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“Danza, chi, come e perché?” – La posta di Anna Maria Prina

La posta di Anna Maria Prina

Carissima Anna Maria Prina,

Nel percorso di un danzatore si ha occasione di interpretare svariati ruoli. Spesso non è facile indossare una maschera, lontana dai nostri canoni di personalità o addirittura talvolta abbiamo paura di osare le nostre potenzialità emotive. Durante la sua carriera ha mai avuto difficoltà nell’interpretare un ruolo specifico e come si è approcciata ad esso, avendo alle spalle professionalità e spessore emotivo?

(Michele da Pisa)

Caro Michele,

essere ballerini a livello professionale implica anche possedere una certa “flessibilità”, non solo fisica ma mentale. Quindi, pur tenendo conto delle inclinazioni personali, non si devono avere preclusioni di sorta, non bisogna chiudersi al nuovo o al diverso. Le porto un esempio personale: da giovane ballerina mi è capitato spesso di dover danzare in “balletti bianchi” come La Silfide, Le Silfidi, secondo atto di Giselle, che non erano certo i miei preferiti essendo io portata naturalmente al neoclassico. Ho imposto a me stessa con impegno e caparbietà (anche ricercando libri e vecchi filmati) di trasferire al mio corpo gli atteggiamenti e l’espressività dell’epoca e del personaggio ultraterreno. Passavo del tempo a controllare allo specchio, per esempio, l’angolatura del corpo e delle braccia; mi pettinavo con grande cura secondo lo stile con i bandeaux, pur vedendomi orrenda… Insomma, è necessario un lavoro dapprima culturale, che aiuti la comprensione del personaggio da interpretare, poi un lavoro fisico.  Lo stesso impegno va posto, soprattutto da parte dei ballerini di formazione accademica, anche per l’interpretazione di ruoli più moderni e contemporanei, che richiedono un lavoro fisico diverso e più sciolto, un’energia esplosiva e statica in alternanza. Ho sperimentato anche questo tipo di lavoro recentemente, provando per lo spettacolo Madame (coreografia e regia di Michela Lucenti), andato in scena lo scorso dicembre al Teatro Due di Parma. Si è trattato di un lavoro e di un’esperienza molto diversi dai personaggi del repertorio classico e neoclassico! Esperienza davvero interessantissima, dove ho osato intellettualmente e artisticamente. Per questo auguro a tutti di avere la possibilità di sperimentare con altri artisti di valore e creativi.

Gentile Signora Prina,

le nuove generazioni hanno a disposizione notevoli mezzi informativi, quali la televisione e specialmente Internet. Secondo Lei, la storia e il progresso della danza, secondo questi aspetti telecomunicativi, possono essere avvantaggiati, nel senso di costante aggiornamento informativo o la comunicazione mediatica può essere facilmente fraintesa?

(Nicola da Milano)

Caro Nicola,

Internet può essere sicuramente di aiuto, poiché vi si trovano informazioni di ogni tipo sulla danza, ovvero sia storiche sia di attualità. Le notizie dei vari eventi/spettacoli/rassegne vengono seguite da appassionati e addetti ai lavori con curiosità e costanza e questo è positivo. Il problema è la Storia della Danza. In rete si trovano tantissime informazioni che però a volte non sono del tutto esatte, a volte carenti. Ma peggio ancora, tutto quanto è pubblicato in rete viene consultato pochissimo da studenti e addetti ai lavori. Con questo voglio dire che l’aggiornamento costante di cui Lei parla non avviene per la parte storica che ci ha portato alle forme di danza odierne, poiché le giovani leve raramente conoscono la storia, i personaggi, i musicisti del passato. Pertanto, non sono in grado di comprendere come siamo arrivati all’oggi ed eventualmente fare riferimenti. Per quanto riguarda la televisione, la mia impressione è parziale, poiché la vedo raramente, ma mi sembra che spesso faccia credere che si possa facilmente raggiungere una certa notorietà (perlopiù passeggera) anche senza quell’impegno e quel lavoro che vengono richiesti dalla pratica della danza, alla cui base sta la tecnica. Il mio pensiero è che sia meraviglioso avere a disposizione dei mezzi di Informazione così potenti e capillari, ma che sia indispensabile usarli con intelligenza e discernimento.

Cara Signora Prina,

sono un insegnante di danza contemporanea in una scuola privata. Lungo il corso degli anni, la danza contemporanea ha subìto notevoli influenze, contaminazioni e costanti sperimentazioni tra i molteplici linguaggi corporei. Lei crede che un danzatore, nel pieno della sua formazione artistica, debba concentrarsi esclusivamente sulla tecnica classica o cercare contemporaneamente la sperimentazione e la scoperta di nuove frontiere coreutiche?

(Paola da Napoli)

Cara Paola, nella vita bisogna sempre evolversi e crescere, andare al di là di ciò che è noto, per varcare nuove frontiere, sperimentarsi e sperimentare. Questo vale anche per la danza! Nel 1975, dopo appena un anno alla direzione della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, ho introdotto i corsi di danza contemporanea per gli allievi della Scuola, scontrandomi con una mentalità italiana non ancora pronta ad accogliere cambiamenti così “moderni” e forti. Il confronto con altre realtà estere mi aveva dato modo di intuire quale sarebbe stata la direzione e l’influenza che la danza contemporanea avrebbe avuto da lì a poco. Non contenta, nel 2000/2001 ho introdotto il doppio Diploma, permettendo a chi – tra gli allievi – avesse una maggiore attitudine alla danza contemporanea, di diplomarsi, al termine degli otto anni, in questa disciplina. Oggi più che mai si richiede ai danzatori la massima versatilità e vediamo che quelli cosiddetti contemporanei con una buona base classica sono di maggiore successo e i più richiesti dalle compagnie italiane e straniere. La Danza è a 360°! Frontiere coreutiche aperte! Cari saluti e buon lavoro.

 La posta di Anna Maria Prina

Scrivete a redazione@giornaledelladanza.com

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