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Ritratto in danza: intervista al primo ballerino Mick Zeni

Mick Zeni

Mick Zeni nasce a Verona dove inizia a sette anni gli studi di danza. Nel 1990 è ammesso alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala e si diploma nel 1994, anno in cui entra nel Corpo di Ballo scaligero. Interpreta “Paquita” (Marius Petipa), “Excelsior” (Ugo Dell’Ara), “Il Grande Gatsby” (André Prokovsky), “Il pipistrello” (Roland Petit), “L’histoire de Manon” (Kenneth MacMillan), “Onegin” (John Cranko). Nel 2001 è Albrecht nella “Giselle” di Sylvie Guillem a New York e Londra e l’Oscurantismo in “Excelsior” all’Opéra National de Paris. Nell’ottobre 2003, al termine della recita di “Don Chisciotte” (Rudolf Nureyev), in cui è protagonista, ottiene la nomina a Primo ballerino. Nello stesso anno è artista ospite al Teatro di San Carlo di Napoli e al Teatro Comunale di Firenze in “Romeo e Giulietta” e “Lo schiaccianoci”. Nel suo repertorio: “Études” (Harald Lander), “Il lago dei cigni” (Nureyev e Vladimir Bourmeister), “Le sacre du printemps” (Béjart), “La Strada” (Mario Pistoni), “Notre Dame de Paris”, “Le Jeune homme et la Mort” e “L’Arlésienne” di Petit di cui danza anche il “passo a due” da “Proust, ou les intermittences du coeur” con Massimo Murru, poi con Benjamin Pech, e Hervé Moreau, due étoiles dell’Opéra di Parigi. Nel 2009 è Franz in “Coppélia”, nuova creazione di Derek Deane per il Balletto scaligero; in “Trittico Novecento” danza “Bella Figura” di Jiˇrí Kylián e “Voluntaries” di Glen Tetley; è inoltre in “Pink Floyd Ballet” di Petit alla Scala e nelle successive tournée. Sempre nel 2009 si esibisce nel “Roberto Bolle and Friends”. È ancora Albrecht in “Giselle” (Yvette Chauviré) e inoltre, il Principe in “Lo Schiaccianoci” (Nureyev e Evgenij Polyakov), Oberon e il Cavaliere di Titania in “Sogno di una notte di mezza estate” (George Balanchine) nelle varie tournée scaligere. Al Teatro Massimo di Palermo, nel 2010, è Franz in “Coppélia” di Petit; balla, inoltre, con Eleonora Abbagnato “Per L’ultima volta” di Luciano Cannito. È ospite del Teatro NCPA a Pechino per la creazione del ruolo protagonista nel balletto “Marco Polo”. Nel 2011 ha il ruolo di Eros nella nuova coreografia “L’altro Casanova” di Gianluca Schiavoni e per “Jewels” di George Balanchine danza in una delle due coppia principali di “Emeralds”. Nell’ottobre dello stesso anno interpreta Abderahman e il solista della Polotàs in “Raymonda” (Petipa-Glazunov). Nel 2012 è il Padre in “Marguerite and Armand” di Frederick Ashton e Gremin in “Onegin” di John Cranko. È Padre Lorenzo in “Roméo et Juliette” di Sasha Waltz (titolo inaugurale della stagione 2012-13); in “Notre-Dame de Paris” (2013) riprende il ruolo di Frollo e in luglio nelle recite di apertura del “Lago dei cigni” di Nureyev debutta nel ruolo di Rothbart. Nel settembre 2013 suo è il ruolo di Romeo in “Romeo e Giulietta” (MacMillan) anche al Teatro Bol’šoj di Mosca e quello di Tebaldo in tournée a Tokyo. Nella ripresa dell’“Altra metà del cielo” interpreta il ruolo di Claudio. In “Serata Ratmansky” danza la creazione “Opera” (coppia principale) e “Russian Seasons” (coppia principale). Debutta, nel 2014, in “La rose malade” di Petit; l’anno successivo è tra gli interpreti principali di “Cello Suites” di Heinz Spoerli (che interpreta anche nel corso della tournée in Cina dell’agosto/settembre 2016). Nel corso del Gala per il 23° Festival Internazionale di Balletto di Lodz è in scena con “La rose malade” e un estratto da “Proust, ou les intermittences du coeur”. Per “La Bella addormentata nel bosco” curate da Alexei Ratmansky (Stagione 2014-15) debutta nel ruolo di Carabosse. È tra i protagonisti del “Gala des étoiles” del 30 e 31 ottobre, con “La rose malade” accanto a Maria Eichwald. È stato premiato dalla rivista “Danza&Danza” come miglior interprete maschile per la stagione 2013. Per la creazione di Massimiliano Volpini “Il giardino degli amanti” interpreta il ruolo del Conte d’Almaviva; per il “Lago dei cigni” curato da Alexei Ratmansky interpreta il ruolo di Rothbart e danza nella coppia ungherese, ruoli che riprende anche nel corso della tournée a Parigi presso il Palais des Congrès nel novembre 2016. Nel febbraio 2017 è in scena, al Teatro alla Scala, in “Serata Stravinskij” (in “Petruska” nel ruolo del Moro, coreografie di Michail Fokin).

