Laura Fusco, poetessa e regista è ideatrice e interprete di spettacoli improntati al connubio tra Poesia e Danza, tra cui “Fiori di Garza”, messo in scena nel marzo 2019 con la danzatrice e coreografa Cristiana Casadio alla Lavanderia a Vapore di Torino e numerose altre opere e produzioni, tra cui uno studio realizzato nel 2018 nella splendida cornice della Villa della Regina di Torino, in collaborazione con il MIBAC – Ministero Beni Artistici Culturali Polo Museale del Piemonte, altri lavori con altre danzatrici e i primi esperimenti collaudati con successo nella coproduzione italo-franco-tedesca Le madri; in Germania il progetto Wo zuerst su suoi testi e atelier internazionali. Autrice di numerosi testi di tiratura internazionale, vanta numerose collaborazioni artistiche a livello mondiale. In questa intervista si racconta in esclusiva al Giornale della Danza.
Di recente Lei è stata protagonista, insieme alla danzatrice e coreografa danzatrice Cristiana Casadio dello spettacolo “Fiori di Garza” che ha debuttato alla lavanderia a vapore il 23 marzo 2019, qual è la genesi di quest’opera?
Ero a Parigi. Avevo appena finito di scrivere Limbo, una raccolta che mi ha preso l’anima, di vita, ma anche drammatica per il tema e gli incontri con alcune delle protagoniste, vittime di guerre e violenze. Avevo bisogno per me stessa e come artista di staccare, pensare alla bellezza, a qualcosa che rovesciasse tutta quella morte e quel dolore, la mancanza di diritti. È nato Fiori di garza, storie di donne che lottano e sfidano i pregiudizi delle loro epoche per rivendicare la libertà di essere sé stesse e per permettere al mondo che vogliono di esistere. Non sarà facile per loro, come per tutti, ma sono vincenti, alcune perderanno la vita vittime dell’Inquisizione o di violenza, ma di loro resta vivo l’esempio, il mondo che hanno creato…
Si tratta di un lavoro sicuramente unico nel panorama delle creazioni coreutiche, poiché è stato ideato da una poetessa. Cosa lo caratterizza nello specifico?
Intanto come è nato. Dalla testa di una poetessa innamorata della Danza. Da un lungo monologo, un copione, un’idea inedita proporlo a una stagione di Danza… che unisse la mia scrittura che poi quando scrivo un monologo… data la mia natura di poetessa… è poesia… e la Danza: unirle in un unico respiro e interpretarla io in scena come estensione naturale dell’atto creativo dello scrivere. È una visione e versione nuova di questi linguaggi. Non c’è regia esterna e non ci sono attori. In scena ci sono una poetessa e una danzatrice e basta, nessun media, una sfida grande, pochi oggetti scenici di carta, creati dalla danzatrice sotto gli occhi degli spettatori in un fare e disfare quasi magico, una trasformazione continua. Non è solo un lavoro inedito ma una frontiera nuova e una dedica appassionata.
Qual è il messaggio che vuole trasmettere?
I messaggi sono due. Il primo è legato a testi e contenuti, alle donne cui ho “dato voce”. Sono fragili e piene di ombre e hanno il fuoco e la luce della passione. Il messaggio delle loro vite è che la passione realizza, dà gioia, permette di vivere una vita che vale la pena di essere vissuta, sempre, in qualunque condizione. Loro lo hanno fatto e lo possiamo noi. Poi c’è un altro messaggio, altrettanto importante, legato al linguaggio che uso per dire questo. Ed è che in un tempo di overdose di stimoli è vitale, importante, possibile, tornare all’essenza, a un linguaggio arcaico e ancestrale, in cui è richiesto e offerto al pubblico di entrare nello spettacolo con la sua fantasia, aprire quella porta segreta che permette di essere più che spettatori, di partecipare a qualcosa che coinvolge, cambia, rende più sensibili, liberi.
Lei è stata definita “erede dei bardi”, dunque potremmo affermare che per lei la poesia è vocazione, quando ha sentito in questo cammino la spinta emotiva ad avvicinarsi alla danza?
