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Paolo Bonciani: “Se vi sono scorciatoie per la felicità, la danza è una di queste!” [ESCLUSIVA]

Paolo Bonciani

Paolo Bonciani livornese, fotografa dal 1970. In questi anni è riuscito a cogliere attraverso il suo obiettivo fotografico situazioni ed immagini che vanno dal reportage sociale allo sportivo, dalla foto di paesaggio al glamour, fino a giungere alla fotografia di danza, di cui si è rivelato uno degli interpreti più sensibili e attenti in campo nazionale ed internazionale. Ha esposto in Italia ed all’estero, ha sue foto in vari musei del mondo. Numerosi i riconoscimenti che gli sono stati conferiti a livello nazionale ed internazionale, tra cui la Medaglia d’Oro del Presidente della Repubblica. In questa intervista si racconta in esclusiva al Giornale della Danza.

Come e quando ha iniziato a sviluppare il Suo interesse verso la fotografia?

L’artefice principale del mio interesse per la fotografia è stato mio padre. Nel passato fu un grande atleta, faceva parte del mitico equipaggio di canottaggio denominato “Scarronzoni”, formato da otto leggendari canottieri livornesi campioni del remo. Ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, detiene il record, in campo mondiale, di maggiori successi conquistati durante la propria attività: due argenti olimpici, nel 1932 a Los Angeles e nel 1936 a Berlino, cinque titoli europei, quattordici titoli italiani e innumerevoli vittorie in campo internazionale, interrotte dalla Seconda Guerra Mondiale che, purtroppo, pose fine a tutto. Alla fine dell’attività agonistica, mio padre raggruppò i suoi scatti fotografici e quelli raccolti sui campi di gara in un bellissimo album fotografico intitolato “I miei ricordi”, con il quale fu possibile ritracciare la storia di quest’armo tutto livornese, dato che la guerra aveva distrutto ogni cosa, quasi a voler cancellare le imprese di quel mitico equipaggio. Questo album ha sempre rappresentato per me qualcosa di molto importante, quasi un oggetto di culto, che mi ha influenzato positivamente nel mio approccio con la fotografia.

Qual è stato il Suo percorso per diventare fotografo professionista?

Essenzialmente da autodidatta, ho sempre avuto come principio l’idea che l’improvvisazione nella vita non rappresenta un’arma vincente, men che mai nella fotografia. Ho iniziato per passione, che conservo tuttora, ma, sin dai primi passi, con idee ben precise sulla necessità di conoscere molto bene la parte tecnica, il tutto accompagnato dalla mia gran voglia di conoscenza della realtà di tutti i giorni, appresa attraverso il contatto con le persone che ogni volta mi si ponevano di fronte all’obiettivo. Nella vita ho sempre avuto una gran voglia di ampliare il mio bagaglio culturale e la fotografia mi ha consentito di confrontarmi di volta in volta con mondi diversi ma sempre affascinanti per uno come me che, sin dall’inizio, ha posto il suo obiettivo a disposizione della tipologia umana e della conoscenza del prossimo.

Quando si è avvicinato alla fotografia artistica e, più specificamente, di danza?

