“Prospettive01” è una rubrica rivolta ad artisti e contesti che rappresentano un mondo di talenti in continua evoluzione. Ideata e curata da Lorena Coppola, la rubrica si propone di dare spazio a iniziative dedicate ai giovani e di raccogliere articoli e interviste mirate a dar voce a tutte le fasce creative del mondo coreutico: realtà in via di sviluppo ed espansione, progetti innovativi o realtà già consolidate e di chiara fama, meritevoli di attenzione. Un luogo di rivelazione e di incontro di nuove prospettive.
Michele Cuomo, danzatore, coreografo, insegnante e responsabile tecnico regionale street dance per l’ente sportivo CONI – ENDAS. Punto di riferimento nazionale ed internazionale nel settore delle danze urbane, lavora in tutta Italia e all’estero. Annovera nel suo curriculum esperienze televisive quali Yo110, Hip Hop Time, Tim Tour. Dal 2018 è organizzatore e direttore artistico di #Dancevybes.
Danzatore, coreografo, coach, la Sua è una carriera poliedrica, com’è iniziata e quando?
È iniziata all’età di undici anni, per puro caso. Ricordo che ero a scuola, al primo anno delle medie, e il mio compagno di banco mi chiese di iniziare a praticare sport insieme. In un primo momento volevo fare karate, ma il pomeriggio in cui sarei dovuto andare a iscrivermi in palestra pioveva molto e vi rinunciai. Il mio amico ci andò da solo e sentì parlare di un corso di hip hop che lo incuriosì al punto da assistere a una lezione. Il giorno dopo mi spiegò di tutto con grande entusiasmo, spronandomi a intraprendere questo percorso formativo. Io all’epoca non sapevo neanche cosa fosse l’hip hop e la danza, in generale. Vengo da una famiglia molto umile che non conosceva nulla del mondo artistico, se non ciò che passava la TV. Decisi, così, di fare una lezione di prova e me ne innamorai subito. La cosa che mi colpì fu la grande energia e la libertà. Fu esattamente questo che mi fece appassionare a questo stile di danza. Il mio amico dopo due anni lasciò il percorso e adesso si occupa di politica, mentre io, che ho conosciuto quest’arte per puro caso, ormai ne faccio parte a 360 gradi. L’hip hop ormai appartiene alla mia persona, è parte integrante del mio essere, il mezzo attraverso il quale ho avuto la possibilità di esprimere la mia personalità artistica. Mi ha dato l’opportunità di scoprire una parte di me che non conoscevo minimamente.
Quali sono stati i momenti più salienti del Suo percorso artistico?
Ce ne sono stati tanti. Il primo momento saliente è stato il mio primo tour, nel lontano 2006. Avevo 17 anni, oggi ne ho 35. Il TIM Tour è stata la mia prima esperienza più importante, a livello professionale, che mi diede la possibilità di girare varie piazze italiane, dal Sud al Nord. Poi ci sono stati altri tipi di esperienze di un certo spessore, quali aperture di concerti per alcuni cantanti come Vasco Rossi ed altri. Dai 18 anni in poi ho iniziato a lavorare in tutta la Campania, avviando anche il percorso di workshop, che tuttora tengo regolarmente, e partecipando a eventi quali DanzainFiera, Roma Danza, La Fiera del Fitness ed altri. A seguire, ho fatto parte di varie commissioni di esami, continuando il mio percorso di coach per varie scuole e accademie di danza. Uno dei momenti più emozionanti del mio percorso artistico è stata la mia partecipazione, nove anni fa, a un evento organizzato per le elezioni estere al Dance Centre My Way di Kiev. Nello stesso anno a Liverpool ho partecipato a un altro grande evento internazionale. La pandemia purtroppo ha fermato tutto e questi grandi appuntamenti internazionali ‒ che hanno rappresentato il coronamento dei miei sogni da bambino ‒ si sono interrotti, ma mi ritengo fortunato ad aver avuto l’opportunità di vivere queste esperienze. L’altro punto importante della mia carriera è stato quello che ritengo il mio sogno da sempre, ossia portare un mio spettacolo in giro per l’Italia. Ci sono riuscito nel 2016 con una compagnia di danzatori professionisti molto versatili che hanno saputo coniugare pop, contemporaneo e classico. È stato uno spettacolo interamente scritto da me, curato da me, coreografato da me e con scenografie mie. Ho impiegato circa due anni e mezzo a realizzare questo progetto, che ha avuto molte date in diverse città italiane. Per me questo spettacolo è stato un altro traguardo estremamente importante.
Spesso chi sente parlare di hip hop e chi non è addetto ai lavori non ha un’idea chiara di tutti gli aspetti di questo stile, in realtà è un universo multiforme…
Rispetto alle danze accademiche, il mondo delle danze urbane è un po’ più delicato, perché, in realtà, non esiste un vero e proprio codice con linee guida ben definite. Il termine “urban dance” include infinite sfaccettature e molteplici stili che sono stati tramandati essenzialmente “a voce” dai pionieri di questo genere, senza, quindi, dei manuali codificati. La principale differenza con le danze accademiche è che queste ultime sono più rigorose e presuppongono determinate doti fisiche, mentre l’hip hop è un po’ per tutti e offre la possibilità di muoversi in modo più libero, con una sua tecnica e una sua cultura e una poliedricità di stili che si differenziano, oltre che per origine geografica, anche per aspetti culturali, sociali, musicali, etc. Ci sono molti danzatori e insegnanti in giro e, come ho già detto, molti stili, per cui, a mio avviso, quando si sceglie un posto dove si andrà a studiare, è bene accertarsi del tipo di impostazione dell’artista che si vuole avere come coach.
