Coreografa e direttrice artistica della compagnia JC Movement Production, Jill Crovisier è una figura di riferimento nel panorama internazionale della danza contemporanea. Fondata nel 2013 e con base in Lussemburgo, la sua compagnia si distingue per un approccio multidisciplinare che unisce danza, teatro, arti visive e pratiche di comunità, offrendo una piattaforma inclusiva che valorizza la diversità di esperienze e linguaggi artistici. Con un’estetica che fonde rigore coreografico e suggestioni cinematografiche, Crovisier sviluppa opere che esplorano temi attuali con profondità e delicatezza, indagando le dinamiche individuali e collettive attraverso un dialogo intenso tra corpo, musica e spazio. La sua ricerca si traduce in produzioni che viaggiano in tutto il mondo, ricevendo riconoscimenti prestigiosi e coinvolgendo un ampio ventaglio di collaboratori, professionisti e non. In questa intervista, ci addentriamo nel cuore creativo di Jill Crovisier, esplorando le radici della sua poetica e la visione che anima la sua compagnia, a partire dalla recente produzione I(CE)(S)CREAM Boléro Femme, presentata nell’ambito del Festival Nutida 2025, un’opera che intreccia femminismo, ritmo e simbolismo in un intenso dialogo con il capolavoro di Ravel.
Come descriverebbe il Suo linguaggio coreografico a qualcuno che non ha mai visto il Suo lavoro?
Probabilmente c’è qualcosa in almeno uno dei miei lavori che toccherà lo spettatore, anche solo per un momento, indipendentemente dal suo background.
Qual è il rapporto tra corpo e identità nella Sua ricerca artistica?
Non parlerei di relazione. Corpo e identità sono una cosa unica. Esistono l’uno nell’altra e occupano quindi un posto essenziale nella mia ricerca artistica e nella sua connessione con la natura umana
“I(CE)(S)CREAM Boléro Femme” esplora tematiche femministe attraverso un linguaggio coreografico personale e simbolico. Quali riflessioni intende suscitare nello spettatore e in che modo la scelta dei pattini a rotelle diventa un potente vettore narrativo?
All’interno dell’esperienza condivisa della performance, spero che si evochi nel pubblico una mentalità riflessiva e un forte legame con la performer identificata come donna. Oltre al messaggio politico veicolato dall’opera, desidero che il lavoro faccia vibrare il pubblico e che ogni movimento venga percepito come un viaggio personale di espressione fisica. I pattini a rotelle, che rappresentano la restrizione ma anche la perseveranza e la resilienza, rafforzano l’idea della forza femminile.
La Sua coreografia si muove in equilibrio tra controllo e instabilità, riflettendo le tensioni del mondo contemporaneo. Come si traduce questa dialettica nel lavoro con l’interprete e nella strutturazione della performance?
La dialettica si evolve in modo naturale e, nelle performance di Bolero non c’è altra scelta se non affrontare la difficoltà di mantenere l’equilibrio su superfici scivolose e mantenere i movimenti ripetitivi e in crescendo, all’altezza del capolavoro di Ravel. Perché sì, dopo tutto questa coreografia non è solo una battaglia contro le energie fisiche e il tempo, ma si confronta con una delle composizioni più importanti al mondo del XX secolo.
Il “Boléro” di Ravel, col suo crescendo ipnotico, funge da colonna portante musicale: come ha interpretato questa partitura in termini di ritmo e dinamica coreografica?
