Sasha Riva è nato il 3 febbraio 1991 a Fairfax County, Virginia (USA), ma è cresciuto in Italia. All’età di sedici anni ha studiato per un anno presso l’Accademia di danza contemporanea di Susanna Beltrami a Milano e dopo, anche senza aver avuto molta formazione nel classico, è entrato a far parte della Scuola del Balletto di Amburgo John Neumeier diretta da Marianne Kruuse dove ha studiato per tre anni (settembre 2008 – giugno 2011). Come insegnante principale nella scuola di Amburgo ha avuto Kevin Haigen. Nel corso di questi anni, in occasione di spettacoli ed eventi con la scuola, Sasha ha danzato ruoli da Solista in balletti di Neumeier come “Yondering”, “Vaslaw” e “Das Knaben Wunderhor” e ha anche iniziato a prendere parte in alcune produzioni con la compagnia del Balletto di Amburgo. Sasha è inoltre stato accettato e ha frequentato per quattro volte il corso estivo con NDT (anni 2010-2012-2013-2015). Nell’agosto 2011 Sasha Riva è entrato a far parte della compagnia del Balletto di Amburgo John Neumeier, dove è rimasto fino al luglio 2016. Durante i suoi anni in Compagnia (oltre a danzare in tutte le diverse produzioni di Neumeier che erano nel repertorio in quei cinque anni), Sasha ha avuto la possibilità di ballare diversi ruoli da Solista in nuove creazioni e in alcuni pezzi del repertorio di Neumeier. Già all’inizio della sua prima stagione con il Balletto di Amburgo, Neumeier ha creato su di lui il ruolo “The Balloon Man” in “Liliom” (dicembre 2011). Poi ha anche creato per Sasha uno dei “Three Wise Men” in “Christmas Oratorio I-VI” (dicembre 2013) e “The Zaretsky” in “Tatjana” (giugno 2014). Alcuni ruoli da Solista del repertorio di Neumeier che Sasha ha danzato durante quel periodo sono “The poet H.C. Andersen” in “The Little Mermaid”, “Brother Lorenzo” in “Romeo e Giulietta”, “Petrushka” in “Nijinsky”, “Polonius” in “Hamlet” e “Duke Senior” in “As you like it” nella serata “Shakespeare Dances”, “Sebastien” in “Préludes CV”, “Il pubblico” in “Duse” – “Fratres” (Duse). Nel 2012 ha fatto anche parte della creazione per il Balletto di Amburgo della produzione “Renku” di Orkan Dann e Yuka Oishi. Durante la sua permanenza ad Amburgo, Neumeier gli chiese di coreografare due pezzi per il Bundesjugendballet e Sasha ha creato “Muted” (aprile 2012) ed “Exultet” (aprile 2014, realizzato insieme a Marc Jubete). Sasha ha anche ballato diverse volte con il Bundesjugendballet. Dopo aver preso la decisione di lasciare il Balletto di Amburgo, Sasha nell’agosto 2016 è entrato a far parte del “Ballet du Grand Theatre de Geneve” diretto da Philippe Cohen, dove sta attualmente lavorando. Fino ad ora con il “Balletto di Ginevra” si è esibito in “Romeo et Juliette” e “Tristan & Isolde – Salue pour moi Le Monde” di Joelle Bouvier, in “Carmina Burana” di Claude Brumachon, in “Casse-Noisette” di Jeroen Verbruggen, in “Glory” di Andonis Foniadakis, in “Lux” di Ken Ossola. E come creazioni ha avuto “BA / ROCK” di Jeroen Verbruggen (ottobre 2016), un nuovo duetto “Bachiana n. 5” creato anche da Jeroen Verbruggen per serate di Gala ed eventi della Compagnia (novembre 2016), “Elementen III – Blazing Wreck” di Cindy Van Acker e “Une Autre Passion” di Pontus Lidberg. E ha anche avuto la possibilità di danzare in un Gala il duetto tratto dal balletto “Amoveo” di Benjamin Millepied. Per serate di Giovani Coreografi, Sasha si è esibito in nuove creazioni di Yuka