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Rubriche

L’amore per la danza classica è per tutta la vita

L’amore per la danza classica non esplode come un colpo di fulmine. È una fiamma lenta che si accende nelle aule con il pavimento in legno, davanti a specchi sinceri che riflettono ogni sbaglio, ogni progresso, ogni emozione. Si insinua nei muscoli che tremano alle prime posizioni, nelle mani che cercano equilibrio e negli occhi che imparano a parlare senza voce. Chi ama la danza classica, sa che essa non concede nulla con facilità. È una maestra esigente, a volte severa, che richiede disciplina, costanza e sacrificio. Ma è proprio in questa lotta quotidiana — contro il limite, la stanchezza, il tempo — che nasce l’amore vero. La passione per la danza classica è fedele, anche quando il corpo non segue più come prima. Rimane anche quando le luci del palcoscenico si spengono, perché vive nei gesti, nella postura, nel modo di camminare. Si trasforma in insegnamento, in memoria, in rispetto profondo per un’arte che ha parlato con il linguaggio del corpo. Chi ha amato — e ama — la danza classica, porta dentro di sé una forma di bellezza che non invecchia. È la bellezza dell’impegno, dell’eleganza, della grazia nascosta dietro ogni gesto studiato per anni. È l’amore per ...

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Il coreografo e direttore Hervé Koubi “allo specchio”

Balletto classico preferito? Coppélia. Balletto contemporaneo preferito? Ce ne sono così tanti che preferisco non menzionarne nessuno. Il Teatro del cuore? Non ne ho uno. La mia compagnia si esibisce in teatri prestigiosi (Bolshoi, Joyce Theatre, New York City Center, Biennale di Venezia), ma accettiamo anche di esibirci in teatri molto piccoli in località remote. Tutti, secondo me, sono importanti quanto gli altri. Un romanzo da trasformare in un balletto? Quel che il giorno deve alla notte di Yasmina Khaled e Breve soggiorno tra i vivi di Marie Darrieusecq. Un film da cui trarre uno spettacolo di balletto? Nessuno, anche se il cinema può aiutare a nutrire l’ispirazione. Nella nostra ultima creazione Take Back the Night il film di riferimento è Kill Bill di Quentin Tarantino. Il costume di scena che hai indossato e che hai preferito? Nessun costume preferito, ma ho un debole per le gonne per i ballerini che provengono inizialmente da pratiche urbane. È persino una firma nel mio lavoro. Quale colore associ alla danza? Un colore che non esiste. Che profumo ha la danza? Un odore che non esiste. La musica più bella scritta per il balletto? Non esiste una musica più bella di un’altra. Il ...

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La solista Beatrice Libonati “allo specchio”

Il balletto classico preferito? Le Spectre de la rose. Il balletto contemporaneo prediletto? Barbablù di Pina Bausch. Il Teatro del cuore? Il Théâtre de la Ville di Parigi. Il costume di scena indossato che hai preferito? Quello di Giuditta nel Barbablù. Quale colore associ alla danza? Color lavanda. Che profumo ha la danza? Profumo di scarpette. Due miti della danza del passato, uomo e donna? Gene Kelly e Carla Fracci. Il tuo “passo di danza” preferito? Grand Jeté. Chi ti sarebbe piaciuto essere nella vita tra i ruoli del grande repertorio di balletto classico? Giselle. Chi è stato il genio per eccellenza nell’arte coreografica? Pina Bausch. Come ti vedi oggi allo specchio? Allo specchio vedo la pelle che scende e i baffi che crescono. Michele Olivieri Foto di Jan Minarik www.giornaledelladanza.com © Riproduzione riservata

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Anna Pavlova a Milano rafforzò le ali della sua leggenda

Milano, agli inizi del Novecento, era ben più che la capitale economica d’Italia: era una tappa d’obbligo per chi aspirava all’eccellenza artistica. E tra i suoi allievi più illustri c’è una figura che ancora oggi incarna la quintessenza della grazia nel balletto: Anna Pavlova. Nata a San Pietroburgo nel 1881 e formatasi nella rigorosa Scuola Imperiale di Danza, Pavlova trovò nella capitale lombarda un fondamentale punto di svolta. La sua tecnica, pur già raffinata, doveva ancora trovare quella solidità che le avrebbe permesso di danzare leggera come un pensiero e precisa come un metronomo. Fu proprio a Milano, sotto la guida della celebre Caterina Beretta, che Anna Pavlova ricevette la lezione più preziosa della sua carriera. Beretta, direttrice della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, era conosciuta per il suo approccio severo e meticoloso. Aveva formato étoile come Pierina Legnani e lasciava in ogni allieva un’impronta di rigore tecnico che faceva la differenza sul palcoscenico. “La mia tecnica migliorò enormemente dopo il periodo di studio a Milano,” avrebbe affermato Anna Pavlova in più occasioni, secondo fonti storiche del balletto europeo. Non è un caso che il maestro Enrico Cecchetti, simbolo della scuola italiana di danza, sia stato successivamente uno ...