È importante notare che non è mai stata mia intenzione creare un Boléro (che esiste in tre versioni). Non mi permetterei mai… La composizione è nata durante una ricerca intorno al progresso per il lavoro JINJEON nel 2020. I tentativi durante la ricerca sono diventati progressivamente una creazione. È un modo di lavorare molto intuitivo, che utilizzo spesso. La creazione è avvenuta in modo veloce e basata sull’improvvisazione. Con un’ispirazione connessa al flamenco e alla tap dance, l’accostamento dei movimenti e la creazione dei 5 loop è avvenuta in modo naturale. Poi ovviamente è presente il mio amore per lo sport, il pattinaggio a rotelle e il volere aggiungere quel tocco atletico e sensuale, senza dimenticare la mia passione per la musica. La parte centrale è stata il controllo sui pattini dato che la performer può cadere, ma con la giusta pratica abbiamo ridotto quei rischi. Anche se non ho fatto riferimento precisamente a quello, il Boléro di Béjart (che ho visto quando ero molto giovane) è certamente ancorato nel mio profondo, basti pensare all’uso dello spazio ristretto e all’esecuzione piuttosto frontale. Definirei i miei Bolero come performance di physical theatre con un’alta tensione di espressionismo, scritte mirando al lato del rischio. In uno spazio dove la/il performer espone sé stessa/o in un costume che richiama la cultura pop, scontrandosi con realtà e fantasia, spesso con una nota stranamente comica. I(CE)(S)CREAM Boléro Femme è una performance di danza contemporanea atletica e sensuale, dolceamara, che incoraggia le persone a esplorare diverse forme di espressione di sé e formati creativi.
JC Movement Production si distingue per un approccio multidisciplinare e inclusivo che coinvolge anche non professionisti e diverse forme artistiche. In che modo questa filosofia influenza la Sua pratica coreografica e la definizione di un’estetica contemporanea?
Come essere umano molto curioso e appassionato, vicino alle persone e alle energie che danno forza, quindi profondamente evocativo e stratificato, amo le sfide tanto nei processi quanto nello sviluppo delle mie pratiche e dei miei lavori. Collaborare con persone diverse non solo permette un approccio più autentico di lavoro, ma è più vicino alla realtà. Poi c’è la visione, le visioni, da un lato nella mente sono abbastanza chiare e per arrivarci sono partita dall’inizio per aprire le mie prospettive e pratiche. Dalle creazioni del suono, i costumi, video etc. Non mi piace definire cosa faccio solo come danza o solo connesso alla danza ma piuttosto un lavoro vicino alla vita in generale.
La compagnia ha ricevuto riconoscimenti internazionali e ha portato le sue creazioni in contesti culturali molto diversi, dall’Europa all’Asia fino all’Australia. Come gestisce l’adattamento culturale dei Suoi lavori in un mondo globalizzato?
È interessante vedere come da un lato è successo tutto naturalmente. Sono cresciuta in un ambiente dove le differenti culture convivono fianco a fianco. Dove i miei vicini provengono da più di 10 nazionalità diverse, e da un paese con più di 170 nazionalità in un piccolo territorio. Quindi coloro che potremmo chiamare ‘gli altri’ hanno sempre fatto parte della mia vita quotidiana. Diversità vuol dire ricchezza e il potere della comunità e l’appartenenza è molto prezioso. Ho iniziato la mia carriera professionale molto giovane e ho viaggiato oltremare, in Cina per prima, all’età di 16 anni. Praticamente sempre da sola. In questi ultimi 20 anni il viaggio è continuato in giro per il mondo. L’impatto di questi viaggi, incontri, osservazioni e scambi hanno fortemente impattato la mia identità, professionalmente e personalmente. La danza mi ha fatto scoprire il mondo e il mondo mi ha fatta diventare l’artista e la persona che sono oggi. Sento anche, nella mia situazione privilegiata, che ho la responsabilità di condividere quelle esperienze e connessioni. Tutto intorno a me è fonte di ispirazione e sono consapevole di essere fortunata per aver visto e imparato così tanto sin da piccola.
Il lavoro della Sua compagnia è riconosciuto per la forte impronta cinematografica: quali strumenti e strategie utilizza per tradurre in movimento una dimensione visiva così intensa e narrativa?
