirata ai grandi capolavori della pittura e, sul piano coreografico, aveva creato solo schematici “tableaux en mouvements” di soggetto mitologico e pittoreschi balletti nel gusto di tendenza nei teatri minori.
La vera riforma Noverre la attuò sul campo negli anni ’60 e ’70, a Stoccarda e a Vienna, dove creò i capolavori con cui formò generazioni di danzatori, soprattutto Jean Dauberval e Gaetano Vestris.
Consapevole del valore di testimonianza di questi balletti, il coreografo pubblicò una selezione di libretti nell’edizione del 1803-1804 di San Pietroburgo e in quella parigina del 1807 dedicata all’imperatrice Giuseppina Bonaparte.
Sebbene i libretti non possano restituirci quanto accadeva sulla scena, essi ci aiutano a costruirci immaginariamente il balletto, offrendo elementi utili per comprendere la modernità del pensiero noverriano.
I libretti sono scritti con una penna viva e una prosa densa, ricca di suggestioni e punteggiata di riferimenti alla musica, all’illuminazione, ai movimenti scenici, ai gesti e all’uso drammatico della scenografia e degli improvvisi silenzi.
È nei libretti che si riconosce la capacità di Noverre di tradurre in balletto un testo tragico costruendo una sceneggiatura calzante senza rinunciare alla spettacolarità e agli spazi propri della danza. È dai libretti inoltre che si coglie quella visione globale del balletto con cui il Maestro anticipa di oltre un secolo la figura del regista.
Si pensi al quadro di apertura di Medea e Giasone (Stoccarda 1763), dove il palcoscenico addobbato a festa funge da catalizzatore per l’innamoramento di Creusa e Giasone, creando le premesse per l’atroce vendetta di Medea, sposa rinnegata dell’eroe. Si pensi anche all’ingegnosa soluzione scelta da Noverre per dipingere la psiche di Medea sconquassata dalla disperazione e dal desiderio di vendetta per il tradimento: non gesti drammatici, ma personificazioni dei sentimenti e degli strumenti di morte, figure coperte da orrende maschere e abiti spaventosi, che si agitano scompostamente per suscitare nel pubblico un sentimento di orrore e ribrezzo.
Il calore e la chiarezza espositiva della descrizione, il modo con cui il coreografo riesce a coinvolgere emotivamente lo spettatore fu ereditato da Dauberval, suo discepolo dall’età di quindici anni.
Dauberval colse appieno il messaggio profondo del Maestro e ne seguì le orme operando quella nuova, sostanziale riforma del balletto con cui formerà Charles Louis Didelot, Jean Aumer, Salvatore Viganò, consegnando la lezione noverriana alle generazioni del nuovo secolo.
Parlando di Dauberval, non facciamo riferimento a La Fille mal gardée, garbato balletto concepito sui cliché delle gaie e briose commedie di ambientazione popolare rappresentate nei teatri secondari parigini, ma ai grandi capolavori ispirati alla letteratura coeva e a quelli di genere eroico.
Nel Télémaque dans l’île de Calipso (Londra 1791), ad esempio, il coreografo si distacca deliberatamente – innovativamente – dalla fonte letteraria dando una interpretazione vicina al sentire dei nuovi tempi. Ribaltando il rapporto tra la divinità e l’uomo, Dauberval libera quest’ultimo dalla condizione di sudditanza dal potere olimpico, restituendogli la facoltà di scegliersi il proprio destino. Telemaco e la ninfa Eucaride si innamorano non per volere della potente dea Venere e perché trafitti dal dardo di Cupido (come narra Fénelon nel 1699), ma perché scossi da una profonda, inattesa emozione.
Questa è la vera risposta di Dauberval alla Rivoluzione francese, come lo era stato il balletto Medea e Giasone di Noverre nei confronti della ondata classicista che stava interessando tutte le arti.
Flavia Pappacena
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Documentazione iconografica: I figurini, dipinti da Louis-René Boquet, sono di proprietà della National Library of Sweden; le tre scene di balletto sono tratte da Almanach des Theaters in Wien del 1774.
Approfondimento consigliato: O. Di Tondo, F. Pappacena, A. Pontremoli, Storia della danza e del balletto, Roma, Gremese, 2019, pp. 159-168.