Gianluca Falaschi è tra i nomi di punta della nuova generazione dei costumisti italiani. Il creativo romano ha ricevuto diversi consensi dalla critica e dal pubblico grazie all’oggettiva qualità artistica e alla raffinatezza dei suoi lavori. I costumi dell’”Attila” e della “Tosca”, delle ultime inaugurazioni al Teatro alla Scala, sono stati curati da lui. Falaschi ha ricevuto il Premio “Franco Abbiati” per i costumi ideati in “Ciro in Babilonia” al Rossini Opera Festival di Pesaro, ed è stato indicato dalla rivista Openwelt costumista dell’anno per due volte, la prima con l’opera “Perela“, allo Staatstheater di Mainz, la seconda per “Alcina” di Hendel a Basilea, e per “Armide” di Gluck ancora a Mainz .
Al Giornale della Danza Gianluca Falaschi si racconta in un’intervista esclusiva.
Come avviene il percorso di diventare costumista?
Ho studiato all’università prima Architettura, poi Lettere, successivamente sono approdato all’Accademia di Costume e Moda di Roma. Il mio percorso come costumista è iniziato dopo la gavetta, il volontario. Sono divenuto l’assistente di grandi Maestri del costume come Odette Nicoletti. Sono stato fortunato, perché nel frattempo ho conosciuto molti registi con cui ancora collaboro, quali: Arturo Cirillo , Davide Livermore, Giuseppe Marini. Ho avuto modo di vestire Franca Valeri ne “ Le Serve” nel 2007, con Cristina Pezzoli ho vestito Isa Danieli in “Madre Coraggio” nel 2008, con la quale ho debuttato nella Lirica con il Trittico di Puccini al Comunale di Modena, lo stesso anno .
E’ impegnato anche nella docenza di storia del costume?
Da dieci anni insegno progettazione del costume per il teatro all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Attualmente, a causa dell’epidemia, i corsi teorici sono possibili grazie alla piattaforma del Ministero dell’Istruzione.
Quali sono stati gli incontri più salienti della sua carriera?
Subito mi viene in mente Arturo Cirillo. Ero molto giovane quando mi ha affidato i primi lavori, è stato uno dei primi a riporre fiducia in me. Sono cresciuto anche grazie ai lavori con Walter Le Moli e la decennale esperienza fatta con lui ed altri artisti al Teatro Due di Parma. Devo tanto a Lydia Steier, che mi ha portato in Germania e mi ha fatto conoscere, attraverso diversi titoli, i palcoscenici tedeschi. Ogni incontro è stato importante, anche se di mondi artisti differenti, come: Alfonso Antoniozzi, Rosetta Cucchi, Francesco Micheli .
In particolare chi l’ ha influenzato maggiormente?
Se Cirillo è stato il mio mentore nella prosa, Davide Livermore lo è stato nella lirica. A questo generoso sodalizio artistico devo una vita di spettacoli condivisi: “Falstaff” a San Paolo, “Aida” a Sydney, le aperture del Teatro alla Scala, il Rossini Opera Festival di Pesaro, dove con Davide siamo tornati tre volte, la prima con “Ciro in Babilonia” nel 2012.
Proprio per questo spettacolo ha ricevuto un grande riconoscimento.
Si, per “Ciro in Babilonia” ho ottenuto il Premio “Franco Abbiati”. Era una scommessa trasformare artisti in carne ed ossa in fotogrammi di un film muto. Dai costumi al trucco era tutto in bianco e nero; uno stile tra la fine del dieci e i primi anni venti, ma cinematografico, influenzato tanto dagli orientalismi dei Balletti Russi, quanto all’alta moda di quegli anni . Un lavoro che sicuramente porto nel cuore .
Riguardo i balletti invece?
Per me i balletti sono stati un regalo di Francesco Ventriglia. Per le sue bellissime coreografie ho curato i costumi e le scene per “Il Mago di Oz” al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino nel 2012 e il successivo debutto internazionale al Royal Ballet in Nuova Zelanda. Sono molto felice di dirti che l’anno prossimo verrà prodotta una versione per il Balletto Nazionale dell’Uruguay. Sempre con Ventriglia il “Bolero” al Teatro Olimpico di Roma.
Cosa ha tratto da queste committenze?
Grazie a Ventriglia e a queste esperienze ho appreso la leggerezza dei costumi della danza, unita alla profondità del senso nel disegnare per i danzatori e il rispetto che ogni costume deve avere per l’enorme sforzo fisico che questi artisti compiono ogni volta.
Quali balletti le piacerebbe curare in futuro?
Mi piacerebbe tornare alla danza. Riguardo ai balletti classici penso a “Giselle” , a “Il lago dei cigni”, a “Petruška”, come alla danza contemporanea. Certamente anche una nuova opera. E’ stato così emozionate vedere Ventriglia creare dal nulla un titolo, un’ occasione irripetibile .
Come nasce la realizzazione di un costume teatrale?