Come ho accennato in precedenza, ho iniziato a fotografare per pura passione e per qualche tempo mi sono cimentato anche in concorsi fotografici, soprattutto internazionali, riuscendo a vincerne molti, tanto è vero che questa mia attività mi ha offerto l’opportunità di ricevere riconoscimenti importanti, tra cui la Medaglia d’Oro del Presidente della Repubblica Italiana. Per la danza, in particolare, fu l’affermazione in un concorso mondiale moscovita ad aprirmi le porte del Teatro Bolshoi. Arrivai, negli anni Settanta, primo assoluto su circa duemila autori di 46 paesi partecipanti. Il premio era costituito dall’invito in Unione Sovietica per quindici giorni, di cui cinque da trascorrere a Mosca e gli altri dieci in una Repubblica a mia scelta nel panorama delle varie esistenti all’epoca. In più, avevo l’opportunità di scattare foto durante il mio soggiorno che poi sarebbero state esposte in qualche museo della Capitale. Durante una cena ufficiale, alla presenza del sindaco e del grande fotografo russo Dmitri Baltermants, mi fu anche chiesto che cosa desiderassi di più ritrarre attraverso il mio obiettivo durante il mio soggiorno. Naturalmente, la mia risposta fu la danza e il Bolshoi, così il giorno successivo mi ritrovai, con immenso piacere, nel teatro considerato il regno della danza, dove, tra l’altro, ebbi modo e piacere di scattare qualche foto nei camerini alle star del momento. Al mio ritorno in Italia spedii le mie foto agli organizzatori, i quali mi comunicarono di aver esposto una selezione dei miei scatti presso un importante museo della città. Questo mio fortunato approccio mi portò poi a proseguire in questo settore, consentendomi, in tempi abbastanza rapidi, di immortalare prima giovani promesse e in seguito tanti grandi nomi del panorama coreutico mondiale.

Fotografare la danza significa saper cogliere l’attimo fuggente, immortalare qualcosa di etereo, vibrare insieme ai danzatori, quali sono le Sue sensazioni quando cattura in uno scatto la leggiadria della danza?

Confesso che i miei primi scatti in questo settore non sono stati facili, nonostante l’amore per la danza. Non conoscevo ancora bene molti dei suoi meccanismi, fotografavo sulle ali dell’entusiasmo, senza porre attenzione a quei dettagli che fanno della danza anche una disciplina ferrea sempre alla ricerca della perfezione. E fu proprio una grandissima interprete della danza a consigliarmi di studiare ancor meglio ogni dettaglio, finezza, smussatura, facendomi comprendere che ogni scatto avrebbe dovuto rappresentare un momento unico, infallibile, di ogni esibizione. Un suggerimento che presi molto a cuore e che mi ha consentito, una volta sviluppato nei suoi dettagli, di poter conoscere un numero sempre maggiore di artisti, conquistati, a volte, anche attraverso sfide del tipo: Caro Bonciani, nessuno finora è riuscito a riprendere come si deve la mia prestazione, se tu sarai in grado di farlo (lo sguardo era parecchio dubbioso sull’eventuale risultato positivo), oltre a  guadagnare la mia stima e fiducia, naturalmente ti consentirò di riprendere tutti i miei spettacoli. Ricordo che negli anni ‘80/‘90 la fotografia di scena non era esente da problemi di natura tecnica, non esistevano obiettivi autofocus e la bassa sensibilità delle pellicole in commercio spesso non consentiva buoni risultati con la foto di movimento. Con il colore, ad esempio, quando la scena era scarsamente illuminata era difficilissimo riprendere gli artisti impegnati in un grand jeté o in un movimento veloce. Inutile dire che accettavo di buon grado queste sfide, consapevole della mia acquisita professionalità, le vincevo sempre e comunque sapevo trattare il BN in modo impeccabile, “tirando” le pellicole in modo tale da darmi sempre risposte positive, mentre per la danza ormai non avevo più problemi nel centrare il momento giusto. Rotto il ghiaccio positivamente su questi fattori, decisi di voler fra le mie  mani qualcosa di più di un’immagine ben riuscita, perciò, dopo ogni spettacolo, ero solito incollare le fotografie delle performance a cui avevo assistito su un cartoncino nero un poco più grande della foto stessa e chiedevo ad ogni artista di scrivere sui bordi dello stesso non  una frase  che attestasse simpatia nei miei confronti, bensì cosa rappresentasse la danza dal suo punto di vista. Questa mia iniziativa col tempo mi ha riempito di soddisfazione, perché di testimonianze di questo genere ne ho raccolte tantissime (decine e decine) e le dichiarazioni, quasi sempre dai contenuti molto sentiti ed intensi, sono arrivate in grande quantità. Oggi posso dire davvero di aver raccolto, nei miei “graffiti” (così ho definito la mia raccolta), oltre all’immagine, lo spirito che anima ogni artista attraverso motti, disegni, pensieri in ogni lingua, consentendomi di allestire esposizioni molto interessanti anche sotto il profilo umano.