Oishi, Simone Repele, Aleix Martinez, Marc Jubete Bascompte, Luca-Andrea Tessarini, Florencia Chinellato, Dale Rhodes, Aljosha Lenz e ha anche ballato in Gala diversi pezzi da lui stesso coreografati. In alcuni Gala si è anche esibito in nuovi pezzi per lui creati da Natalia Horecna (Walking in me talking) e Leo Mujic (Paper thoughts). Ha preso parte all’Origen Festival Cultural a Riom (nel 2014-2015-2016-2017). Per l’occasione si è esibito in tre nuove produzioni di Yuka Oishi, danzando nel ruolo di “Joseph” in “Joseph”, nel ruolo di un “Dottore” in “Little” e nella coreografia “Seven”. Poi ha danzato i ruoli di “Federico Garcia Lorca” e un “Cigno” nella produzione “Le Surrealisme c’est moi” di Aleix Martinez per il Festival di Sant Pere de Rodes nel 2014. Ha anche danzato per il “Ballet Star Gala a Jurmala” nel 2015 e si è esibito in Festival organizzati da Mauro de Candia a Barletta nel 2012 e nel 2015. Nel 2017 si è esibito nel “Gala Excelsior” organizzato da Marco Batti al Teatro dei Rinnovati di Siena e nel “TanzGala Osnabruck” organizzato da Mauro de Candia. E a settembre del 2017 ha ballato nella serata di Gala “Soiree De Danse” durante lo stage “Palermo in Danza” a Palermo, mentre il 17 e 18 Febbraio danzerà nel Gala “Bellini International Dance Gala” a Napoli. Durante la sua prima stagione con il Balletto di Amburgo di John Neumeier, a Sasha viene assegnato il titolo di “Giovane Talento Promettente” nel 2012 da parte del magazine tedesco “Tanz”. E nel marzo del 2017 gli è stato assegnato, dal direttore artistico Mauro de Candia, il Premio Internazionale per Merito durante il “Gala Tersicore” in Italia, per il quale si è anche esibito al Teatro Curci di Barletta.
Carissimo Sasha, hai iniziato la formazione all’Accademia di Susanna Beltrami. Raccontaci com’è nata in te l’esigenza di fare danza e perché la scelta della Dancehaus?
Muovermi e stare sul palcoscenico mi è sempre piaciuto sin da piccolo. Ero felice di partecipare alle recite scolastiche e mi ero anche iscritto ad un corso di recitazione vicino a casa. Mia mamma mi racconta che adoravo ballare nei villaggi turistici in estate quando ero bambino, ed una sera mi ha portato a teatro a vedere il musical “Notre-Dame de Paris”. Al termine dello spettacolo, con le lacrime agli occhi, le ho detto che anch’io avrei voluto stare sul palcoscenico. Ho iniziato a fare danza in scuole private vicino a casa, prima a Lissone e poi a Sesto San Giovanni. Ho cominciato con un corso di hip hop, perché guardavo spesso video musicali ed era quello che volevo fare. Solamente più tardi ho iniziato ad avvicinarmi alla danza classica e contemporanea e a sedici anni ho deciso di iscrivermi all’Accademia Franco Parenti di Susanna Beltrami: nella danza contemporanea trovavo più me stesso ed ero sicuro che questa Accademia, molto conosciuta a Milano, mi avrebbe permesso di sviluppare la mia professionalità
Quali sono le emozioni più vive del periodo trascorso in Accademia a Milano?
Il periodo trascorso all’Accademia della Beltrami è stato molto intenso e faticoso. Pur avendo già sedici anni, ero uno dei più giovani del mio corso e dopo le lezioni dovevo frequentare a Milano un liceo serale. Dell’Accademia conservo un bel ricordo perché finalmente avevo la possibilità di danzare tutto il giorno con diversi insegnanti, mi confrontavo con persone più adulte e mi sentivo crescere sotto parecchi punti di vista.
