Andrea Cagnetti è un coreografo e danzatore italiano, conosciuto per il suo approccio innovativo e per l’uso di diverse forme di espressione corporea. Cagnetti ha iniziato la sua carriera nella danza contemporanea, esplorando il linguaggio del movimento e sviluppando una poetica personale che fonde danza, teatro e arti visive. Ha collaborato con importanti compagnie e teatri, sia in Italia che all’estero, portando in scena opere che riflettono su tematiche sociali e culturali. La sua ricerca artistica si concentra sul corpo come strumento di comunicazione e sulla capacità della danza di esprimere concetti complessi e profondi.
Partiamo dall’inizio: da dove è partita la spinta a mettere in discussione le sue convinzioni sul mondo della danza?
È successo durante la fase finale della tournée di Deep White, uno spettacolo che mi era stato commissionato dall’Istituto Italiano di Cultura a Città del Messico nel 2008. Durante le prove e le esibizioni, ho iniziato a sentire che la danza, strutturata come la conosciamo, perdeva qualcosa di vitale. Ripetere movimenti e schemi alla lunga rischiava di far affievolire quella connessione autentica, quell’energia che sentivo essenziale per una vera empatia col pubblico e per far sentire il danzatore realmente vivo.
Dopo questa realizzazione, ha intrapreso un percorso di psicoanalisi e formazione in comunicazione. Queste esperienze come hanno influenzato la sua visione artistica?
Il percorso di psicoanalisi, iniziato nel 2009 con la dottoressa Alessandra De Coro, mi ha permesso di approfondire le dinamiche emotive e relazionali che spesso restano sullo sfondo nel lavoro di coreografo. Grazie anche a letture e corsi intensivi in comunicazione, ho iniziato a vedere la coreografia come una forma di comunicazione che parte dall’essere umano, dalle sue emozioni e motivazioni profonde. Per me, creare significava ormai partire dalla persona, e non solo da una serie di passi o figure.
Ha sviluppato un metodo innovativo chiamato “condizionamento fisico”, ci spieghi meglio di cosa si tratta.
Il condizionamento fisico è una serie di esercizi che ho ideato per aiutare i performer a entrare in contatto con le proprie emozioni e a manifestarle sul corpo. In pratica, è un allenamento che mira a sensibilizzare il corpo, facendolo diventare il luogo delle sensazioni. Si segue il percorso dello stimolo sensoriale fino alla sua trasformazione in emozione, motivazione e, infine, azione. È un approccio che predispone il performer a una creatività autentica, in sintonia con il proprio vissuto interiore. Questo non ha nulla a che vedere con l’improvvisazione: si tratta di una preparazione che rende il movimento espressivo e perfettamente adatto al messaggio e al canale di comunicazione scelto.
Quali sono le caratteristiche principali della “nuova danza” che propone e come si differenzia dalla danza tradizionale?
La nuova danza che propongo si basa su movimenti semplici e organici, capaci di veicolare un messaggio emotivo, narrativo e simbolico. Non c’è spazio per movimenti che siano solo “tecnici”; il movimento deve essere naturale, quasi istintivo, e al contempo studiato per comunicare in modo efficace. Lavoro su esercizi che restituiscano al corpo un movimento “organico,” che spesso si perde nel processo di civilizzazione e nel controllo volontario tipico della nostra cultura. Così, il danzatore riesce a esprimere emozioni profonde e a far sentire il proprio vissuto al pubblico.
Ha sperimentato questo metodo in diversi contesti e scuole. Quali risultati ha ottenuto?
Ho avuto modo di sperimentare il metodo con allievi adolescenti e adulti in Italia e all’estero, come all’Università di Bratislava nel dipartimento di Danza e Coreografia. Inoltre, ho collaborato per anni con la Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica (SIPP), esplorando il legame tra psicoanalisi e arte. Anche a Sapri, insieme alla BAM! Bottega Artistico Musicale, ho condotto residenze coreografiche per giovani coreografi e interpreti della danza contemporanea. I risultati sono stati molto positivi: gli studenti non solo migliorano la loro espressività, ma riescono a instaurare un contatto autentico con il pubblico, creando un’atmosfera di intensa empatia.
Parliamo delle sue “social series”, come “Mothers” e “LOVIS”. Cosa l’ha portata a usare i social media per la danza?
Viviamo in un’epoca in cui la comunicazione è sempre più visuale e digitale. Ho capito che anche la danza poteva e doveva adattarsi a questi nuovi canali per restare rilevante. Con Mothers, una serie di cinque video brevi, ho raccontato il percorso di una donna appena diventata madre, ma ancora fortemente legata al suo ruolo di figlia. Pubblicare questi video su Instagram mi ha permesso di raggiungere persone nella loro intimità, creando un momento di forte empatia. Anche se la pagina è nuova, chi ha visto la serie è rimasto colpito, al punto da condividere con me le proprie esperienze personali.
“LOVIS” sarà la Sua prossima serie sui social. Può darci qualche anticipazione sul concept?
LOVIS racconterà la storia di due persone che si incontrano nella metropoli, si attraggono e vivono un’intensa esperienza amorosa, senza però legarsi in modo possessivo. Saranno cinque episodi girati interamente da una prospettiva soggettiva, per dare l’idea che ogni spettatore possa immedesimarsi nei protagonisti. È un modo per raccontare l’amore in modo delicato e simbolico, utilizzando il linguaggio visivo tipico dei social. Sarà un’altra occasione per esplorare la danza come arte visuale, attraverso un linguaggio immediato e intimo.
Qual è la sua visione sul futuro della danza?
La danza deve evolversi insieme alla società. Oggi la comunicazione è concentrata sui visual, e credo che la danza possa ritagliarsi uno spazio importante anche sui nuovi media digitali. Voglio che la danza diventi accessibile a chiunque, che trasmetta emozioni profonde anche attraverso uno schermo, come fosse un messaggio intimo e personale. In fondo, il mio obiettivo è creare connessioni autentiche, e credo che la tecnologia e i social media possano essere strumenti potenti per riuscirci.
Cosa spera che il pubblico colga dalle sue creazioni e dal suo metodo?
Vorrei che il pubblico si lasciasse coinvolgere, che sentisse l’autenticità di ogni movimento e percepisse l’energia e il vissuto di chi danza. Spero che chi assiste possa ritrovarsi nelle emozioni, ricordare il valore della connessione e della comunicazione autentica. Con ogni progetto, voglio che le persone capiscano quanto la danza possa essere vicina, accessibile, e potente come linguaggio universale.
Lorena Coppola
Photo Credits: Andrea Cagnetti