Ha fotografato gli artisti più famosi della scena mondiale, qual è il Suo ricordo più vivo?

Non posso parlare di un solo ricordo, perché tanti sono stati gli episodi importanti che hanno contraddistinto oltre quarant’anni di fotografia di danza. I ricordi più belli sono legati ai personaggi che ho potuto frequentare maggiormente e che quindi ho potuto conoscere più da vicino. Lavorare per oltre dieci anni con Micha van Hoecke a Castiglioncello è stata un’esperienza fantastica. Con il suo “Ensemble” ho potuto capire che cosa significasse danzare, il sudore, la fatica, il dolore, la gioia, ma, soprattutto, l’amicizia sincera con tutto il gruppo, così come altri grandi personaggi che si sono alternati su quel palcoscenico con cui ho potuto condividere momenti bellissimi. Come non ricordare artisti quali Luciana Savignano, Carla Fracci, Daniel Ezralow, Marzia Falcon, Alessandra Ferri, Lindsay Kemp, un “grande” fantastico, che ho poi ritrovato successivamente a Livorno, diventata la sua città di adozione, così come altri personaggi che ho potuto ammirare e amare, grazie a tutto ciò che mi hanno insegnato, come il Prof. Alberto Testa e la giornalista Vittoria Ottolenghi. Ho citato alcuni nomi e spero mi perdonino tutti gli altri, ma in realtà, visto che amo la danza, potrei tranquillamente sostenere che anche i giovani alle loro prime esperienze mi hanno sempre suscitato tante emozioni. Vivere a contatto con loro vuol dire ogni volta riconoscere nella danza qualcosa che ti fa apprezzare le cose belle della vita.

Qual è lo scatto che vorrebbe ancora catturare?

Adesso che non sono più giovane e ho molti acciacchi non dovrei più dire lo scatto che farò nel prossimo futuro. In realtà non ho mai cambiato parere. Ogni volta che mi pongo di fronte ad un palcoscenico mi sento pronto per una sfida che si rinnova sempre. Voglio, con estrema determinazione, cogliere lo spirito, l’animo e l’essenza di coloro che si esibiscono in scena, perché questo è quanto un danzatore si attende da un buon fotografo, da colui che, in fondo, ama la danza allo stesso modo del soggetto che sta ritraendo, visto che entrambi desiderano sublimare nel miglior modo il loro messaggio.

Il momento più significativo della Sua carriera?

L’assegnazione del Premio Léonide Massine per l’Arte della danza a Positano, un momento bellissimo che ho maggiormente apprezzato avendo al mio fianco mia moglie e mia figlia, un’emozione intensa sotto gli occhi di migliaia di spettatori in uno scenario favoloso.

Predilige la fotografia in bianco e nero o a colori?

Per tutto il secolo scorso il bianco e nero è stato il mio cavallo di battaglia. Mostre importanti come la Photokina di Colonia, Roma e Milano (per la maggiore rassegna fotografica italiana del tempo) hanno visto mie fotografie riproposte in grandi dimensioni accanto ad altri grandi fotografi come Elliot e Secchiaroli. Mostre curate dalla NIKON, che, nel 2017, in occasione dei festeggiamenti per il suo centenario, mi ha inserito fra i cento fotografi italiani degni di esser rappresentati in un libro cult a tiratura limitata, unico, fra l’altro, presente con una bellissima foto di danza, sempre rigorosamente in BN. Lo stesso dicasi per quasi tutte le mie mostre importanti in Italia e all’estero. Questa tecnica consente di dare maggior spazio alla creatività rispetto al colore, che invece rimane più realistico. Oggi, con l’avvento del digitale, il colore ha preso più piede, la moderna tecnologia consente di non perdere la minima sfumatura, il più piccolo dettaglio nella stampa, ma il BN continua ad esercitare il suo fascino, anche se si è persa la magia della camera oscura, quando, dopo varie manipolazioni, si vedeva venir fuori l’immagine plasmata come ogni buon stampatore sapeva fare. Una magia unica rispetto ai moderni plotter che invece danno sempre comunque un buon risultato ma sempre lo stesso.

