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Creare, suscitare, formare: intervista a Susanna Egri

Susanna Egri

Susanna Egri (ballerina, coreografa ed insegnante) nasce a Budapest in Ungheria. Figlia del celebre sportivo Ernesto Egri Erbstein, direttore tecnico del “Grande Torino” scomparso nella tragedia di Superga e di Jolanda, inizia i suoi studi sotto la guida di F. Nádasy dell’Opera di Budapest e di Sara Berczik del filone labaniano. Si perfeziona in seguito in Francia e negli Stati Uniti d’America con Vera Volkova, Boris Kniaseff, Mary Wigman, Harald Kreutzberg e Kurt Jooss. Dopo l’esordio a Budapest nel 1946, nel 1947 si trasferisce in Italia al seguito del padre, ove debutta all’Excelsior di Milano. Si trasferisce poi a Torino e a novembre del 1949 inizia a lavorare per i primi programmi sperimentali della televisione italiana: sarà proprio lei ad esibirsi, il 3 gennaio 1954 nella prima trasmissione ufficiale della Rai, la coreografia da lei stessa creata e interpretata insieme al ballerino statunitense Norman Thompson sulla musica tratta dal film di Charlie Chaplin “Luci della ribalta” nel corso del programma di varietà “Sette Note”. Nel 1950 fonda a Torino la sua scuola di danza e in seguito la Compagnia “I Balletti di Susanna Egri” che inaugura una prolifica stagione artistica sia nei teatri che nella nascente radiotelevisione italiana (“Le Foyer de la Danse”,1952; “Cavalleria Rusticana”, 1963). Vicepresidente del “Conseil International de la Danse (Unesco), nel 1999 crea la “Fondazione Egri per la Danza” ed assume la direzione artistica della “Compagnia EgriBiancoDanza”, coadiuvata dal coreografo Raphael Bianco. Nell’ambito della coreografia italiana contemporanea rappresenta una delle forze più vive e originali per il carattere composito dello stile e delle tematiche, che spaziano dal balletto neoclassico all’espressionismo mitteleuropeo e al folklore. Tra le sue opere principali: “Le foyer de la danse” (1952); “Istantanee” (1953); “Armonie e contrasti” (1956); “Negro spirituals” (1960); “Jazz play” (1961); “Renard” (1962); “Tre Parabole” (1965); “Progressione” (1967); “Partita” (1970); “Chi sono io?” (1973); “Sonata a tre” (1974); “Condizione: Donna” (1975); “Hanystók” (1977); “Jeux” (1979); “Il noce di Benevento” (1983); “il Tabacco” (1985) “Al museo dell’Opera” (1989); “Eden: ipòtesi n°2” (1990); “il Mandarino Meraviglioso” (2001); “Lezione di cucina” (2013).

Gentile Maestra Egri, la Sua carriera è talmente lunga, ricca ed affascinante che è quasi difficile elencare tutti gli eventi, le esibizioni e le collaborazioni. Da bambina si sarebbe mai aspettata un futuro così ricco di soddisfazioni artistiche?
Credo di sì, volevo primeggiare.

Ma la danza è stata fin da subito il suo sogno da bambina o ambiva a qualche altra professione?
Mi sarebbe piaciuto partecipare alle Olimpiadi come tuffatrice.

Quali sono stati i momenti più importanti nella Sua formazione coreutica e a quali maestri è più grata?
Sono grata a tutti i miei maestri. In particolare mi ha “segnata” Harald Kreutzberg, un artista eccezionale.

Lei è nata a Budapest in Ungheria. Com’era vissuta la danza nella Sua terra natìa?
Ce l’avevano nel sangue.

Lasciata Budapest si è poi trasferita, dopo la formazione e specializzazione, a Torino. Qual è stato il suo impatto entrando in una città così ricca di storia?
…e così povera come sensibilità per la danza… ahimè!

Perché ha scelto Torino come luogo privilegiato per la propria attività coreutica?
Non l’ho scelta, ma una volta che i casi della vita mi ci hanno bloccata non ho più voluto lasciarla, nonostante fosse la città meno adatta ad impiantarvi un’attività professionale come la mia.

