
La danza classica è un linguaggio che non si accontenta della terra. Vive nell’aria, nella sospensione, nel momento in cui il corpo dimentica il peso e ricorda al mondo che la grazia può essere una forma di ribellione alla gravità.
È un’arte che non guarda avanti né indietro, ma in alto, come se ogni gesto fosse un atto di fede nella leggerezza.
In ogni passo di danza classica c’è un respiro che si allunga, un pensiero che si innalza. Le punte non servono soltanto a sostenere il corpo, ma a tradurre in carne e ossa un desiderio di ascesa.
Le gambe si tendono come colonne di luce, le braccia disegnano archi che aprono spazi invisibili tra l’umano e il cielo.
Il danzatore classico non fugge la terra: la usa come trampolino, come memoria. Ma la sua vera casa è quel secondo di sospensione, quando il corpo non appartiene più né al suolo né all’aria, e tutto sembra possibile.
Nella danza classica, l’altezza non è misura ma metafora. È purezza, spiritualità, aspirazione. Il volto rivolto verso l’alto non cerca solo il punto più alto della scena, ma un punto più alto dell’essere.
La schiena si apre, il collo si allunga, e nello spazio tra un movimento e l’altro si avverte la nostalgia del cielo. È un corpo che non vuole dominare, ma elevare; che non impone forza, ma trasforma lo sforzo in bellezza.
Dietro quella perfezione che scivola leggera sul palcoscenico si nasconde una lotta silenziosa. Ore di esercizi, muscoli che tremano, dolore che diventa disciplina. Eppure è proprio lì, nella ripetizione infinita, che si costruisce il miracolo dell’ascesa.
La danza classica insegna che volare non è negare il peso, ma imparare a portarlo. Che l’elevazione non è un istinto, ma una conquista quotidiana.
Quando le luci si accendono e l’orchestra respira, tutto si concentra in quell’attimo sospeso: il salto che non cade, la linea che non si interrompe, il tempo che si ferma. È il momento in cui la danza classica diventa preghiera, sogno, promessa.
Perché in fondo, ogni ballerino classico non fa che ricordarci questo: che l’essere umano è fatto per sollevarsi.
Michele Olivieri
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