Non è semplice rispondere a questa domanda, perché lavoro in modo molto intuitivo. Questo fa parte di un approccio multidisciplinare, un Gesamtkunstwerk, guidato da una profonda passione per il mondo, le sue storie, la complessità della mente umana e una costante curiosità che mi spinge ad andare oltre, ad apprendere sempre. Al centro di tutto c’è un forte senso di libertà creativa, che ho la fortuna di avere grazie al fatto di provenire dal Lussemburgo, e non lo do mai per scontato. Sono consapevole del privilegio di poter creare ciò che desidero, e rispetto questo dono restando fedele al lavoro stesso, senza focalizzarmi troppo sui risultati. In definitiva, non creo per impressionare. Quello che faccio nasce da un’urgenza interiore, un movimento puro di espressione che ha bisogno di uscire e, soprattutto, di connettere le persone.
La danza contemporanea viene talvolta percepita come una forma d’arte “difficile” o elitaria, distante dal grande pubblico. Nei Suoi lavori, come affronti la questione dell’accessibilità? Secondo Lei, qual è la responsabilità dell’artista nel rendere la danza più comprensibile o “vicina” senza comprometterne la complessità?
Apri la mente. Guarda il mondo e sii umile. Confronta ogni aspetto di esso. Conosci il mondo e le sue persone. Lavora con le persone sul palco e fuori dal palco. Capisci che il lavoro che fai è il risultato di esperienze e che alla fine non si tratta di te o, meglio, non del tutto, si tratta della vita in generale, l’umanità e l’impulso di riconnettersi con quello che è rimasto essenziale nelle nostre vite. Qualcosa lo tendiamo a perdere, tanto nella vita reale quanto nel settore danza. Questo non è generalmente qualcosa che puoi spiegare, esiste o non esiste. Poi quando crei, naturalmente da un certo lato, il tuo lavoro diventa accessibile a prescindere dall’intento, perché è sempre vicino alle persone. Viene dalle persone e torna indietro alle persone, io ci aggiungo solo un tocco della mia firma o propongo una prospettiva diversa. Per finire, rompi i muri.
Cosa Si augura che il pubblico porti con sé dopo aver visto una Sua creazione?
Spero che, dopo aver vissuto una delle mie creazioni, il pubblico si senta davvero vivo, potenziato, ispirato e consapevole della propria capacità di essere esseri creativi e sensibili. Spero che riconoscano la danza come un linguaggio universale dell’umanità e la sua importanza per il nostro benessere insieme alle comunità ma anche per noi stessi. Dopotutto, vorrei che siano in grado di identificarsi con il mio lavoro e che rimangano interessati/connessi alla danza contemporanea e a qualsiasi altra forma di espressione creativa. Vorrei contribuire allo sviluppo di questo modulo di arte/cultura e farlo diventare più accessibile e inclusivo.
Progetti futuri?
Essendo un’artista e producer multidisciplinare molto attiva, come si può evincere dal mio calendario, sono attualmente in tournée con diverse produzioni e una importante è THE GAME- GRAND FINALE, con 8 performer. Lavoro anche in ricerche su danze e musiche folcloristiche e guido il progetto Dance without borders. Essendo ancora io stessa una performer ho anche due riproduzioni di coreografie mie in altre compagnie. Alla fine di luglio 2025 inizierò a lavorare per una creazione commissionata dal Victorian College of The Arts/Melbourne University in Australia, che debutterà a Novembre 2025. Saltando da un continente all’altro, un posto che rimane speciale per me, dal 2024 è l’Italia, Paese con cui mi sento connessa in quanto avevo una nonna di Gubbio. Per la prossima stagione posso solo annunciare per ora l’inizio di una creazione per il giovane pubblico dal titolo PAPUSI, e un lavoro per una compagnia di abilità miste di Lussemburgo. Mi vedrete anche in relazione con il Festival Le Danzatrici En Plein Air, dato che collaborerò con loro per i prossimi tre anni in Puglia, a Ruvo.
Lorena Coppola
Photo Credits: Varvara Kandaurova – Zuzanna Müller
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