Un suo ricordo particolare per i maestri F. Nádasy dell’Opera di Budapest e di S. Berczik?
Personalità straordinarie. Ognuno unico nel suo genere. Devo molto ad entrambi.

Degli anni trascorsi in Francia e in America al fianco di storici nomi come Vera Volkova, Boris Kniaseff, Mary Wigman e Kurt Jooss cosa conserva di più bello?
La capacità di sentirmi a mio agio con ciascuno, anche con Josè Limòn, con il quale ho studiato solo in uno stage al Connecticut College, USA nel 1954.

Un suo ricordo per Mary Wigman, recentemente immortalata in un bellissimo libro edito dall’Istituto Italiano di Studi Germanici. Un’artista europea tra le più importanti del Novecento, celebre per la “danza d’espressione” svincolata dalle regole del codice classico-accademico?
Era commovente studiare con un’icona come lei anche se ormai avanti negli anni.

Mentre la collaborazione avuta con un altro personaggio di spicco quale Birgit Cullberg e il suo Balletto in Svezia, come l’ha arricchita?
Il grande apprezzamento del mio lavoro, tanto di coreografa tanto di docente, voleva affidarmi la direzione della Compagnia.

Un momento importante è segnato dall’inizio del lavoro con i programmi sperimentali della tv italiana, tanto che in coppia con Norman Thompson lei ha inaugurato la prima trasmissione ufficiale della Rai. Come ha vissuto il mezzo televisivo così diverso dal teatro?
Ho ritenuto da subito il mezzo televisivo il vero toccasana per la danza, mi ci sono tuffata come un pesce nell’acqua. La danza è fatta per la televisione perché si esprime in immagini, in movimento, rapide ed evocative. Non per niente sono stata protagonista di tutto il periodo sperimentale, compresa l’inaugurazione del Primo studio TV a Torino da parte del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, con un programma da me ideato e danzato (1949). Ho poi creato il Primo originale televisivo “Le Foyer de la Danse” (1952) e poi tutta una serie di creazioni per la TV dei ragazzi (dal 1955 al 1968), nonché per i programmi serali: “Incontro” (1960), “Negro Spirituals” (1962); “Renar” (1962); “Jazz Play” (1962), fino a quella “Cavalleria Rusticana”, ambientata in una Sicilia del dopoguerra, con musica jazz appositamente commissionata che mi è valso il “Prix Italia” (1963), l’Oscar della TV. Senza parlare dei programmi culturali che ho condotto in “Orizzonte”, “Storia della danza” e altri, coreografie per opere liriche, partecipazione a programmi di varietà “Sette Note”, “Canzonissima”, “Refrain” “Asolo” e tanti altri di vario tipo con talk show ecc.

In base alla sua esperienza, a che punto siamo con lo studio della danza e del balletto in Italia?
Si è molto esteso, ahimè non sempre per il meglio.

Cosa porta nel cuore del Suo debutto a Milano presso lo scomparso Teatro Excelsior in Galleria del Corso? Un luogo d’arte ormai dimenticato e poco conosciuto alle nuove generazioni…
Le prime critiche esaltanti apparse sui quotidiani.

A Suo avviso come si riconosce un buon maestro di danza? Quali sono le qualità (oltre all’esperienza e allo studio) che non possono prescindere da questa figura?
La generosità, la capacità di “dare”, anche a chi non lo merita.

Maestra Lei ha avuto il piacere e l’onore di danzare al fianco di alcuni tra i più bei nomi della danza. Con chi ha percepito maggiore empatia artistica?
Con Roberto Fascilla (étoile della Scala), con Jean Cèbron (partner di Pina Bausch), con Victor Ferrari (Teatro Còlon di Buenos Aires).

Un pensiero per suo padre Ernesto Egri Erbstein, grande uomo di sport e celebre allenatore?
Mio padre è l’uomo più straordinario e generoso che io abbia mai conosciuto. Un umanista prestato allo sport. Mi ha educata a dare la stessa importanza ai valori del fisico (sport, danza) come a quelli della cultura e dello spirito. Nonché al “gioco” fondamentale in ogni aspetto della vita. Non per niente “Homo Ludens” di Johan Huizinga era il suo “livre de chevet” (e lo è diventato anche il mio).