Gentile Mick, andando indietro nel tempo quali sono i primi ricordi che affiorano legati alla danza? Com’è nata questa sua nobile passione?
Il mio avvicinamento alla danza è avvenuto grazie al Saggio di un’amica di scuola elementare che i miei genitori mi hanno accompagnato a vedere. Al termine dello spettacolo mi hanno presentato all’insegnante Cristina Barbieri che mi ha chiesto di entrare in scuola di ballo, avevo sette anni e così a settembre iniziai con il corso della mia età. All’inizio ero un po’ timido perché avevo gli occhi di tutti – bambine e genitori compresi – puntati addosso, ma dopo poco mi sentii a mio agio, perché al contrario di come generalmente si sente dire, non fui mai deriso da nessuno, anzi ero sempre più lusingato e fiero dei continui elogi ed apprezzamenti, anche se Cristina non permetteva mai che potessi, grazie a questo, sentirmi in diritto di bearmi dimenticandomi di lavorare e cercare di progredire come tutti in classe, al contrario seppur in modo leggero fui presto investito della responsabilità di mostrare, ancor più degli altri, quanto si poteva migliorare un salto, una pirouette e ogni passo di danza! Furono anni bellissimi e costruttivi sia fisicamente che psicologicamente, e i saggi il momento apice di emozione e orgoglio, la mia insegnante mi poneva sempre come “ciliegina sulla torta”, era un ambiente meraviglioso! Ero e sono rimasto fino ai quindici anni (età in cui lasciai Verona per trasferirmi a Milano) l’unico maschio della scuola! Pertanto quando me ne andai fu un momento molto toccante e difficile per me, le mie compagne e la mia insegnante, ma sapevamo tutti che quel distacco mi avrebbe permesso di riuscire a diventare un ballerino professionista!

Lei è nato a Verona, vuole ricordare la sua prima scuola di danza e la sua maestra? Com’è stato il primo giorno alla sbarra?
A tredici anni Cristina capì che era il momento giusto per spiccare il volo o sarebbe stato troppo tardi, così consigliò ai miei genitori di mandarmi in un’Accademia di Danza professionale come a Roma o Milano, e loro accettarono di provare ma poi, quando fui preso a Roma e videro che per i ballerini maschi non c’era un internato vicino all’Accademia e dovevo attraversare la capitale da solo per raggiungerlo, non se la sentirono di lasciarmi e decisero di rimandare semmai di qualche anno. Nei due anni successivi la mia insegnante non si diede per vinta e talvolta organizzava dei brevi stage, nella sua scuola, con insegnanti ex ballerini professionisti provenienti da celebri compagnie, i quali probabilmente le ribadirono che avevo talento e doti e sarei dovuto andare via al più presto a studiare in Accademie in cui ogni singolo giorno si studiava almeno quanto io facevo in una settimana! Così continuava ad insistere con la mia famiglia, e nell’estate del 1990 a quindici anni fui mandato a frequentare uno stage a Sirmione, con Maestri di fama internazionale e la direttrice della scuola di ballo del Teatro alla Scala, la Signora Anna Maria Prina. Ottenni da lei l’invito ad andare per un mese di prova a studiare all’Accademia a Milano e passato il mese mi offrì di restare a studiare per tutto l’anno. In quel momento dovetti scegliere cosa fare, ricordo come fosse ieri le parole di mio padre che sul treno che ci riportava a casa mi chiese esplicitamente, “E ora Mick che vuoi fare? Qui si decide del futuro della tua vita!” Non fu facile, realizzai subito che era una decisione importantissima, ebbi paura e risposi “Non so che fare, decidi tu per me”. Lui si arrabbiò molto e mi disse che questo non era possibile, dovevo decidere io entro un paio di giorni, e proseguimmo il viaggio in silenzio! A casa poi maturammo che l’occasione non si doveva perdere e che era giusto tentare.