Un tuo pensiero personale ed artistico per la cara amica Susanna Beltrami?
Per me Susanna è una donna molto forte e di grande intelligenza e cultura, con la sua presenza mi incuriosiva ed intimidiva allo stesso tempo, mi ha sempre trattato in modo carino, come un piccolo principe che aveva un grande potenziale. Ora, che sono cresciuto professionalmente, mi farebbe piacere avere ancora l’opportunità di collaborare con lei per qualche progetto in modo da poter cogliere i suoi pensieri e le sue immagini più a fondo.
La tua prima volta in assoluto in palcoscenico nelle vesti di danzatore con cosa è avvenuto e in quale teatro?
La mia prima volta in assoluto su un palcoscenico come danzatore è stata quando ho iniziato a studiare in una scuola di Lissone, durante il saggio di fine anno. Non ricordo tutto perfettamente, ma è stato magico. Ero molto agitato ed emozionato. Ho danzato sulla musica dei Blues Brothers e ricordo che, essendo l’unico maschio del corso, per rappresentare il secondo elemento della coreografia è stato utilizzato un appendiabiti con giacca e cappello nero, al pari del mio abbigliamento. Mi sono divertito tantissimo. Invece, la mia prima volta come danzatore professionista risale all’agosto del 2011. Due settimane dopo aver iniziato il contratto con il “Balletto di Amburgo” di John Neumeier, ho avuto la possibilità di danzare a Gütersloh, in Germania, in qualità di uno dei sei handworkers (quello che interpreta la luna) nel balletto “A Midsummer Night’s Dream” di John Neumeier.
Come sei arrivato ad Amburgo e come ti sei accostato al classico, avendo iniziato tu con la disciplina contemporanea?
Durante la seconda parte del primo anno di Accademia dalla Beltrami, sono venuto a sapere di uno stage di danza presso la scuola Hamlyn di Firenze tenuto dalla direttrice della scuola di Amburgo, Marianne Kruuse, con due giorni di lezioni e con la possibilità di sostenere un’audizione per essere poi selezionati. Avevo già diciassette anni e pochissime nozioni di danza classica, ma un mio amico mi chiese di partecipare con lui allo stage. Accettai, più per curiosità di sapere quale fosse il mio livello, nonostante l’obiettivo fosse quello di terminare gli anni di Accademia a Milano per poi provare ad entrare alla scuola di danza contemporanea “Codarts” a Rotterdam. Data la mia età, per l’audizione di Firenze ero già nella classe avanzata. Ricordo che quando la Kruuse spiegava le combinazioni spesso mi giravo verso altri ballerini chiedendo spiegazioni sui passi da lei richiesti, in quanto non ne avevo idea. Dopo la lezione, mi chiamarono in un’altra stanza e mi comunicarono che mi volevano ad Amburgo e che mi avrebbero “trasformato”. Lo dissi a mia madre che inizialmente pensò che non avessi capito cosa mi avessero detto in inglese. Ma glielo confermarono. Anche se rimanevo dell’idea di voler fare danza contemporanea/neoclassica, pensai che entrare a far parte della scuola di Amburgo mi avrebbe permesso di migliorarmi e rafforzarmi nel classico, per poi aver maggior controllo sul mio corpo ed una pulizia nei movimenti per la danza a cui ero maggiormente interessato. Quindi accettai.
Quali sono state le difficoltà nei primi periodi alla Scuola diretta da Marianne Kruuse?
Di sicuro la maggior difficoltà è stata per il classico perché nell’anno dalla Beltrami la lezione che facevo era Primo Corso Vaganova (che normalmente è eseguita dai bambini di 10-11 anni). Certamente mi è servita per capire le posizioni base e anche per far emergere alcune doti fisiche. Quindi, entrare a far parte della Settima Classe ad Amburgo non è stato facile perché ho così saltato tutte le nozioni intermedie che ti permettono di crescere gradualmente, assorbendo e comprendendo determinati aspetti tecnici. Infatti ancora oggi lo posso sentire. Ad Amburgo ero circondato da elementi molto forti, ma sono stato parecchio determinato e ho sempre saputo che dovevo stare sul palcoscenico. Quindi, sin da subito, ho cercato di dimostrare ciò che avevo di mio e ciò che avrei potuto essere.
