La danza è un’arte resistente. Come abbiamo visto si è istantaneamente mutata è ha trovato nello tsunami mediatico on line di lezioni, esercizi e stretching la nuova forma per sopravvivere.
Tale condizione sembra Idealmente un ponte che collega i due periodi, del prima e del dopo.
Vivendo nell’incertezza di quando si giungerà alla terra del dopo, e soprattutto di quali siano le regole di questo nuovo paese, il ponte si sospende e si allunga rarefacendosi in un colorato arcobaleno pieno di fantasia e di follia.
Certo è che se un giorno ci chiederemo cosa ne è stata di Tersicore nei tempi del Covid, la descriveremo attaccata al frigorifero, all’asse da stiro, al caminetto (nelle versioni più chic) cercando di eseguire eleganti ronde jambe par terre evitando il gatto che passa, il cane che scodinzola, il figlio che si muove carponi. Preoccupante può essere l’appagante senso di
completezza, dato dal narcisismo proprio di quest’arte sublime ed effimera.
Inoltre questa condizione, che prevarica il razionale, è culmine di uno scorretto modo di porsi degli artisti e degli studenti nei confronti della danza stessa, che spesso antepone il valore di un perfetto en dehors,
dell’esecuzione di un esercizio, a quello del movimento, della dinamica, dell’espressione, dell’interpretazione.
Indipendentemente dalla discussione sulla validità di una classe on line, la lezione è il training day di ogni ballerino per affinare e accordare il proprio strumento, niente a che vedere con “l’arte” della danza.
E come se, allo stesso modo, vedessimo un esercito di pianisti e musicisti eseguire scale musicali, anche impervie, o attori che ci regalassero solo esercizi di logopedia.
Lo so bene! Risponderà piccato il lettore tersicoreo che esercita tale pratica quotidianamente davanti allo schermo dello smartphone. Non lo so e lo spero, rispondo invitandolo a riflettere.
Mi piacerebbe, nell’attesa di tornare in teatro, chiudere gli occhi è sforzare la mia memoria per sentire lo scricchiolio delle assi del palco, il fruscio del sipario che si apre, l’odore dei velluti, l’affanno dei danzatori, il silenzio dei sospiri, i fragori di un applauso.
Questo mi piacerebbe.
Fredy Franzutti
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