Quali sono i ricordi più belli legati a tutto il periodo in Scuola di Ballo?
Il periodo della Scuola di ballo del Teatro alla Scala è stato incredibilmente stimolante e formante, mi ha permesso di migliorare moltissimo la parte fisica e tecnica, ma soprattutto quella fondamentale del pas de deux, e grazie alla possibilità di praticarlo con le allieve passate alla dura selezione della Scuola, molto dotate! Ma non rimpiango per così dire il fatto di esservi entrato tardi, il tempo trascorso a casa con la mia famiglia prima dei quindici anni infatti, sono convinto sia stato per me un valore aggiunto, per non parlare dell’esperienza di vita acquisita durante tutto il tempo passato con coetanei non ballerini che avevano tutt’altre passioni e obiettivi alle quali ho certamente attinto. Ho imparato infatti in quegli anni a giocare bene a tennis, correre in competizioni ciclistiche e nuoto e imparare a sciare, studiare per tre anni pianoforte e frequentare il primo anno di Liceo Artistico. Infatti appena entrato in Accademia, ho provato ad inserirmi nella classe seconda Liceo Scientifico interna, ma avendo già fatto un anno di Artistico a Verona è stato per me chiarissimo il voler continuare con quello, anche se questa scelta mi è costata da subito più sacrifici. Dopo le varie lezioni di danza, che iniziavano a volte alle 8.30 del mattino e terminavano anche alle 17.30, mentre i miei compagni di corso si spostavano di qualche decina di metri all’interno della struttura per entrare in una classe e studiare, io dovevo uscire attraversare mezza città con i mezzi per frequentare il Liceo Artistico serale che iniziava alle 18.30 e finiva circa alle 22.30, così per tre anni. Anche questo ha contribuito molto a temprare il mio carattere e capire in fretta come fosse determinante usare al meglio quegli anni di formazione!

Tra tutti i suoi maestri scaligeri di allora a chi va la maggiore gratitudine?
Devo a tutti i Maestri scaligeri con cui ho avuto il piacere di lavorare una fetta di gratitudine importante della mia formazione, “in primis” la Direttrice Anna Maria Prina, senza la quale non avrei avuto l’invito a provare ad entrare in Scuola di ballo; probabilmente colui che più è stato determinante è Tiit Harm il maestro che ci ha seguito al 7° e 8° corso maschile, portandoci al Diploma. Lui è stato un ottimo danzatore professionista ha avuto un’esperienza di ballerino di Compagnia completa e ha saputo cominciare a trasmettercene le dinamiche in quei due anni finali di Scuola, è stato un grande vantaggio appena entrati in Compagnia!

Da giovane debuttante alla Scuola di ballo, si sarebbe poi immaginato una splendida carriera nel Corpo di Ballo e così tanto affetto e stima da parte del pubblico?
Speravo come tutti i neo diplomati, ovviamente, di riuscire a costruire una carriera completa appagante e con tante esperienze artistiche, ma mai avrei immaginato di poter lavorare a stretto contatto con grandi coreografi come Roland Petit, Maurice Béjart e molti altri, e ballerini come Sylvie Guillem, Alessandra Ferri, Laurent Hilaire, Manuel Legris ecc. Penso che, grazie appunto a questi privilegi, io abbia potuto lavorare al massimo delle mie possibilità e migliorare, mettendole in luce, alcune mie caratteristiche d’interprete, che mi hanno quindi permesso di “arrivare al cuore” di un pubblico appassionato e attento a questi aspetti! È poi per me sempre un grande piacere incontrare il pubblico in Filodrammatici dopo lo spettacolo e firmare gli autografi, senza i complimenti e l’affetto di quel pubblico rimarrebbe una sensazione di incompiutezza, come per chi cucina un’ottima pietanza o dolce ad un amico e dopo averglielo servito non ricevesse alcun commento!