Della giornata in cui ti sei diplomato qual è il sentimento più vivo?
Il sentimento più vivo che ho della giornata del mio diploma è l’aver danzato, come variazione moderna per l’esame, il duetto “Les Indomptés” di Claude Brumachon insieme a Marc Jubete, una figura a livello personale ed artistico per me speciale. È un duetto bellissimo e, sin da quando l’ho visto per la prima volta, ne sono rimasto colpito e insieme a Marc abbiamo deciso di danzarlo per il nostro esame. Fino a quel momento, non ero per niente soddisfatto di come fossero andate le prove: ma quando è iniziata la musica, ho scordato tutte le insoddisfazioni ed è stata un’emozione enorme. Alla fine del passo a due, John Neumeier era commosso e aveva le lacrime agli occhi ed io, uscito dalla sala sono scoppiato in un pianto liberatorio. In quel momento ho pensato nitidamente che la danza sarebbe stata la mia vita e ciò di cui avrei vissuto. Il mio primo contratto sarebbe iniziato dopo un mese da quel giorno.
Poi la grande occasione di entrare in Compagnia. Cosa rende speciale il corpo di ballo dell’Hamburg Ballett?
Ciò che rende speciale il corpo di ballo dell’Hamburg Ballett è che, pur essendo una delle più grandi compagnie di balletto esistenti, è formata da elementi eterogenei e John, per le sue creazioni e per i suoi repertori, cerca sempre di utilizzare e valorizzare al meglio le caratteristiche di ogni individuo.
Parliamo di John Neumeier, quali sono i maggiori insegnamenti ricevuti da lui?
Osservando John e lavorando con lui durante i miei anni ad Amburgo ho capito quanto sia importante il pensiero che sta dietro ad ogni movimento e l’attenzione prestata ai dettagli. John mi ha aiutato a sviluppare la mia personalità artistica e un mio peculiare modo di stare in scena, anche grazie alle numerose opportunità che ho avuto non appena entrato in compagnia.
In veste di direttore quali ritieni siano i suoi punti di forza?
Trovo incredibile la sua capacità di aver creato, mantenuto e sviluppato una grande compagnia, una grande scuola e, recentemente, una giovane compagnia che sono famose e hanno un notevole prestigio in tutto il mondo.
Cosa ti ha colpito nella sua arte coreografica, nel porsi con i ballerini durante una creazione o in sala danza nelle prove?
Mi ha colpito la grande passione e dedizione che ha sempre manifestato durante le nuove creazioni, ma anche nella riproposizione di repertori del passato. In ogni situazione lavorativa è impossibile non notare quanto amore vero John abbia per quest’arte: la danza.
Tra tutte le creazioni di Neumeier in quale ti sei trovato maggiormente a tuo agio per empatia con il ruolo?
Di sicuro la creazione più speciale e alla quale sono più legato è stata quella di “Liliom” (premiere il 4 dicembre del 2011). Ero appena entrato a far parte della compagnia e John ha iniziato subito a creare su di me il ruolo del “Balloon Man” in questo suo nuovo balletto. Un personaggio magico e misterioso. Un angelo custode che si muove per mezzo di tanti palloncini, che tirano verso l’alto… è per me un personaggio che simboleggia anche la “speranza”. Mi sono affezionato a questo ruolo tanto che in Compagnia mi chiamavano “l’Uomo dei Palloncini” …e sempre lo sarò!! Un altro ruolo che ha avuto un grande significato personale è stato quello del poeta H.C. Andersen nel balletto “The Little Mermaid”. Un ruolo assai impegnativo dal punto di vista interpretativo, normalmente ballato da artisti più adulti e maturi (ad Amburgo dai magnifici Llyod Riggins e Ivan Urban). Avevo solamente ventuno anni quando l’ho danzato per la prima volta e da lì ho avuto la fortuna di interpretarlo anche nelle stagioni successive. Un ruolo particolarmente speciale e che ti fa arrivare in luoghi dentro di te che non puoi immaginare… è stata un’esperienza che mi ha arricchito e fatto crescere, un ruolo nel quale ho anche ritrovato molto di me stesso e che vorrei avere la possibilità di ri-interpretare ora che sono più maturo, perché quando l’ho danzato in giovanissima età era davvero difficile capirlo e comprenderlo a fondo e soprattutto trovare il modo di interiorizzarlo completamente pur mantenendo gli elementi che Neumeier desiderava mostrare mediante esso. Ma è stata un’emozione unica, soprattutto danzarlo accanto alla mia cara amica Silvia Azzoni, la “Sirenetta” per eccellenza!
