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Intervista con Gabriella Furlan Malvezzi: la danza è tutto, la devi amare e amarla tanto

Una carriera coreutica, una passione, una positività e un’energia eccezionali quelle di Gabriella Furlan Malvezzi.

Insegnante e coreografa diplomata alla RAD di Londra sotto la direzione di Margot Fonteyn, la Signora Furlan è stata insignita di numerosi premi e riconoscimenti per meriti artistici e culturali. É stata inoltre nominata membro della Commissione Consultiva per la Danza presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e commissaria esterna per il settore Danza e Teatro dal Comune di Cagliari.

Dal 2019 è direttrice artistica del Festival Internazionale ‘La Sfera Danza’ di Padova e del Corso di Perfezionamento Professionale ‘Padova Danza Project’, progetto riconosciuto dal Ministero della Cultura, che ospita docenti di altissimo profilo professionale.

Signora Furlan, cos’è la danza per lei?

La danza è vita. Al di là dell’aspetto tecnico, la danza è fondamentale per il benessere psico-fisico sia degli artisti che degli spettatori. É un’arte con un linguaggio universale che arricchisce l’animo e permette di affrontare temi importanti, da quelli più positivi ai più negativi. Aiuta e stimola il confronto e la condivisione con la collettività. Credo che chi si avvicina alla danza abbia una marcia in più nel DNA, il sacro fuoco che si autoalimenta ed è inesauribile. In sostanza, la danza è tutto.

Quando e come è nata l’idea del ‘Festival La Sfera danza’?

Da sempre volevo che su Padova nascessero situazioni artistiche che non esistevano e mi sono adoperata su più fronti. Ho avuto modo di conoscere lo straordinario staff dell’associazione ‘La Sfera danza’ che organizzava piccoli eventi di musica e danza. Dal nostro incontro il progetto è cresciuto, da eventi sporadici siamo passati a un cartellone di due mesi di appuntamenti, spettacoli, workshop e tante prime nazionali e regionali. Abbiamo fatto scelte diversificate e abbiamo creato un percorso artistico differenziato. Era giusto e importante riportare in patria i talenti italiani a beneficio di tutti coloro che praticano e apprezzano la danza nel territorio, a un costo di biglietto che permette a tutti di godere degli spettacoli.

Nel Festival ha coinvolto anche gli allievi della sua prestigiosa scuola, Padova Danza. Come hanno reagito i ragazzi?

Le ‘incursioni contemporanee’ in città sono la novità di quest’anno che ha coinvolto ‘La casa della musica’, scuola di musica di Padova e fucina di talenti. É stato un esperimento, un’occupazione pacifica e decorosa, un percorso itinerante per ravvivare aree del centro città e delle periferie in spazi e in orari in cui solitamente c’è il deserto. Alcuni degli allievi che hanno partecipato erano molto curiosi, alcuni invece diffidenti perché non avevano idea di come la cosa avrebbe preso piede. Alla fine erano tutti felicissimi dopo la fatica, l’impegno e l’investimento, e hanno portato a casa un tesoro di esperienza, soddisfazione ed emozione.

Qual è stato il momento più difficile nell’organizzazione di un Festival di questa portata?

Le difficoltà ci sono e ci sono sempre, bisogna mantenere uno spirito propositivo. Tutto è diventato complicato dal punto di vista burocratico. Dalle istituzioni sappiamo all’ultimo minuto la quantità del contributo di cui possiamo beneficiare. Esistono spese fisse, alberghi per gli artisti, il pagamento del loro compenso, ma alla fine è andato tutto molto bene e abbiamo proceduto senza grossi intoppi.

Qual è stato il momento più emozionante e soddisfacente del Festival per lei?

Ci sono molti momenti belli, sia sul palco che fuori. Il rapporto con gli artisti che hanno espresso con parole commoventi la loro gratitudine, ma anche il feedback del pubblico. Ci tengo a citare la Signora Nadia che non si occupa di danza e che al termine del Festival mi ha domandato: ‘Ma adesso come facciamo che il festival è finito’? É stato un momento toccante per me, il più gratificante, siamo arrivati a conquistare il cuore di tutti.

Qual è stata la risposta del pubblico in generale?

Ottima, i teatri erano pieni, nonostante una certa disabitudine a uscire causata dai due anni di pandemia in cui ci siamo incupiti e intristiti. Abbiamo trovato un pubblico entusiasta e variegato che spazia dai bimbi agli -‘anta’ e appartiene a tutti i ceti sociali, persone del settore non, persone che quando vengono poi tornano.

 Esatto, dopo due anni di pandemia ha notato cambiamenti nelle produzioni artistiche e nella performance dei danzatori?

Da parte degli artisti c’è stata una reazione un po’ cupa. Guardavo i loro video ‘promo’ e notavo che, nonostante l’altissimo livello tecnico e artistico, la maggior parte ha proposto spettacoli molto concettualizzati, non c’era gioia. Questo periodo di chiusura ha creato danni emotivi, le produzioni artistiche ne sono il riflesso.

 Cosa cambierebbe, se cambierebbe qualcosa?

Tutto è migliorabile, sulla base di commenti e anche critiche, perché no. Ogni anno ci si migliora grazie alle esperienze precedenti, ma non cambierei la formula che funziona. Il fatto di dare risalto all’identità italiana mi piace tantissimo e conduce a un discorso più ampio, l’inclusione e la valorizzazione della diversità. Abbiamo ospitato danzatori di tutte le nazionalità e per la prossima edizione, la ventesima, siamo pronti a spaccare!

Di che cosa ha bisogno la danza in Italia, secondo lei?

Di persone che la amino davvero, oltre le parole, di persone che dimostrino questo amore nei fatti. Serve anche fare in modo che si dia rilevanza a un approccio professionale, con tutto il rispetto per il settore amatoriale. Ci vuole più attenzione alla cultura della danza che altrimenti diventa un business arido. Per sostenere il settore c’è bisogno anche di maggiore sviluppo delle occasioni lavorative per gli artisti. Molti amano davvero questo mondo, ma ci devono rinunciare perché non ci sono garanzie che permettano di vivere di danza in maniera decorosa. Chissà che i politici si affidino a persone del settore e che la danza entri nelle scuole, perché praticarla raffina l’animo, educa alla disciplina, al rispetto e alla generosità. Così potremo creare una società migliore.

Cosa vuole trasmettere alle nuove generazioni di danzatori tramite il suo lavoro e il Festival?

Far vedere che si può vivere di danza, si può praticare quest’arte che dà soddisfazione dal punto di vista morale, ma anche pratico, perché l’artista non può vivere d’aria o di belle emozioni. Bisogna stimolare i nuovi danzatori alla curiosità, a provare, sperimentare, mettersi alla prova, senza eccessi. Cerco di mettere in pratica quello su cui credo fermamente, per questo ho creato un corso di perfezionamento che permette di studiare con una borsa di studio dopo aver superato l’audizione, applicando il criterio della meritocrazia: se hai talento e passione, meriti aiuto e sostegno, anche economico. Carla Fracci, la Divina, non sarebbe esistita se La Scala fosse stata a pagamento a quei tempi. La sua famiglia era semplice e lei avrebbe perso la possibilità di diventare un punto di riferimento per la danza e per la cultura italiana. La danza non deve rimanere un’arte praticata solo da chi ha disponibilità economica. La danza è una boccata d’ossigeno, devi amarla e devi amarla tanto.

Stefania Napoli
© www.giornaledelladanza.com

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