Tra tutti i teatri del mondo in cui ha danzato dove si è sentita più a casa? E qual è secondo lei il pubblico più affettuoso e preparato nei confronti del balletto?
Al Teatro dell’Opera di Amsterdam. Straordinario il pubblico olandese, curioso e partecipe.

Da anni sono membro del “Conseil International de la Danse (Unesco)” e lei è stata a lungo vicepresidente di quest’istituzione mondiale. Quali valori etici e morali ci sono alla base?
Contribuire alla pace del mondo con la danza, linguaggio universale.

Attualmente nella sua eredità artistica e formativa esistono quattro entità distinte, ma strettamente comunicanti. La “Fondazione Egri per la Danza”, la “Compagnia EgriBiancoDanza”, il “DAS/Danzatelierstudios” e la “Scuola di Danza Susanna Egri”. Quanto è stata fondamentale e lo è tutt’oggi l’attività pedagogico-formativa?
È la chiave di tutto, il segno che si lascia sulle generazioni.

Lei si è sempre posta l’obiettivo di promuovere e diffondere l’arte della danza in tutte le sue forme, e ciò è avvenuto anche grazie all’attività della Sua compagnia “I Balletti di Susanna Egri”. Oggi di cosa si sente felice guardando il passato?
Di aver suscitato emozioni anche fra gli scettici, di aver comunicato felicità.

Il Suo centro aveva permesso agli studenti di danza, la possibilità di frequentare corsi di Storia e teoria musicale, di Storia dell’arte, di Estetica musicale e di Storia e teoria della danza. Lanci un messaggio ai tanti allievi di oggi, così orientati verso i talent televisivi, affinché capiscano l’importanza dello studio di tali materie per risultare ballerini completi?
Il ballerino è per metà un atleta e per metà un intellettuale, ecco perché la sua formazione deve essere duplice.

Fra i numerosi suoi studenti ha avuto anche Alberto Testa e Luigi Bonino. Due punte di diamante, che allievi sono stati?
Testa era già adulto, ma attento e riconoscente. Bonino era geniale e selvaggio. È diventato riconoscente da grande.

Quanto è importante la contaminazione di linguaggi nelle forme dello spettacolo?
Fondamentale, mantenendo la priorità del linguaggio-base.

Oggi la “Compagnia EgriBiancoDanza” diretta da Susanna Egri e da Raphael Bianco nasce come continuazione della Compagnia “I Balletti di Susanna Egri”. Quale valore ha apportato l’arrivo di Raphael anche in fatto di continuità?
Raphael non è “arrivato”, è nato qui, e qui è tornato dopo aver completato le sue esperienze di danzatore sia all’estero sia in Italia. Esperienze preziose che, unitamente ai due anni di studio proficuo alla mia Università della Danza (concluso con 110 e lode) gli hanno fornito gli strumenti necessari al lavoro di coreografo. Se a ciò si aggiunge il talento e la creatività, possiede ciò che serve per portare avanti quello che io ho realizzato, con nuovo slancio: sarà sempre in grado di stupire e convincere.

La Compagnia attualmente possiede un solido repertorio che spazia dal balletto neoclassico alla danza contemporanea. Ha lasciato una grande eredità in dote alla nuova istituzione?
Senza radici non si cresce: il grande privilegio della mia Compagnia è di averlo capito. È importante che le radici restino vive, e che i nuovi virgulti sfuggano all’effimero acquistando spessore.

Perché nel 1992 ha deciso di sciogliere “I Balletti di Susanna Egri”?
Quell’anno l’assegnazione della sovvenzione ministeriale, che la Compagnia riceveva da 30 anni, mi fu comunicata il 1° dicembre. Con l’impegno di effettuare entro il mese (con il Natale di mezzo!) un numero spropositato di spettacoli. Impossibile da realizzarlo adeguatamente, ho preferito sciogliere la Compagnia e dedicarmi per alcuni anni al mio lavoro “free lance” di coreografa, docente e organizzatrice di eventi, con spettacoli occasionali. La nuova Compagnia “EgriBiancoDanza” è nata nel 1999, avendo a fianco Raphael Bianco (e con l’iter delle sovvenzioni ricominciato da zero!).