Su invito di Neumeier ti sei accostato alla coreografia per il Bundesjugendballet. Da danzatore a coreografo, come è avvenuta questa evoluzione a livello personale?
Tutto è iniziato durante il periodo trascorso nella scuola dell’Hamburg Ballett quando, a causa del fatto che a livello di tecnica classica fossi sicuramente un po’ ‘indietro’ rispetto alla mia età e alla mia classe, ho incominciato a creare piccole coreografie su me stesso in modo da far emergere ciò che avevo dentro e per far comprendere la mia passione per la danza. Questo è stato molto apprezzato da John ed è stato motivo dei miei successi già durante il periodo trascorso in scuola e, facendo così emergere la mia personalità, sono riuscito ad avere il contratto con l’Hamburg Ballett. Una volta entrato in compagnia mi è stata poi offerta la possibilità di coreografare anche per la giovane compagnia (Bundesjugendballett).
Per accostarti ad una nuova creazione da dove poni le basi per la ricerca del movimento e delle dinamiche?
Per le mie nuove creazioni non seguo sempre lo stesso schema. Solitamente tutto nasce dalla mia necessità di voler esprimere e rappresentare un sentimento o una situazione attraverso il mio corpo o in relazione con un partner, mentre quando coreografo per altre persone cerco spesso di partire da un’idea o da un concetto che voglio sviluppare e mettere in scena.
La musica che ruolo gioca nel determinare l’idea coreografica in una tua creazione?
La musica è decisamente importantissima. Spesso parto da una musica che mi ispira per poi vedere dove mi porta nella creazione. Altre volte, ho un’idea forte in testa e cerco di trovare una melodia che sia adatta ed appropriata a ciò che voglio rappresentare.
Chi sono gli altri artisti, incontrati nel tuo percorso, i quali ti hanno arricchito a livello formativo ma anche ideale?
Ci sono diverse persone che mi hanno dato molto. Per nominarne alcune durante il mio percorso ad Amburgo di sicuro Silvia Azzoni, che è diventata un grande punto di riferimento sia dal punto di vista artistico che personale. Essendo italiani ci siamo subito avvicinati ed è stata come una “mamma” agli inizi in compagnia. Un’artista per me incredibile della quale nutro tanta stima e che ammiro; danzare accanto a lei è sempre stata un’esperienza entusiasmante. Poi anche Natalia Horecna, coreografa con la quale ho avuto la splendida occasione di lavorare e che artisticamente e umanamente mi ha aperto un mondo e dato molta autostima; Yuka Oishi, ragazza di grande cuore che mi ha aiutato in parecchi momenti e che con la sua arte e danzando le sue coreografie mi ha dato e ancora mi da moltissimo; Aleix Martinez, un piccolo genio con il quale ho avuto una bella connessione nel danzare i suoi pezzi ed infine da Amburgo probabilmente la persona più speciale è Marc Jubete, una di quelle connessioni che non trovi spesso nella vita. Marc nei miei anni ad Amburgo e ancora adesso significa tantissimo! Ci siamo trovati subito a livello personale ed artistico e danzare insieme è qualcosa di unico! Mentre durante il mio percorso a Ginevra fino ad oggi ci sono state Yumi Aizawa e Madeline Wong, due ballerine fantastiche con le quali è molto intenso condividere la scena. Hanno entrambe, in modo diverso, un’anima pura e semplice sul palcoscenico e da loro posso imparare tanti aspetti. Ed infine la persona che al momento mi sta arricchendo di più sotto ogni punto di vista è probabilmente Simone Repele. Un mio attuale collega e una persona significativa nella mia vita. Artisticamente mi sento in costante crescita grazie anche a lui. È un ballerino forte, un artista intenso e con grande potenzialità coreografiche. A volte mi definisce sua “musa” perché crea tanti pezzi con me ed io trovo le sue idee brillanti! Mi devo mettere sempre alla prova con lui e non è comunque facile ma è ciò che più mi fa sentire vivo… una continua ricerca nel fare arte insieme all’interno del nostro piccolo mondo per poi sentirsi pienamente soddisfatti! E così come nella danza Simone è anche un grande confronto umano! Nel sembrare apparentemente assai diversi penso che siamo invece assolutamente in sintonia.