Mi racconti, se è possibile a parole, l’attimo prima di entrare in scena alla Scala?
Prima di un ingresso in scena alla Scala sono generalmente sempre abbastanza teso, sono momenti in cui cerco di non avere distrazioni da ciò che mi circonda, mi cerco un posto tranquillo nel backstage nell’intento di restare concentrato e a calarmi nel personaggio, nella storia, e rivedo mentalmente tutte le parti determinanti del mio personaggio o anche una sequenza difficile di passi. Poi non vedo l’ora di entrare “rompere il ghiaccio”, sentirmi a mio agio, e dare il meglio di me. Se tutto questo si concretizza, ballo ogni volta come se fosse l’ultima, e quindi resta in me di quella serata qualcosa di speciale. Ovviamente questo dipende molto anche da ciò che si deve ballare, alcuni ruoli li vivo molto più intensamente di altri, ma purtroppo non posso ballare sempre solo ciò che più mi piace e sento “fatto per me”, questo è un privilegio di pochissimi ballerini al mondo.

Una volta diplomato nel 1994, cosa ha significato entrare direttamente nel Corpo di Ballo scaligero (dopo aver superato brillantemente anche il Concorso)? Ai suoi occhi qual è l’aspetto speciale, che fa la differenza, nell’essere parte del Corpo di Ballo del Teatro Scala e non ha mai avuto tentazione di lasciare Milano e il Teatro per altre realtà?
Sono entrato subito in Compagnia dopo il Diploma grazie al punteggio superiore ai 25/30esimi che per le regole di allora mi dava diritto ad un anno di lavoro con la Compagnia. È stata un bella iniezione di fiducia e autostima che mi ha fatto cominciare con tanta voglia di dimostrare tutto il mio potenziale. Poi nel 1996, dopo soli due anni dal Diploma, aver vinto il concorso ed ottenuto un contratto a tempo indeterminato mi ha dato la consapevolezza che avevo realmente l’opportunità di realizzare una carriera al Teatro alla Scala e ho “puntato” lì tutto me stesso! In quel momento per me la Scala rappresentava tutta la mia vita lavorativa e il mio futuro, e il pensiero di far parte anche se minimamente della storia del balletto di uno dei Teatri più importanti al Mondo mi inorgogliva e stimolava come mai fino ad allora nella vita avevo provato, è stato un momento di pura gioia! Poi con il passare degli anni e la sempre maggior consapevolezza di quanto più la Danza venisse considerata in altri Stati e Teatri nel mondo, mi fece venire voglia di provare a fare un’esperienza all’estero, ma questo mio desiderio veniva prontamente e immancabilmente sempre “spento” dalle opportunità artistiche che stavo vivendo come balletti e ruoli che mi venivano offerti di volta in volta da interpretare, tentazioni troppo forti a cui non potevo rinunciare!

Con il resto del Corpo di Ballo come sono i rapporti? Mentre dell’attuale direttore Fréderic Olivieri, che già l’aveva nominata Solista, cosa apprezza particolarmente?
Con il Corpo di Ballo direi che in generale ho un buon rapporto di stima e fiducia, reciproca. Ovviamente su novanta ballerini circa non si può piacere a tutti e viceversa, ma ad ogni modo assolutamente c’è un rapporto professionale e di reciproco rispetto, senza il quale non si potrebbe garantire una qualità come tutti pretendono e si aspettano dalla Compagnia di questo Teatro. Fréderic Olivieri nel 2001 ancor prima di essere nominato Direttore della Compagnia mi ha nominato Solista e dopo due anni (quando invece lo era) anche Primo Ballerino, perciò a lui sono imparagonabilmente riconoscente. A volte per raggiungere un obbiettivo non basta dare il 100% d’impegno ed essere certi dentro sé stessi di meritare una parte importante e poi un’altra e un’altra ancora nella stagione, bisogna anche essere la persona giusta al momento giusto e con la giusta persona davanti, e per me lui lo è stato! Sotto la Sua Direzione, in sette anni, infatti ho ballato all’apice della mia carriera, circa sessanta rappresentazioni in ruoli da Etoile e più di cento in ruoli da Interprete Principale alla Scala e nei più importanti Teatri del Mondo, un lavoro immenso e preziosissimo che mi ha dato la possibilità di crescere esponenzialmente su tutti gli aspetti, fisico, tecnico, artistico e psicologico! Se poi pensiamo che insieme a me anche altri ballerini in Compagnia hanno avuto analoghe opportunità, che altro si può aggiungere sul suo conto… determinante, concreto, esigente ma comprensivo e “umano”, condizione fondamentale per instaurare un rapporto lavorativo costruttivo, basato sulla fiducia.