Nella poetica dei bardi e nel loro rapporto con il mondo e la Poesia c’è gran parte delle mie radici. Mi accomunano tante cose, anche la “vocazione” e l’ispirazione. Mi sono sempre sentita “cercata dalla Poesia”, io rispondo con una dedizione assoluta, un essere disponibile e diventarne voce. Anche nei miei ateliers o quando insegno all’Università o in Conservatorio dico sempre che tutto questo c’è ma c’è anche tanto lavoro di… “bottega”. Per quanto riguarda la Danza: avevo 3 o 4 anni… il primo spettacolo cui i miei genitori mi avevano portato… un colpo di fulmine. Qualche anno fa ho solo dato voce nel mio lavoro a questa folgorazione. È stato dopo il secondo libro, mi stavano traducendo a New York e in altre lingue, allora avevo sempre scelto interpretassero i miei testi delle attrici… ho sentito che era arrivato il momento di farlo io e da lì, con la poesia orale, è arrivato il desiderio e la consapevolezza che ero pronta a un nuovo salto. Poesia orale come radici, come bardo e bardo come qualcosa di anche ancestrale, una comunicazione potente e allora ho pensato… alla Danza, altrettanto antica, demiurgica.
In che modo ha sviluppato la sua personale dialettica artistica tra danza e poesia nel suo lavoro in genere?
Intanto c’è bisogno di inventare un alfabeto. Ogni volta che ci si trova di fronte a qualcosa di inedito. Sono stata aiutata dalle mie esperienze di regista, dal lavoro con attori, danzatori, musicisti. Si è partiti dal copione e da parole, idee registiche e interpretative e immagini chiave che ho dato, e tutto questo viene tradotto in possibilità teatrali, qui coreografiche, attraverso improvvisazioni che poi seleziono e monto. A volte gli attori o danzatori mi propongono parti di scene che trovo subito convincenti e adotto in blocco, a volte devo/si deve cercare in un progress di scarti, nuovi input e sviluppi, un gesto, una coreografia prende tutt’altra strada dalla prima proposizione della coreografa. Anche stavolta con Cristiana Casadio è successo tutto questo e è stato importante. Per Fiori di garza, proprio per la sua novità e per il suo essere un “work in progress” che cresce cambia, a differenza che per altri lavori, è stato anche più centrale di sempre imparare a sentirsi e a restare in un flusso di rimandi, a ri/orientarsi continuamente. L’unico punto fermo erano queste storie forti di donne.
Nella Sua visione le parole sono corpo danzante e la danza diventa Verbo?
È un’immagine bella e che in un certo senso rende perfettamente lo spirito e il risultato del mio lavoro con la Danza, e con il Teatro. In realtà ogni linguaggio resta sé stesso e, anzi, facendoli incontrare viene esaltato nella sua specificità. E al tempo stesso l’incontro crea qualcosa di completamente nuovo. La Parola ‒ in particolare quella poetica ‒ come significato e suono, emoziona, mette in gioco il corpo, evoca e tira fuori l’anima e il gesto. La Danza, ispirata dalla Parola, restituisce energia, la fa vibrare. Non ho voluto musica, ce ne sono quattro minuti scarsi in un’ora, c’è invece un’ora di testo, 8 quadri – in teatro si dice scene – la mia voce interpreta e racconta ma è anche vissuta dallo spettatore e da noi stesse sul palco come suono, sostituisce la musica, con interventi e rielaborazioni in tempo reale del mio timbro e del mio respiro.
Potremmo definirlo più uno scambio, un’interazione o una simbiosi? Forse finanche una sovrapposizione?
C’è un copione, un’idea da cui si parte e a cui si torna sempre, che ispira, dà unità, struttura, è lo scheletro e l’anima e sopra, intorno, dentro direi, tanta interazione simbiotica, soprattutto.
“Fiori di Garza” non è il primo spettacolo fritto del binomio Poesia e Danza, quali sono state le produzioni precedenti improntate a questo connubio?