Sasha, che tipo di danza contemporanea prediligi? Se ti capita di andare a teatro ad assistere a qualche evento tersicoreo, cosa scegli?
Da danzare, prediligo ancora uno stile contemporaneo che comunque è in gran parte influenzato dalla tecnica classica, anche se mi piace sperimentare altri stili. Quando vado ad assistere ad uno spettacolo sono molto “aperto”, mi piace vedere cose diverse, dal neoclassico al contemporaneo, ma anche il teatro danza.
Mentre dei balletti del grande repertorio a quale sei più affezionato e perché?
Non ho un pezzo preferito del repertorio e avendo trascorso la maggior parte del tempo ad Amburgo, sono cresciuto guardando soprattutto solo composizioni di John Neumeier dal vivo. Quindi preferisco rispondere basandomi su sue coreografie e non su altri grandi pezzi di repertorio che mi piacciono molto ma che posso aver visto solamente in video. Ci sono diversi pezzi di Neumeier che trovo bellissimi, ma dovendone scegliere uno direi “Nijinsky”, perché penso sia una creazione geniale, un capolavoro. Non vuol dire che sia il mio preferito ma trovo che con “Nijinsky” John Nuemeier abbia fatto un lavoro incredibile, partendo dalla scelta musicale, ma soprattutto per come sia riuscito ad intrecciare la vita personale con la vita artistica ed i ruoli che Nijinsky ha interpretato, collegandoli anche al periodo storico in cui è vissuto. È un pezzo che dal vivo è davvero fantastico. E danzarlo nel ruolo di “Petrushka” è stata un’esperienza unica.
Chi sono i coreografi dell’attuale scena a cui guardi con particolare interesse?
Ci sono diversi coreografi che amo molto e con i quali mi piacerebbe lavorare. Anche se non del panorama attuale, vorrei citare Mats Ek e Jiri Kylián dei quali sono innamorato e stimo davvero tantissimo. Per fare qualche nome della scena attuale, direi Crystal Pite, davvero geniale nelle sue creazioni, ma anche Marco Goecke, Ohad Naharin, Alexader Ekman. Poi coreografi che conosco un po’ di più, avendo partecipato diverse volte ai corsi estivi del NDT, come Lightfoot e Leòn.
In Germania come ti sei trovato a livello sociale?
In Germania tutto è ben organizzato, ma dal punto di vista sociale ho sempre avuto nostalgia dell’Italia, del calore della gente e dello stile di vita. Tuttavia ad Amburgo, essendo molto impegnato con il lavoro, la maggior parte del tempo uscivo con i miei colleghi. Ho creato bellissime amicizie, e quindi anche nel mio tempo libero sono stato bene ed ho avuto persone care al mio fianco.
Come definiresti la disciplina “neoclassica”, stile che contraddistingue il lavoro di Neumeier?
Il neoclassico è uno stile che mantiene principalmente le caratteristiche classiche, ma va a rompere determinate regole. Ritengo che John Neumeier riesca così a mantenere le sue coreografie sempre vive ed attuali nel tempo.