L’ hip hop è un fenomeno nuovo e antico al tempo stesso, come si è evoluto nel tempo?
È una danza che si evolve soprattutto come evolve il mondo musicale. Le danze urbane sono legate all’evoluzione del bit musicale e, quindi, con l’evoluzione delle case discografiche si è avuta anche l’evoluzione dell’hip hop, che è una danza non reinventata, ma, di volta in volta, adattata all’evolversi del bit. Si sente tanto parlare della Old School, della New School, ma, in realtà, rientra nel nuovo tutto quello che non si conosce della Old School. Un danzatore che ho tanto stimato e con il quale ho studiato nella mia fase di formazione mi disse: Tutto può essere new, ma in realtà new è tutto ciò che non si conosce ancora. L’hip hop è sicuramente una danza antica, di cui si hanno cenni storici già intorno agli anni ’70, che nasce da un movimento artistico e culturale e dallo sviluppo del bit elettronico. Negli anni ’80 e ‘90 gli aspetti di questa cultura hanno subito una forte esposizione mediatica espandendosi in tutto il mondo. Col tempo il bit pop tipico degli anni ‘90 si è miscelato all’R&B, ma ciò non vuol dire che non sia più pop. I passi e le tecniche base sono sempre le stesse, semplicemente si adattano all’evoluzione musicale nel tempo e ciò è riscontrabile in ogni stile: waaking, voguing, locking, house dance, heels urban dance, etc.
Cos’è per Lei l’hip hop?
Io lo vivo come la mia più alta forma di espressione artistica, come un urlo per esprimere dei concetti, legati soprattutto a problematiche sociali. Basti pensare che l’hip hop nasce per porre fine alla violenza che imperversava nei ghetti del Bronx. Per me l’hip hop è esattamente quello, un urlo sociale e culturale. È massimo rispetto per chi attraverso la danza cerca di dire la propria. Come ogni danza, è espressione artistica e espressione di libertà, è un insieme di emozioni trasmesse attraverso il movimento mediante tecniche e modi diversi di sentire la musica dentro di sé, è uno stile di vita, un modo di essere.
In che modo si interseca con gli altri generi e le altre discipline di danza?
Io ho studiato tutto, non solo l’hip hop e apprezzo molto anche il mondo delle danze accademiche. Nei miei spettacoli cerco di fondere stili diversi, dal contemporaneo al teatro danza, attraverso le tecniche di movimento delle danze urbane. Come ogni cosa, con la dovuta ricerca e il dovuto approfondimento. Amo molto la fusione.
Secondo Lei è una danza per i giovani e basta?
Direi di no, ad eccezione del breaking. Ritengo che sia una danza per tutti, con differenze dovute ovviamente alla specifica età e fisicità del danzatore.
Che tipo di preparazione richiede? Anche una persona che non ha mai danzato può avvicinarsi a questo stile?
Dipende dalle finalità. Io tengo anche lezioni per over 40. Ovviamente i giovani sono più potenti fisicamente, ma è uno stile che può praticare chiunque.
Fervono i preparativi per l’edizione 2024 di #Dancevybes Winter Edition. In cosa consiste esattamente?
“Dancevybes” giunge quest’anno alla sua quinta edizione. È un evento di danza a 360°, nato nel 2018 in collaborazione con il mio socio Antonio Piccoli. Abbiamo unito le forze con l’intento di dare il nostro contributo alla nuova generazione. Io mi occupo delle danze urbane, Antonio Piccoli delle danze accademiche. È un evento che inizialmente era partito unicamente per creare formazione, poi, nel tempo, il format è stato cambiato, aggiungendo un concorso, che nasce dalla volontà di creare opportunità di lavoro per danzatori. In tutte le categorie, oltre al primo, secondo e terzo classificato, cerchiamo di assegnare dei premi speciali: premio miglior coreografo, premio miglior talento, premio Dancevybes, premio della critica e altri premi. Tutti i premiati sono inseriti all’interno della line up dell’anno successivo, e i vincitori del premio miglior talento e premio della critica sono scritturati per prendere parte a spettacoli professionali.
Progetti futuri?
Come per ogni artista, la mia mente è sempre in continuo elaborare e sviluppare progetti. Attualmente sono molto impegnato per workshop ed eventi in giro per l’Italia. Non nego il desiderio di programmare una tournée all’estero, cosa un po’ complicata ad oggi, in quanto sono sposato e papà di un bambino. Devo capire bene come poter organizzazione tutto questo. Un altro progetto che spero di realizzare presto è rimettere in piedi la mia compagnia e creare delle produzioni teatrali. A 35 anni mi sento forse ora più pronto e maturo per poter realizzare spettacoli con tematiche e concetti ben precisi per contribuire all’evoluzione di questo mondo e dell’arte in generale.
Lorena Coppola
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Photo Credits: Anna Qzzolin