La prima volta che ho usato la Danza con la Poesia sia la Danza che la Poesia avevano uno spazio piccolo all’interno di una grande produzione franco-italo-tedesca con 15 persone in scena, 3 spazi usati in successione, tante arti: teatro, una scultrice che creava in scena una scultura, una parte dedicata a una margherita che danzava su un testo che avevo ricreato ispirandomi alla Margherita di Goethe. In realtà tutto lo spettacolo era Ispirato alle Madri del Faust, queste figure affascinanti e misteriose, una sorta di Matrix. Lo spazio dedicato alla Poesia e alla Danza era centrale ma angusto, non ci stavo. Così la volta dopo la Danza e la Poesia sono diventate gli unici linguaggi, con uno spazio e ruolo vicini a quelli che hanno in Fiori di garza, ma c’era ancora la musica e poi c’è stato il salto di livello. Ho proposto Fiori di garza e il mio progetto a Cristiana Casadio per uno studio a Villa della Regina nel 2018. Il suo apporto è stato arricchente per l’interpretazione eccellente e abbiamo trovato sintonia, lei si è calata nei testi e nello spirito del progetto, nelle atmosfere, nell’anima delle tante donne con sensibilità ed intensità.
La danza non è l’unica arte che rientra nel suo raggio di interesse, Lei porta avanti anche molte iniziative ispirate dall’incontro tra Poesia e Musica, possiamo parlare dunque di “Arte Totale”?
Il progetto/format Poesia e Musica in poco tempo è cresciuto molto e ne sono felice, ne sono derivati tanto eventi: collaborazioni con conservatori e festival internazionali, una raccolta di testi ispirati al jazz con la prefazione di Paolo Conte, un invito al Torino Jazz Festival, la firma della prima masterclass in Italia su Poesia e Musica per Conservatori. E c’è anche già Poesia e Arte, collaborazioni con Musei e Gallerie d’arte, un’opera interattiva per il Salone Internazionale del Libro, un’intera raccolta ispirata alla pittura, La pesatrice di perle. Ritrovo le mie radici nei bardi e negli aedi, i poeti come Omero che portavano la loro Poesia a grandi pubblici. Mi affascina l’interattività e l’applicazione delle nuove tecnologie all’Arte ma, ancora prima, mi affascina riandare agli albori, alle origini, quando la Parola e tutte le Arti convivevano. Mi ritrovo anche vicina alla visione del mondo del Rinascimento. A tutte le culture ed epoche che hanno cercato – preservando le differenze ‒ di creare ponti tra i linguaggi e le forme della bellezza e dello spirito, a dare ali alla creatività e alla fantasia senza circoscrivere, definire escludendo, chiudere, che hanno permesso agli artisti la libertà di non dovere appartenere e limitare la propria curiosità, sete di sapere e sperimentare, bisogno di esprimere e creare. Arte Totale? Concettualmente e concretamente sì, direi, esatto, anche se è un’espressione di Trahndorff e ormai legata a Wagner, io preferisco riandare direttamente alle radici, la Grecia, i bardi, il Rinascimento. Allora era “solo” Arte, che fosse “totale” era premessa naturale, visione del mondo e dell’esprimersi.
Qual è l’obiettivo artistico che si prefigge e più in generale, qual è a Suo avviso la “missione” dell’Arte nel mondo contemporaneo?
Come per le donne di “Fiori di garza” l’artista ha un potere grandissimo, può permettere al mondo che desidera e in cui crede di esistere. L’Arte e la Parola creano realtà. Lo dicono le cosmogonie e culture del mondo, ma non è qualcosa di astratto, relegato a epoche del passato o a delle ristrette élites, pervade la vita di tutti noi in modo concreto. Io collaboro spesso con Amnesty. Libera e di fronte a tanta sofferenza e ingiustizia sembra che l’Arte, la Bellezza possano tutt’al più consolare, distrarre, un poco lenire, ma non è così. Molto male resta ma ogni atto di bellezza ci ricorda chi siamo davvero e quale può essere la sfida e il senso della nostra vita: credere nel potere dell’immaginazione e condividere il mondo che vogliamo, più giusto, pieno di gioia, bellezza.
Progetti futuri?
Dopo due mesi dall’uscita in Francia Limbo è stato tradotto in UK dove sarà pubblicato e sarà distribuito in Australia e in USA, poi un nuovo libro, tanti festival internazionali di letteratura e musica e atelier internazionali di Poesia e Danza per giovani coreografi e danzatori. Un’esperienza unica. È proprio attraverso gli atelier che ho incontrato spesso nuovi collaboratori. Spero inoltre per Fiori di garza repliche o invece nuovi capitoli, da “work in progress” qual è. Nel copione c’è ancora tanto e anche nella mia testa. Chissà…?
Lorena Coppola
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Photo Credits: Enrico Carpegna