Da veronese cosa ama della sua città e da milanese d’adozione (al di là della Scala) cosa l’affascina di Milano e del suo pubblico?
Di Verona amo molti aspetti, anzitutto è la mia città natale, dove ho trascorso l’infanzia, in cui come in nessun altro posto mi sento a casa, quando vi torno mi rigenero e mi depuro dallo stress a volte accumulato a Milano. Il fatto che non vi abbia mai lavorato per periodi lunghi la rende un luogo esente da ricordi faticosi e pesanti quindi è associata solo a senso di serenità, vacanza, riposo. La città è a portata d’uomo, si riconosce il cittadino Veronese che sente il senso di appartenenza, la vive come si faceva un tempo, frequentando i Bar storici per le colazioni, passeggiandovi nei momenti di pausa lavorativa, e alle feste locali o come alla Domenica con tutta la famiglia. E poi la bellezza architettonica del vecchio centro storico, oggi completamente restaurato, pedonalizzato e quindi riportato al suo antico splendore… in molti scorci sembra di essere all’interno di un set di un film storico ai tempi dei Romani. Infine il paesaggio circostante di collina, e quindi a due passi dal verde, dalla natura con la sensazione di un’aria pulita. Di Milano invece apprezzo l’efficienza e la disponibilità nel reperire ogni genere di servizio. Negli ultimi anni anch’essa è migliorata moltissimo nella parte architettonica, diventando più bella e pulita, con la costruzione di edifici e quartieri moderni e all’avanguardia nel Mondo, un esempio di rinnovamento ed efficienza tra i migliori d’Italia che dimostra poi quanto ciò sia importante e utile per una buona qualità di vita.

Tra tutti i ruoli danzati quali o quale ha amato particolarmente e perché?
Ho amato i ruoli di Romeo in “Romeo e Giulietta” di MacMillan, “Le Jeune homme et la mort”, Frollo in “Notre Dame de Paris” e Frederic in “L’Arlesienne” – tutti di Roland Petit – ma anche L’Elu nella “Sagra” di Béjart e “Petite Mort” di Kiliàn, e i grandi classici come Siegfried nel “Lago dei cigni” e Basilio in “Don Chisciotte” di Nureyev e Albrecht in “Giselle”. Ciò che accomuna questi ruoli nelle mie preferenze è la componente espressiva, le potenzialità interpretative che offrono e la sfida di una grandissima difficoltà tecnica e fisica.

Tra tutti i grandi del passato, c’è qualcuno a cui si è ispirato o comunque che ritiene un modello per stile e tecnica?
Il ballerino classico in assoluto che più ho ammirato e che mi ha ispirato maggiormente è Mikhail Baryshnikov, per la sua bravura tecnica, capacità interpretativa, carisma, stile e sfrontatezza sul palcoscenico oltre al sapersi adattare come pochi a generi di danza diversi e al coraggio di affrontare nuove sfide coreografiche sempre di alto livello perfino ben oltre i quarant’anni, età in cui la maggior parte dei ballerini deve smettere.

Che esperienze sono state quelle legate al Teatro San Carlo di Napoli e al Teatro Comunale di Firenze in qualità di artista ospite?
Essere stato artista ospite di Teatri come il San Carlo di Napoli, Comunale di Firenze, Filarmonico di Verona, e Massimo di Palermo è stato un privilegio e motivo di orgoglio. Ogni occasione ha contribuito notevolmente ad arricchirmi artisticamente e fare esperienze preziose con persone e ballerini al di fuori della Scala. Inoltre ha anche molto compensato la mia esigenza di provare esperienze lavorative nuove, appagando questo forte bisogno che ho da sempre.