Nella fotografia artistica, qual è il giusto equilibrio tra tecnica ed estemporaneità?

A mio parere conoscere bene la tecnica consente di risolvere molti problemi che si presentano al fotografo per la ripresa. Tale conoscenza deve entrare a far parte del DNA del fotografo, pronto, talvolta, a “dimenticarla” per dar spazio alla creatività. Qualche volta, comunque, in nome della stessa o comunque per non perdere un momento importante, si può pensare di trascurarla ma, consentitemi il paragone, è come chiedere a un danzatore di dimenticare le proprie basi.

Quanto conta l’attrezzatura nel Suo lavoro?

Nel lavoro di un fotografo l’attrezzatura ricopre un’importanza rilevante. Se si deve fornire un servizio fotografico professionale ed eccellente sotto ogni punto di vista, occorre avere a disposizione gli strumenti necessari per poterlo effettuare, altrimenti non si capirebbe perché un’ammiraglia costa migliaia di euro rispetto a una fotocamera di base che invece si può acquistare ad un valore decisamente inferiore. In realtà, entrambe potrebbero consentire di eseguire lo stesso lavoro, in pratica è come fare un viaggio, lo si fa più comodamente in Mercedes che in una Fiat Cinquecento. Nella danza, in particolare, si lavora normalmente a sensibilità elevate e un buon sensore, accompagnato da un ottimo obiettivo luminoso, sono in grado di fare la differenza, non solo per lavorare più comodamente, ma soprattutto per la resa finale. In ogni caso, non bisogna inoltre dimenticare la post-produzione, un elemento che oggi il fotografo deve conoscere perfettamente, poiché anch’essa è in grado di fare la differenza sul risultato finale.

Nella sua lunga e brillante carriera ha avuto al suo fianco un’altra bravissima fotografa: sua moglie Patrizia Fedi, con cui ha fondato P & P Bonciani Studios, quali sono gli approcci in comune dal punto di vista tecnico e stilistico quali le differenze?   

La mia carriera è stata brillante grazie soprattutto alla presenza di mia moglie, non solo sul piano tecnico ma, principalmente, su quello morale. Patrizia è stata il mio sostegno, la mia compagna di lavoro, sempre pronta a sostenermi, a stimolarmi, a fornirmi anche gli input su come realizzare al meglio i nostri lavori. Più trasgressiva del sottoscritto, è inarrestabile quando si tratta di realizzare un servizio importante! Un esempio per tutti, in Versiliana, anni fa, riuscì ad immortalare il grande Antonio Marquez, ponendosi nell’unico punto dove non era consentito effettuare riprese, ciò le consentì di realizzare uno scatto splendido che il grande danzatore di Flamenco utilizzò per la sua campagna pubblicitaria. Ricordo ancora tutta Madrid tappezzata con questa foto in occasione di una prima in cui fummo invitati come fotografi, allestendo anche una mostra nel Teatro de Madrid. Quindi, torno a sostenere quanto importante sia per un uomo avere accanto una donna con cui condividere tutto, dai momenti più belli a quelli più impegnativi e oltretutto capace di dar spazio alla propria creatività in modo eccezionale, una fantastica compagna di “avventure” in tutti i sensi!

Paolo Bonciani

In che direzione sta andando la fotografia? Come immagina il futuro di quest’arte nel medio e lungo termine?