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La Principal Dancer Maria Yakovleva “allo specchio”

Balletto classico preferito? Giselle. Balletto contemporaneo preferito? Direi neoclassico, non moderno: Onegin, Manon, Romeo e Giulietta, La Signora delle Camelie. Il Teatro del cuore? Ogni teatro in cui ho ballato mi è caro! Naturalmente l’Opera di Stato di Vienna, perché è stata la mia casa per diciassette anni. Ora l’Opera di Stato di Budapest, perché qui ho trovato una nuova casa. E ovviamente un’esperienza molto speciale per me è stata ballare il Don Chisciotte come ospite con la compagnia dell’Opéra di Parigi all’Opéra Bastille! Un romanzo da trasformare in un balletto? Il ritratto di Dorian Gray – The theatre – Orgoglio e pregiudizio. Un film da cui trarre uno spettacolo di balletto? Moulin Rouge. Il costume di scena che hai indossato e che hai preferito? La vedova allegra di Roland Hynd, costumi di Desmond Heeley e Il pipistrello di Roland Petit, costumi di Luisa Spinatelli. Quale colore associ alla danza? Il balletto classico probabilmente con il bianco. La danza in generale è assolutamente multicolore! Che profumo ha la danza? L’odore del backstage (quinte, scenografie, sala-danza) mescolato con la pece. La musica più bella scritta per il balletto? La Bella Addormentata (panoramica dal secondo atto) – Il Lago dei Cigni (quarto ...

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Serge Lifar e la sua straordinaria eredità editoriale

Serge Lifar (1905-1986) è senza dubbio una delle figure più influenti e rivoluzionarie della danza del XX secolo. Non solo un danzatore eccezionale, ma anche un coreografo innovativo, Lifar ha lasciato un segno indelebile nel mondo della danza classica e moderna. Oltre alla sua attività sul palcoscenico, Lifar ha avuto un’intensa produzione letteraria che testimonia la sua profonda riflessione sull’arte del movimento, la tecnica e la storia della danza. Nato a Kiev, Lifar si trasferì a Parigi per unirsi ai Ballets Russes di Serge Diaghilev, dove divenne rapidamente una stella di prima grandezza. Dopo la morte di Diaghilev, Lifar assunse la direzione dell’Opéra di Parigi, rinnovando repertori e stili. La sua danza si caratterizzava per un’eleganza rigorosa e un virtuosismo che fondava tradizione e innovazione. Oltre a danzare e coreografare, Lifar ha scritto numerosi libri, che spaziano da trattati tecnici a memorie personali e saggi storici. Le sue opere riflettono non solo la sua maestria tecnica, ma anche una riflessione profonda sull’essenza della danza. Tra le sue opere più importanti si annoverano: Le manifeste du chorégraphe (1935), dove Lifar espone la sua visione innovativa del coreografo come artista totale; Traité de danse académique (1949), un testo fondamentale per chi vuole ...

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“Settima posizione” nel neoclassicismo francese di Lifar

La settima posizione nella danza è un argomento interessante, perché non fa parte del sistema canonico di posizioni dei piedi definito nel balletto classico accademico moderno (quello codificato da Pierre Beauchamp e poi sistematizzato da Feuillet e da Carlo Blasis). Tuttavia, il termine settima posizione è esistito storicamente e compare in alcuni contesti specifici. Nel XVII secolo, durante il periodo di Luigi XIV (quando nacque la danza accademica francese), furono formalizzate le cinque posizioni dei piedi che conosciamo oggi. Tuttavia, alcuni trattati antichi di danza (in particolare quelli di Beauchamp e Rameau) menzionano una sesta e talvolta una settima posizione, che però non sono sopravvissute nella codificazione moderna. Nel XVIII e XIX secolo, la settima posizione indicava: una posizione derivata dalla quinta, ma con una gamba davanti e l’altra dietro in punta o demi-pointe, come una posizione di transizione. In alcuni casi, una posizione “en croix”, ovvero con un piede puntato lateralmente (una variante più ampia della quarta o della quinta). In altre scuole (soprattutto in quella italiana ottocentesca, come nel metodo Cecchetti), si parlava di sette posizioni, includendo la sesta (piedi paralleli, posizione naturale) e la settima come una posizione derivata dal movimento o dall’en dehors estremo. Oggi il ...