Come mai ad un certo punto hai lasciato la Compagnia di Amburgo, dopo cinque stagioni?
La scelta di lasciare la compagnia di Amburgo non è stata assolutamente semplice, soprattutto perché in compagnia, sin dal primo anno, avevo una posizione molto speciale con John. Con lui ho avuto un rapporto artistico particolare e di questo gli sono assai grato. Ma, nonostante le opportunità ottenute, come artista mi piace mettermi alla prova. Sin da piccolo mi è piaciuto sperimentare stili diversi, soprattutto più contemporanei. Mi sono reso conto che stavo crescendo e se non avessi fatto questo cambiamento, sarebbe stato forse troppo tardi. Avevo bisogno di nuovi stimoli, soprattutto dal punto di vista del vocabolario artistico e di movimento, qualcosa che non fosse solo “John Neumeier”. Volevo conoscere stili diversi ma anche un diverso approccio a livello artistico, che avrei potuto imparare lavorando con altri coreografi.
E come sei arrivato poi a Ginevra al“Ballet du Grand Theatre de Geneve”?
Conoscevo il balletto di Ginevra, in quanto ci lavora un ragazzo (Simone) che era con me in scuola ad Amburgo, una persona che stimo a livello artistico. Ginevra era quindi una delle compagnie che avevo selezionato per fare audizioni. Tuttavia ero molto impegnato con la compagnia di Amburgo e non avevo tempo per fare audizioni. Pertanto stavo pensando di esercitare come freelance per un anno anche per poter sostenere le audizioni in tutta calma. Poi è arrivato un messaggio che a Ginevra stavano ancora cercando un ragazzo per offrirgli un contratto. Ho trovato un giorno per andare ad incontrarli e mi hanno preso in compagnia!
Qual è stato il primo impatto con la Compagnia e con la realtà culturale ed artistica svizzera?
Sin da subito, mi sono sentito circondato da un’atmosfera più semplice, più umana, meno pretenziosa, e meno basata sul sentirsi “grandi”.
Qual è l’eccezionalità del “Ballet du Grand Theatre de Geneve” che lo rende un nome pregevole nel panorama internazionale?
L’eccezionalità della compagnia è dovuta al fatto che possiede un repertorio vario. Infatti ci sono sempre “guest” coreografi che vengono a creare a Ginevra, tutti con stili diversi. Come danzatore, ti trovi a fare cose a te molto vicine, ma spesso coreografie che non ti rispecchiano appieno, ma che sono comunque esperienze che ti arricchiscono in quanto ti fanno imparare diversi tipi di approcci, sia a livello coreografico che interpretativo. Inoltre, pur essendo una compagnia di ventidue danzatori con repertorio che varia dal neoclassico al contemporaneo, il balletto del “Grand Theatre du Geneve” tende a fare serate intere e non serate condivise, come invece fanno altre compagnie più contemporanee. Infine, il repertorio creato qui nella città svizzera, a parte rare eccezioni, può essere rappresentato solo dal balletto del “Grand Theatre du Geneve”.
Cosa ti è piaciuto subito nel lavoro del direttore Philippe Cohen?
Il più grande cambiamento è stato che mentre ad Amburgo il mio direttore Neumeier era anche il coreografo della compagnia, a Ginevra Philip Cohen è principalmente un businessman. Mi piace molto, perché è una persona alla mano, è semplice parlarci. Inoltre trovo interessante che per le nuove creazioni Philip tenda ad invitare coreografi emergenti e raramente acquista coreografie famose già esistenti: questo rende il repertorio della compagnia davvero unico!
Due città a te molte care, Amburgo e Ginevra. Se dovessi farne un ritratto a parole come le dipingeresti?
Sono città estremamente eleganti. Amburgo è molto attiva dal punto di vista culturale, mentre Ginevra, soprattutto nel periodo estivo, è assai vivibile grazie al suo lago e ai suoi splendidi e poetici dintorni.
