Carolina, 14 anni, si getta dalla finestra di casa. Andrea, 14 anni, si impicca con una sciarpa. Amanda, 15 anni, si suicida bevendo un bicchiere di candeggina. Antonella, 10 anni, muore per auto strangolamento.
Quelli citati sono solo alcuni dei terribili casi che vedono i giovanissimi protagonisti di suicidio, un atto estremo di violenza contro se stessi.
La maggior parte delle motivazioni che spingono gli adolescenti all’autolesionismo e al suicidio sono solo indirettamente legate a problemi di bullismo o a stupide sfide sui social. La reale causa risiede nella profonda insicurezza che spinge i ragazzi a sentirsi soli, in balia degli altri, vittime di una società fredda e individualista, fino ad ammalarsi di depressione.
In questo quadro sconvolgente si può inserire la danza come arma potente per sconfiggere solitudine, disorientamento e depressione.
In precedenti articoli, abbiamo più volte sottolineato quanto la danza aiuti a creare e ritrovare stima e fiducia in se stessi, nelle proprie capacità, quanto stimoli a non arrendersi alle difficoltà e a distinguere la critica utile alla crescita del ballerino e della persona da quella fine a se stessa, infruttuosa e sterile. E questa è scienza.
Nel 2016, la fisioterapista e ricercatrice in psichiatria infantile e adolescenziale svedese, Anna Duberg, ha condotto un esperimento intitolato ‘The Dance Project’, volto a valutare l’incidenza della danza nel miglioramento della salute psico-fisica di adolescenti con problemi di interiorizzazione dello stress.
Le partecipanti alla ricerca erano centododici ragazze di età compresa tra 13 e 18 anni, tutte con sintomi legati allo stress e al disagio emotivo, che si traducevano in disturbi psicosomatici quali emicrania e lombalgie di varia natura. Metà del gruppo di indagine è stato invitato a frequentare un corso di danza due volte a settimana per otto mesi.
Al termine dell’esperimento, lo stato di salute delle ‘ballerine’ è stato confrontato con quello delle ragazze che non avevano frequentato il corso di danza. Le prime avevano sviluppato una visione più positiva della propria vita, presentavano una maggiore e migliore percezione corporea e un’attenuazione significativa dei problemi fisici.
Il case study ha dunque dimostrato che la danza può essere un farmaco naturale con benefici in ogni ambito, fisico, mentale, sociale, educativo ed emotivo, e senza controindicazioni. L’esplorazione di nuovi movimenti, infatti, può evocare nuove percezioni e sensazioni, stimolare lo sviluppo di una gamma più ampia di possibilità di azione in una determinata situazione, aumentando la capacità di problem solving e di conseguenza la forza e l’autostima.
Alcuni modelli di movimento nuovi o vecchi possono evocare emozioni represse che emergono e stimolano una maggiore consapevolezza di se stessi, del proprio ambiente e della propria storia.
Ovviamente è necessaria una partecipazione continua e costante per ottenere risultati a lungo termine, perché mettersi alla prova, mantenere gli impegni presi, sviluppare il rispetto per gli altri e per se stessi, rappresenta un giovamento a tutto tondo, inarrestabile e irreversibile.
Jean-Louis Barrault, attore, regista e mimo francese, dichiarava che: ‘Danzare è lottare contro tutto ciò che ci trattiene, tutto ciò che ci affonda, tutto ciò che pesa e appesantisce, è scoprire con il proprio corpo l’essenza, l’anima della vita, è entrare in contatto fisico con la libertà.’
Oggi più che mai, con una pandemia in corso e la conseguente drastica riduzione di reali e sani rapporti sociali, il potere curativo della danza rivendica con forza la sua importanza. Il ruolo delle scuole di danza, dei maestri e dei genitori che accompagnano i loro figli nel percorso di crescita e di rafforzamento di sé, è quindi indispensabile, molto più di quello che comunemente si pensa.
Tornare in sala di danza per i ragazzi (ma anche per gli adulti) è un’esigenza psicofisica che non può più essere ignorata.
Stefania Napoli
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