Quando uno spettacolo, a quindici anni dal debutto, riesce ancora ad incantare, emozionare, quasi “abbracciare” il pubblico esattamente come la prima volta, il suo successo è non solo garantito ma sicuramente anche confermato. Questa è stata la sensazione percepita durante la messinscena di Notre Dame de Paris, musical composto da Riccardo Cocciante e andato in scena dal 22 al 26 febbraio all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno (BO).
La presenza del cast originale – ad eccezione di Lola Ponce, sostituita da Tania Tuccinardi nel ruolo di Esmeralda, e della stessa Tuccinardi, sostituita da Federica Callori nel ruolo di Fiordaliso – è già il notevolissimo punto di partenza per un viaggio nella Storia che sconfina i margini del tempo e dello spazio, raccontando dell’amore puro, della gelosia incondizionata, dei vizi e delle virtù umane che è a tutt’oggi difficile allocare nella sola lontana Parigi del 1482.
Difatti, l’intero impianto scenografico fisso, con l’aggiunta di sporadici elementi d’attrezzeria mobili (come le famosissime gargolle e campane), è l’escamotage perfetto per raccontare al pubblico una favola che non potrebbe essere più contemporanea, la cui magia è magistralmente incorniciata da un perpetuo orizzonte di luci calde, profonde, taglienti, simbolo di un’atmosfera tragicamente realistica ed estremamente toccante.
E la partitura coreografica non è da meno: il virtuosismo dei ballerini, acrobati e breakdancers lascia senza fiato e in fibrillazione, coinvolge appieno il pubblico nella rivalsa appassionata degli zingari, così come nella sacralità e spietatezza degli “scagnozzi” di Frollo (Vittorio Matteucci), l’arcidiacono della Cattedrale in lotta con se stesso tra l’amore per Dio e quello per Esmeralda.
Un bivio che attraversa anche il cuore di Febo (Graziano Galatone), capitano delle guardie apparentemente integro e inflessibile, promesso sposo a Fiordaliso e clandestinamente amante della zingara protagonista. Nelle parole di Cuore in me esplode, infatti, il delirio di una scelta difficilissima, di un tormento che attanaglia il suo io più recondito, interpretato da quattro danzatori sul fondale del boccascena con un assolo isterico, sragionato e, al contempo, istintivamente puro e inarrestabile, che sfortunatamente lo condurrà alla morte proprio tra le braccia di Esmeralda, nell’alcova del “Val d’Amore”.
Solo Quasimodo (Giò Di Tonno), impareggiabile Gobbo dalla voce tanto graffiante quanto ipnotica, palesa i suoi autentici sentimenti, avvalendosi completamente di una dolcezza che travalica il turpe aspetto fisico per raggiungere – psicologicamente – un che di poetico, di sublime. Quasimodo è l’Amore, che vince sulle discriminazioni, che pareggia i margini delle diversità, che si attenua e si confonde nelle innumerevoli sfumature che caratterizzano la Vita.
Ma Notre Dame de Paris non è solo un plauso alla purezza dei sentimenti: ogni personaggio grida alla rivalsa, al bisogno di accettazione, come gli zingari che non temono di affrontare le guardie a muso duro, prevaricandone – mediante la danza eclettica e a tratti schizofrenica che li contraddistingue – persino l’autorità, rischiando di fronteggiare anche la morte, come Clopin (Leonardo Di Minno), “re” degli “stranieri” e tutore di Esmeralda. Il suo momento esiziale è un terremoto che sconvolge gli animi degli astanti (non solo in palcoscenico), i quali trasformano i corpi e i volti in maschere di dolore della nostalgica tragedia greca, illustremente “indossate” dal corpo di ballo in un effetto scenico da lasciare a bocca aperta.
Thanatos ha scacciato, dunque, Eros; ed in questo conflitto anche gli impulsi più puri restano vittime. Esmeralda, per volere di Frollo, muore impiccata e il suo corpo esanime viene raccolto da Quasimodo e teneramente coccolato, la triste chance di una liaison ancora tanto desiderata: “Balla mia Esmeralda! Canta mia Esmeralda!” urla al Cielo il povero innamorato, e il volteggiare di candide ballerine nell’aria fa davvero credere che il miracolo possa avverarsi.
Marco Argentina
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