Ti piacerebbe, un domani, ballare in Italia e far parte di qualche compagnia nazionale?
Il desiderio di ballare in Italia c’è sempre perché è un paese bellissimo, pieno di teatri magnifici. Purtroppo, dal punto di vista dell’arte, come in molte altre cose, l’Italia è in decadenza e presta poca attenzione alla danza. Ultimamente ho avuto diverse opportunità di ballare in alcuni Gala in Italia: è sempre un’emozione unica e sono esperienze speciali per le persone che incontro e i teatri dove mi esibisco. Un domani chissà! A me è sempre piaciuta molto la compagnia dell’Aterballetto per il repertorio che porta in scena. Però per ora sono felice così e vedremo come si evolveranno le cose un domani.
Come vivi il momento prima di entrare in scena e quali emozioni ti trasmettono gli applausi finali?
Per entrambi questi due momenti, dipende sicuramente anche da cosa devo danzare, però normalmente prima di entrare in scena cerco di rimanere concentrato e isolarmi nel mio mondo per poi potermi rapportare a quello che devo proiettare in palcoscenico. Il momento degli applausi, soprattutto dopo aver ballato qualcosa che ti regala soddisfazione, è un attimo bellissimo e forte che mi dona gioia ma spesso mi ha anche dato tristezza e malinconia perché in certe occasioni e per certi pezzi voleva dire tornare al mondo “reale”.
Oltre alla danza che è diventata la tua professione quali altre passioni nutri nella tua quotidianità e nei momenti liberi?
Per me la danza va oltre alle ore lavorative con la compagnia. Molto spesso, nel mio tempo libero mi ritrovo nelle sale di prova per lavorare a progetti diversi per spettacoli o gala non legati alla mia compagnia. Ed è quello che mi rende più felice. Trovare sempre il modo di fare dell’arte, soprattutto con i colleghi con cui ho un rapporto migliore. Quando ho tempo libero, adoro viaggiare, visitare luoghi diversi ed entrare in contatto con culture differenti. E ovviamente divertirmi con i miei amici e stare con le persone a cui voglio bene.
Qual è l’autentica emozione che ti dona costantemente l’arte della danza in ogni sua disciplina?
Di sicuro l’emozione autentica che la mia determinazione e passione per l’arte della danza mi dona è la felicità di poter trasmettere qualcosa ad altri. Il riuscire a portare attraverso il tuo corpo un pensiero, un messaggio o un’emozione a chi ti guarda. Ma a farlo per davvero! Spesso a teatro va gente che come interesse ha quello di apparire “cool” nella società. Ma quando trovi quelle persone che rimangono realmente colpite e toccate da quello che hai condiviso come artista con loro, in quel momento mi sento realmente appagato!
In conclusione, Sasha, cosa ti fa sentire “libero”, quando danzi?
Danzare mi fa sentire vivo. La danza è quel posto dove finalmente trovo ONESTÀ al 100%. La danza è pura. Mi fa riflettere e ricercare… e mi fa ascoltare tutte le emozioni che provo senza dovermi nascondere o proteggere da niente. Di sicuro così divento ancor più vulnerabile ma allo stesso tempo forte e deciso perché mettendo la mia anima a nudo mostro un atto di coraggio. Nella mia vita spesso mi ritrovo in situazioni che non sono da me, alle volte mi comporto in modi che non mi appartengono o proietto un’immagine che magari è una mia sfumatura ma che non corrisponde a ciò che sono nel profondo… E quando danzo finalmente scopro l’essenza più vera del mio essere e trovo speranza in ciò che mi circonda. Ovviamente questo avviene, principalmente, quando ho l’occasione di ballare ed interpretare un qualcosa di importante in cui posso metterci del mio, o anche solamente quando rimango da solo in uno studio o insieme a qualche collega con un’atmosfera intima dove creare “arte”. Quindi di sicuro è l’ONESTÀ che la danza mi da che mi fa sentire LIBERO!
Michele Olivieri
www.giornaledelladanza.com
Foto di Bowie Verschuuren