Dal confronto e dall’incontro con il regista e con il coreografo se si parla di un balletto. Dall’incontro, dall’ascolto e dal tempo speso assieme. Bisogna capire attentamente queste figure che tipo di storia vogliano raccontare, la lettura dell’opera, il sentimento con cui la affrontano. Ci si lascia sospingere in una narrazione e si comincia a fare ricerca, che è la parte forse più bella. Poi si disegna, si progetta, come un’ architettura. Quando si realizza il costume, non si attende, ci si confronta anche lì, con gli artigiani e con gli artisti che lo indosseranno. E’ una realizzazione che si compie poco alla volta, per lunghe tappe .
I costumi de “La Tosca” al Tetro alla Scala dello scorso dicembre portavano la sua firma. Che ricordo ha di quest’ultima collaborazione così prestigiosa?
Non dimenticherò mai i lavoratori del Teatro. La Scala ha una tradizione secolare, c’è molta generosità e condivisione tra le maestranze. Le giornate di lavoro sono lunghissime, intense. Per “Tosca” cercavamo una nota astratta e questo cercare ha coinvolto la sartoria e tutti i reparti: dalla pittura, all’attrezzeria, dalla prima all’ultima prova.
Che tipologia di tessuti avete utilizzato per i costumi de “La Tosca”?
La nota astratta dei costumi l’abbiamo data grazie ai materiali, che erano tutti plissé fatti a mano, e con un gesto pittorico che affondava idealmente le sue radici nella pittura informale, nei grandi quadri di Rothko, nelle materie di Burri.Ciò ha significato fare campioni, prove, esperimenti. La preparazione dei costumi è durata da giugno a dicembre. La progettazione è iniziata almeno due o tre mesi prima. La Scala per me è un anno pieno ed inciso nella memoria .
La Scala di Milano punta a riaprire a settembre, dopo la chiusura forzata per l’epidemia, con il “Requiem” di Verdi come tributo alla vittime del Covid-19 . Cosa ne pensa?
E’ un’ottima notizia, è un segnale positivo per tutti che dopo la tempesta sia visibile un porto su cui approdare. All’interno di ogni teatro c’è tanta gente che lavora e tante imprese che ruotano intorno a questa economia. Lo spettacolo è la messa in scena del lavoro fatto, l’atto finale, il prodotto finito. Prima c’è tanto artigianato che non va smarrito, che va tutelato; dagli artisti, ai ballerini, alle masse artistiche, ai sarti, agli scenografi.
C’è stata un’ evoluzione del lavoro di costumista?
Il nostro lavoro è uguale da sempre, da anni. Grazie alle nuove tecnologie abbiamo potuto sperimentarci, ma il fine ultimo è quello di una tradizione che si tramanda, che si apprende e si condivide. Il contenuto può cambiare, è contemporaneo, anche quando mettiamo in scena una storia di un secolo fa. L’atto pratico di un costume no. Perfino i mezzi innovativi, dati dalla tecnologia, dai laser, dalle stampe, dalle applicazioni, dai tessuti anche artificiali, sono solo un dettaglio sullo sfondo, di un qualcosa che ha a che vedere ancora con il fatto a mano .
A quali spettacoli è più legato?
Devo dire a tutti. In ciascuno c’è qualcosa che ho imparato, qualcosa di nuovo, che è quello che ci sospinge avanti . Ho dei bellissimi ricordi legati al “Mago di Oz”di Ventriglia , a “Ciro in Babilonia”, alla “Tosca” ad “Attila”e al “ Don Pasquale” al Teatro alla Scala con Livermore . Ma anche “La Donna Serpente” per la regia di Cirillo al Festival di Martina Franca.
Poi a Torino al Regio, l’”Aida” fatta a Sidney, i tanti titoli al Carlo Felice di Genova. Tra tutti il “Roberto Devereux” per la Regia di Alfonso Antoniozzi. La mia prima volta in Germania con la Steier, per il “Perelà,uomo di fumo” di Dusapin.
Ma faccio ammenda, li nominerei tutti, spettacoli di prosa, di lirica e di danza. I ricordi sono le persone incontrate, gli artisti che si mettono alla prova, le sarte e le lunghe prove costume fatte con loro. Le persone che in ogni città vivono un teatro diverso, che lo fanno proprio abitandolo. Ciascuno è stato davvero importante .
Quali saranno i suoi progetti futuri dopo il lockdown?
Un lavoro complesso, di tre opere, che sto studiando adesso con il Maestro Daniele Abbado per il Teatro Comunale di Bologna. Dovrei riprendere la preparazione dell’”Otello” di Verdi per la regia di Valerio Binasco a Firenze. Anche alcuni titoli con il Maestro Livermore, dei progetti con Arturo Cirillo, con Lydia Steier. Siamo tutti in attesa che questa emergenza finisca, che la vita ci riporti al Teatro, che siano annunciate le stagioni per avere una certezza di tutti questi appuntamenti .
Quali sono i classici della letteratura che hanno influenzato il suo percorso?
“Addio a Berlino” di Isherwood, “Madame Bovary” di Flaubert, “Anna Karenina” di Tolstoj. Ogni volta che leggo un romanzo viene fuori qualcosa che influenza la mia immaginazione. Soprattutto Marquez, che narra l’invisibile da cui l’uomo si lascia influenzare, che è forse quello che tento di mettere nei costumi, ogni volta.
Elena Parmegiani
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