Mentre presso i templi mondiali della danza, Opéra di Parigi, Bolshoi di Mosca e Marinsky di San Pietroburgo quale magia ha vissuto?
Ho vissuto bellissime esperienze lavorative all’estero: magici momenti vissuti in tournée con la Scala sui palcoscenici del Marinskij di S. Pietroburgo con “Sogno di una notte di mezza estate” o all’Opéra di Parigi con “Excelsior” o al Covent Garden e D.H.K. Theatre al Lincoln Centre NYC con “Giselle” di Sylvie Guillem e Bolshoi di Mosca e poi Brasile, Grecia, Messico con “Sogno di una notte di mezza estate” e Astana, Tokyo etc., ma anche un mese intero passato da solo a Beijing per la creazione del balletto “Marco Polo”, con la Compagnia di Danza Tradizionale Cinese di Beijing composta da una sessantina di ballerini. In una prima fase ho provato nella sede della compagnia in zona periferica della città, qui ogni giorno dalle 11 circa fino anche alle 20 di sera si è provato e riprovato, creando assoli, pas de deux miei e di tutti gli altri personaggi comprimari della storia, poi modificandoli togliendo e aggiungendo pezzi di coreografia all’unisono con la composizione della partitura musicale creata ad hoc, passando ogni settimana dalla supervisione e autorizzazione a procedere del Direttore coregrafico Cheng Weya. Infine a coreografia ultimata ci si è trasferiti tutti al nuovo e futuristico teatro principale di Beijing NCPA (National Centre Performing Art) a poche centinaia di metri da piazza Tienhamen e alla Città Proibita, per la messa in scena dello spettacolo che è durata una dozzina di giorni. È nata durante questo mese di prove e spettacoli una bellissima amicizia con tutti gli artisti, Principal e di Corpo di ballo, ma anche lo staff Direzionale di maestri e collaboratori, interpreti linguistici e coordinatore che per alcuni di loro continua a perdurare. Lo spettacolo in Prima Mondiale è stato un grande successo e tutt’ora le sue gigantografie sono appese sulle pareti all’interno dell’NCPA. Si è rivelata per me un’esperienza prestigiosa, formativa, unica e tra le più importanti della mia carriera!

Mi racconta il suo incontro con Maurice Béjart e Sylvie Guillem?
Devo l’incontro con il grande Béjart a Losanna nella sede della Sua compagnia, grazie all’amicizia tra il coreografo e Sylvie Guillem, che, in occasione della messa in scena della “Sagra della Primavera” alla Scala, da Lei interpretata alla Prima rappresentazione nel 2004, ha chiesto e ottenuto dalla Direzione della Scala l’autorizzazione a mandare me e la mia partner, a passare una giornata di prove con Béjart, fondamentale per ricevere le sue correzioni e anche la sua autorizzazione a ballare entrambi i ruoli dell’Elu (l’eletto) e l’Elue (l’eletta). Ho potuto percepire il Suo carisma e forza espressiva e sono rimasto impressionato dal Suo sguardo magnetico, quasi ipnotico mentre ci spiegava e mostrava alcuni passaggi fondamentali dei ruoli, svelandoci così facendo, i segreti per la giusta esecuzione e interpretazione. È stata una prova durata non più di un’ora, ma è rimasta indelebile nella mia memoria, come per un tifoso l’incontro con il Suo idolo. E se Béjart è stato un coreografo geniale e leggendario della danza altrettanto lo si può dire come ballerina di Sylvie Guillem. Mai mi è ricapitato di provare le stesse emozioni suscitatemi nel vederla ballare, racchiude in sé credo tutte le doti e i pregi della perfetta artista, la sua bellezza, il controllo assoluto della tecnica, la perfezione fisica, la sensibilità e capacità di trasmettere l’interpretazione spontanea e vera allo spettatore, la dedizione totale al lavoro e di rispetto del proprio corpo, una persona intelligente e colta, insomma tutto ciò che serve per essere la migliore! Anche in questo caso essere stato da lei scelto nel 2001 (anno in cui fui promosso Solista) all’età di ventisei anni per ballare Albrecht nella sua “Giselle”, che portammo in tournee a Los Angeles, New York, e Londra, fu illuminante. Un privilegio rarissimo e impagabile condividere con Lei le prove per la preparazione dello spettacolo, e ascoltare le osservazioni e correzioni ai ruoli per sé stessa, il suo partner e agli altri cast, me compreso. Ricordo un pomeriggio in assenza del suo partner mi chiedette di provare assieme a lei il secondo atto di “Giselle” in scena, un altro momento indimenticabile, ero euforico e non riuscivo a crederci, ma ero anche molto emozionato e teso e ad un certo punto non riuscii a sollevarla in un passaggio determinante, Lei “sorvolò” senza dare alcun peso all’errore, comprensiva e per niente risentita, e andammo avanti, ma per me fu come sbagliare il rigore determinante per la vittoria alla finale di Champions League, temevo di averla delusa e credetti di aver perso per sempre la sua fiducia e la chance di poter mai ballare insieme.