Sotto il profilo artistico la fotografia attualmente risente del bisogno di cercare nuove forme di espressione. Nei circa duecento anni trascorsi dalle sue origini si è espressa attraverso innumerevoli linguaggi, adesso è tornato in auge il concettuale. Personalmente, ho sempre molto apprezzato e praticato la fotografia come testimonianza della realtà e non sempre gradisco messaggi poco comprensibili che si basano essenzialmente sulla metafora, la sineddoche, la metonimia e chi più ne ha più ne metta. Però tutto ciò rientra nei miei gusti personali ed è certamente influenzato da cinquanta anni di pratica fotografica rivolta all’espressione dei sentimenti e alla ricerca della bellezza dal punto di vista tradizionale, attraverso messaggi chiari e significativi. Le mode non mi interessano, anche se apprezzo ogni forma di espressione, purché sia in sintonia con i miei gusti.

In un’epoca in cui tutto è immagine che corre veloce e in cui tutti fotografano tutto con i propri smartphone, crede che la fotografia possa continuare ad essere vista come un’arte suprema?

La tecnologia corre veloce, non siamo più ai tempi del sistema analogico in cui tutto veniva espresso attraverso la stampa e conservato nei negativi o nelle diapositive. Il futuro sicuramente porterà innovazioni che potranno cambiare il modo di interpretare, fare e conservare la fotografia. Certamente non cambierà la storia e quanto fin qui è stato prodotto di meraviglioso. Spetterà alle nuove generazioni interpretare e rendere altrettanto valido il nuovo modo di veicolare messaggi.

Lei tiene anche dei corsi, qual è il messaggio che cerca di trasmettere ai suoi allievi?

Oltre ai corsi di base ed avanzati, da oltre dieci anni ne conduco uno di foto di scena presso il Teatro Goldoni di Livorno. Tengo molto a questo contesto, che è, tra l’altro, molto seguito, avendo allievi che vi partecipano da ogni parte della Toscana e che solo il COVID-19 è stato capace di interrompere per questo anno. Per un fotografo avere l’opportunità di poter riprendere con l’obiettivo, oltre ciò che avviene sul palcoscenico, anche il backstage, compresi i vari laboratori di prosa, danza e musica, consente di maturare un’esperienza importante che investe molti campi della fotografia oltre quella scenica. Nei laboratori si insegna come un attore deve porsi di fronte al pubblico, come deve, ogni volta, indossare la maschera giusta per ogni situazione, come le mani e le braccia attraverso la loro impostazione possano contribuire a far recepire meglio un messaggio, come la danza rappresenti non solo l’espressione del corpo ma soprattutto dell’anima. Nel corso degli anni ho scoperto tra i miei allievi (soprattutto al femminile) talenti fantastici, che magari con una fotocamera di scarso valore hanno realizzato immagini grandiose sul piano della creatività. Comunque, tutti i miei allievi, chi più chi meno, attraverso la condivisione, la lettura dei lavori, il componimento migliore del taglio, dell’inquadratura e la conoscenza più approfondita della post-produzione, al termine dei tre mesi sono riusciti nell’intento di mostrare, attraverso i propri scatti, l’essenza e lo spirito del palcoscenico. Tutto ciò ha sempre rappresentato per me un traguardo importante, perché fornire consigli utili a coloro che condividono la mia stessa passione mi ha sempre molto gratificato. La speranza per il futuro è quella di poter continuare a farlo ancora a lungo con lo stesso entusiasmo di sempre.

E qual è il Suo messaggio per il futuro della danza?

È un messaggio di speranza, la speranza che questa pandemia si concluda il più velocemente possibile per far sì che la danza possa tornare ad assurgere al suo ruolo specifico che è quello di un’arte meravigliosa capace di coinvolgere, di emozionare, di poter esprimere, come da sempre, il bello della vita. Se vi sono scorciatoie per la felicità, la danza è una di queste!

Paolo Bonciani

Lorena Coppola

www.giornaledelladanza.com

Photo Credits: P&P Bonciani Studio – Francesco Babboni Photography – Sony 

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