Un nuovo progetto che si rifà alla Sua antica Università della Danza è nato da poco con l’AFED (Alta Formazione Egri Danza) che ha lo scopo di avvicinare i giovani talenti alla professione. Com’è strutturato oggi e quali invece sono stati i momenti più nobili della sua celebre Università nel passato?
Coloro che hanno avuto il privilegio di frequentare la mia Università sono stati tolti dall’analfabetismo compositivo, con risultati dipendenti da doti intrinseche e circostanze esistenziali. Uno è diventato eccellente. Il nuovo AFED non potrà certo competere con l’ex-Università, che imponeva due anni di studio giornaliero e convogliava a Torino docenti eccezionali da ogni parte d’Europa. È stata un’esperienza irripetibile, anche perché alcuni di quei docenti sono ahimè deceduti e per altro è difficile ricreare il clima di entusiastico fervore che animava gli studenti selezionatissimi di quel primo biennio. Compito dell’AFED sarà quello di indirizzare i giovani talenti verso l’approfondimento delle proprie risorse. Solo questo è il percorso che rende liberi, non l’improvvisazione.

Dovendo tirare una sorta di bilancio sulla sua splendida carriera, qual è il suo pensiero?
“Che cosa ho realizzato? Che cosa è rimasto di quei sentimenti? Se tante speranze sono rimaste frustrate, se tanti progetti si sono tramutati in disillusioni in amarezza, una cosa però è rimasta intatta: l’entusiasmo. La danza è un’attività che non ha pari, un’attività completa che non si sceglie: se ne è scelti. Chi è segnato da questa scelta ha, evidentemente, un dono e anche un obbligo: continuare a dare finché possiede fiato in corpo. Creare, suscitare, formare. Con entusiasmo sempre rinnovato nonostante tutto”. Infatti è ciò che continuo a fare giornalmente.

A quali Sue produzioni, sia in veste di coreografa che in quelle di danzatrice, è rimasta più legata?
“Istantanee” è certamente la mia opera più significativa. Fatico io stessa a capacitarmi come abbia potuto concepirlo, coreografarlo e danzarlo nei miei vent’anni… in quel balletto ci sono tutti i fermenti della danza del XX e XXI secolo, un’opera totalmente originale e densa nella sua sinteticità: non ne è mai stata fatta un’esegesi approfondita (potrei forse farla io stessa?). Mi ha anche dato molta gioia danzare l’“Apollon Musagète” di Balanchine, una coreografia di stupefacente creatività, creata nel 1928! L’ho danzata nel 1961, nel programma della mia Compagnia per le celebrazioni del Primo Centenario dell’Unità d’Italia. Ho avuto la fortuna di imparare la coreografia dal mio partner, Victor Ferrari, primo ballerino del Colòn di Buenos Aires che l’aveva studiata direttamente da Balanchine, il più grande coreografo classico del ‘900. Non ne esiste alcuna registrazione, come del resto tutto ciò che ho danzato è sfumato nell’etere…

Maestra, possiede ancora un “sogno nel cassetto” da realizzare nel nome di Tersicore?
Mi piacerebbe scrivere, da scrittrice. Per una che ha basato la propria creatività sull’arte più volatile che esista, è forse ovvio aspirare alla concretezza della scrittura. La letteratura è l’arte che più mi affascina, vorrei parteciparvi, se ne avrò il tempo. La longevità mi interessa solo collegata con la lucidità: così, magari, da grande… chissà?!? Con l’aiuto di Tersicore.

Per concludere, la danza cosa le ha regalato di più entusiasmante nella sua vita?
Una vita completa, fatta di generosità e curiosità senza fine.

 

 Michele Olivieri
Foto: archivio
www.giornaledelladanza.com

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