Nel 2003 viene nominato Primo Ballerino della Scala. Una tra le più prestigiose nomine internazionali. Mi descriva quel momento avvenuto durante il Don Chisciotte?
La versione del “Don Chisciotte” di Rudolf Nureyev, credo sia senza dubbio la più difficile tecnicamente e la più pesante fisicamente che un ballerino classico possa ballare, me lo hanno pure confermato tutti gli illustri colleghi che l’hanno ballato, ma dopo che riesci a superare egregiamente quella “prova”, puoi essere certo di essere arrivato al massimo delle tue potenzialità! Come tanti altri balletti di Nureyev, questo ti porta allo stremo delle forze, e alla fine per la stanchezza è facile che scappi il pianto liberatorio e così fu, doppiamente giustificato per me, la sera che al termine dello spettacolo il Direttore Frédéric Olivieri salì in scena e annunciò alla Compagnia che da quella sera aveva un nuovo Primo Ballerino. Il raggiungimento di questo obbiettivo tanto desiderato, nel momento di estrema gioia per aver vissuto e terminato uno spettacolo così difficile, è una somma di emozioni che mi ha “riempito la testa” e non mi ha permesso di dormire per un paio di notti. Quando mi ripresi realizzai cosa era successo quella sera, non avrei più ballato nel corpo di ballo ma avuto la possibilità di interpretare tutti i più bei ruoli nei balletti del repertorio classico e contemporaneo, ma anche i più difficili, e quindi l’investitura di una grandissima responsabilità e sfida che ancora oggi nonostante sia a fine carriera e abbia ballato la gran parte di ciò che desideravo, sento come allora sempre viva in me ogni volta che si riapre il sipario.

Rudolf Nureyev (idealmente) Le ha portato bene?
Affrontare Nureyev credo faccia bene ad ogni ballerino e compagnia, lui aveva alzato molto il grado di difficoltà aumentando anche il numero di interventi ballati in ogni sua versione classica e per questo per affrontarla devi mantenerti ancor più “in forma” del solito. Ricordo che quando sono entrato in Compagnia tutti dicevano che il balletto classico di Nureyev, che fosse “La bella addormentata”, “Il lago dei cigni”, “Lo Schiaccianoci” o “Cenerentola”, almeno una volta in stagione era assolutamente necessario per mantenere tutti i ballerini della Compagnia in forma, ed era un’assoluta verità che non sempre il corpo di ballo è riuscito a far comprendere in sede di confronto sulla presentazione delle nuove stagioni!

Quanto è cambiata l’arte della danza, specialmente quella classica accademica negli ultimi anni e qual è il senso dell’arte coreutica come valore aggiunto per l’umanità?
La danza oggi richiede una selezione fisica di base molto più severa rispetto a qualche decennio fa, si tende a cercare sempre di più in un ballerino, in generale, doti di proporzione fisiche slanciate, prediligendo una muscolatura tonica, definita ma non troppo trofica. E poi i piedi arcuati, rinforzati certo da un duro e lungo esercizio, ma meglio se “regalati” da madre natura, come anche la “linea della gamba” possibilmente leggermente a X o a Sciabola. Se a tutto questo si unisce grazia e buona coordinazione tra busto e gambe, schiena flessibile, “gambe alte”, apertura di bacino e una padronanza della tecnica, allora si è trovato il ballerino ideale, su cui si può anche cominciare a lavorare per i ruoli solistici e principali, nell’interpretazione e il personaggio, attingendo dall’esperienza di maestri che durante le prove di sala e poi sulla scena, come mostrano i rari grandi ballerini, ahimè anche in questo caso grazie ad un’innata capacità, sono in grado di accendere quel “Sacro fuoco interiore” che gli permette di innalzare ad un livello superiore qualsiasi balletto e coreografia, e regalare al pubblico momenti di pura magia. Questa in conclusione è anche la ricerca e il senso dell’arte coreutica, che regala così facendo all’umanità la dimostrazione che l’uomo ha in sé il potenziale comunicativo, come risorsa per la formazione della persona e per elevarla a scopi superiori, educativi, formativi e positivamente risolutivi.

 

Michele Olivieri
Foto: Marco Brescia (Teatro alla Scala), Graziella Vigo (Teatro alla Scala)
www.giornaledelladanza.com

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