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Le danseur étoile Kader Belarbi “allo specchio”

Balletto classico preferito? Giselle. Balletto contemporaneo preferito? La sagra della primavera. Il Teatro del cuore? L’Opéra di Parigi. Un romanzo da trasformare in un balletto? Bel Ami di Guy de Maupassant – Pinocchio di Carlo Collodi – Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Un film da cui trarre uno spettacolo di balletto? Zorro di Johnston McCulley – Il dottor Jekill e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson. Il costume di scena che hai indossato e che hai preferito? Il semplice costume di Jeune homme et la mort o quello del ruolo di Petrushka. Quale colore associ alla danza? La Luce. Che profumo ha la danza? L’odore del respiro incrociato e condiviso con il tuo partner. La musica più bella scritta per il balletto? Romeo e Giulietta di Sergej Prokof’ev. Il film di danza imperdibile? Les rêves dansants di Rainer Hoffmann e Anne Linsel – Il ballo di Ettore Scola. Due miti della danza del passato, maschile e femminile? Nijinsky e Pina Bausch. Il tuo “passo di danza” preferito? Il volo di un doppio assemblée. Chi avresti voluto essere nella vita reale tra i personaggi del grande repertorio del balletto classico? Albrecht, detto “AlbertKader”. Chi era il genio per ...

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Il primo solista e coreografo Valentino Zucchetti “allo specchio”

Balletto classico preferito? Romeo e Giulietta di Kenneth MacMillan. Balletto contemporaneo preferito? Shoot the moon di Lightfoot/Leon. Il teatro del cuore? Royal Opera House. Un romanzo da trasformare in un balletto? Ce ne sono moltissimi, Dorian Gray, Perfume, Benjamin Button, Dr. Jackyl and Mr. Hide. Un film da cui ricavare uno spettacolo di balletto? La dolce vita. Il costume di scena che hai indossato e che hai preferito? The Wind di Arthur Pita, un costume molto realistico da Cow Boy. Quale colore associ alla danza? Bianco. Che odore ha la danza? Sudore. La musica più bella scritta per il balletto? Tecnicamente non scritta per il balletto stesso ma l’orchestrazione di Liszt per Mayerling di MacMillan è un capolavoro. Il film di danza imperdibile? White Night con Mikhail Baryshnikov. Due miti della danza del passato, maschile e femminile? Fernando Bujones e Sylvie Guillem. Il tuo “passo di danza” preferito? Grand Jeté. Chi ti sarebbe piaciuto essere nella vita reale tra i personaggi del grande repertorio del balletto classico? Rudolf in Mayerling. Chi è stato il genio per eccellenza nell’arte coreografica? Jiří Kylián. Ripensandoci, se incontrassi Tersicore, cosa le diresti? Che l’arte che lei rappresenta è tutt’oggi parte vitale della nostra cultura ...

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Storia della “sesta posizione” nell’arte della danza

Le posizioni dei piedi nella danza classica nascono alla corte di Luigi XIV, ma la loro base risale ai maestri di danza del Rinascimento italiano e francese (come Domenico da Piacenza, Guglielmo Ebreo e Fabritio Caroso). Questi maestri insegnavano danze di corte che prevedevano l’en dehors. Con Pierre Beauchamp, maître de ballet alla corte di Luigi XIV, si codificano cinque posizioni fondamentali dei piedi, divenute la base della tecnica accademica. Raoul-Auger Feuillet, nel suo trattato Chorégraphie (1700), le descrive e le fissa per iscritto. Da quel momento, le cinque posizioni canoniche — tutte basate sulla rotazione esterna delle gambe — divennero il fondamento universale della tecnica del balletto. In questa fase, una sesta posizione non esisteva: l’ideale estetico era quello della simmetria, dell’apertura e dell’equilibrio. Nonostante la codificazione in cinque, alcuni trattati antichi e ottocenteschi citano una sesta posizione per motivi pratici o didattici. Carlo Blasis, teorico e maestro italiano dell’Ottocento, nelle sue opere (Traité élémentaire, théorique et pratique de l’art de la danse, 1820; The Code of Terpsichore, 1828), menziona occasionalmente una posizione neutra o di riposo, con i piedi paralleli e uniti, definendola sixth position. (Tuttavia, egli stesso la considerava non fondamentale, ma utile per la preparazione o il riposo). ...

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