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Luigi Pignotti: “Nureyev diceva sempre di voler morire giovane per non morire mai. E ce l’ha fatta.”

Pignotti Nureyev

Ascoltare i racconti di chi ha vissuto intensamente 26 anni della propria vita a fianco di Rudolf Nureyev è un’esperienza indescrivibile. Provoca brividi, emozioni di tutti i tipi, anche qualche lacrima di commozione. Sentire i racconti di Luigi Pignotti, una vita da manager vicino alla stella della danza, all’Inimitabile e Insostituibile ballerino russo è magnifico. Pignotti gli è stato sempre vicino, l’ha seguito, ascoltato, osservato e rispettato. E continua a ricordarlo, sempre e comunque, nel miglior modo possibile affinché la stella di Nureyev continui a splendere.

 

Il suo primo incontro con Rudolf Nureyev: come è stato l’approccio con la grandissima stella della danza?

Io sono marchigiano ma negli anni sessanta mi sono trasferito in una grande città: alcuni andavano a Torino per la Fiat, altri a Milano in cerca di fortuna. Io scelsi quest’ultima. Dopo aver fatto numerosi lavori, tra cui anche un’attività al Corriere della Sera, ho perfezionato la mia professione di massaggiatore. Lavoravo in un centro fisioterapico in via Montenapoleone nel cuore del capoluogo lombardo, a due passi dal Teatro La Scala, dove venivano tantissimi artisti del momento, dalla musica all’opera, dalla danza al teatro. Tra questi c’era spesso Zubin Metha, famoso direttore d’orchestra indiano: era entusiasta dei miei massaggi perché gli permettevano di lavorare in totale serenità. Ero facilitato perché, anche grazie a tanti anni di canottaggio, le mie mani erano molto grandi e sapevo effettivamente come muoverle e svolgere al meglio la mia professione.

Metha voleva portarmi ovunque, voleva che lo seguissi in ogni posto del mondo dove doveva lavorare o anche andare in vacanza. Però, poco tempo dopo, a Vienna, incontrò Nureyev a Vienna.

Lo vide zoppicare e gli chiese: “Rudy, what have you done?” (Cosa hai fatto?) La stella russa gli disse che si era fatto male danzando. Metha allora colse l’occasione e gli chiese la prossima meta che, casualmente, era proprio Milano, dove io esercitavo la mia professione. Nureyev, appena arrivato in città, qualche giorno dopo, mi fece chiamare e io alle 23 della stessa sera andai all’hotel Continental, dove soggiornava in quei giorni. È stato proprio quello il primissimo incontro con il grande Nureyev.

Che sensazioni ha provato appena gli ha stretto la mano e l’ha visto da vicino, sapendo anche che aveva un carattere abbastanza difficile?

Credo che le personalità di un certo tipo e importanza abbiano tutte un carattere importante. Nureyev era un uomo di grande personalità e aveva un carattere difficile, lo sappiamo tutti. Io, però, ho sempre preferito avere a che fare con persone di questo tipo, rispetto a lavorare con chi, magari, non sa imporsi o non sa quello che vuole. Rudolf mi chiese subito di lavorare per lui: io dissi di sì perché volevo girare il mondo. Il primo viaggio fu negli Stati Uniti, c’era un solo volo dall’Italia (la sigla era AZ 601, ancora lo ricordo), a New York. Per me, giovane di 23 anni, l’America aveva un grandissimo fascino e poterci andare con un grande, il più grande, della danza, aveva un’importanza ancora maggiore. È stata la più bella avventura della mia vita: mi ha segnato, lui mi ha dato tanto, da un punto di vista lavorativo ma soprattutto personale. Momenti indescrivibili. Sono onorato di averli vissuti.

Lei, quindi, in un attimo è diventato la “lunga mano” del ballerino più importante al mondo. Ha mai sentito il peso della responsabilità?

Certamente! L’aspetto ironico di tutto ciò, però, è che in quel periodo io non amavo affatto le responsabilità ma tutti me le affidavano perché “emanavo fiducia”. Le persone si fidavano di me, mi volevano accanto a loro. Stare vicino ad una stella di fama mondiale e diventare indispensabile non è cosa di tutti i giorni, di questo mi sono reso conto sin dal primo giorno di lavoro. Credo di avercela fatta perché ho lasciato che lui si occupasse della danza e io di tutto quello che succedeva fuori dal palco. Prima di me, Nureyev aveva un altro manager che, però, era molto anziano e di religione ebrea. Io imparai da lui questo mestiere, mi cambiò la vita.

Nureyev era un vulcano sul palco. Si è mai confidato con Lei fuori dalla scene quando, magari, aveva dei momenti di debolezza e fragilità?

Nureyev era un essere umano. In momenti meno positivi, mi chiedeva di scegliere le cose che gli piacevano di più. Un esempio? Un risotto, qualcosa di italiano. Nureyev amava l’Italia, era un uomo di cultura e quando gli chiedevo che tipo di vino volesse accompagnare al cibo, lui mi diceva sempre vino del nostro paese. Non amava molto lo Champagne per le bollicine. Amavi i vini fermi. Mangiava risotto, bistecca, rucola e pomodori pachino. Questo era il suo pranzo preferito. Sotto alcuni aspetti gli ricordava la sua terra, la sua Russia, ma sotto tantissimi altri lati si sentiva molto italiano.

Le ha mai confidato di voler, magari, un giorno tornare stabilmente in Russia?

Siamo tornati in Russia con il permesso di Gorbachev. Ma devo essere sincero: Nureyev non amava guardare al passato, voleva andare avanti. Il passato è passato, non si può correggere nulla. Rudolf parlava molto poco di quello che era successo.

Il momento più significativo di tutti questi anni trascorsi tra teatri, incontri e la vita di Nureyev.

Lavorare per ben 26 anni con un’artista come Nureyev mi ha dato tantissimo, mi ha reso la persona che sono ora…non ho momenti preferiti, tutti i giorni trascorsi al suo fianco sono stati importanti, allo stesso modo. Una star mondiale come lui ha danzato ovunque, da Vienna a Roma, dal San Carlo alla Scala, da New York a Madrid, Covent Garden. Sono stati momenti indimenticabili. Il momento più triste è stato quando lui è entrato in un tunnel da cui, poi, non è più uscito. Il giorno della sua morte è stato un episodio tragico. A volte ne parlavamo però è pur vero che Nureyev aveva vissuto dieci vite in una. Lui diceva sempre: vorrei morire giovane per non morire mai. E ce l’ha fatta.

Quando Le raccontava della vita in Russia, della madre…parlava con un velo di nostalgia?

Come ho detto prima: Nureyev non parlava mai del passato. Certo, mi ha raccontato della madre, me ne ha parlato come un momento della sua vita. Non era un nostalgico, non faceva politica: era un artista a 360 gradi. Grazie a lui ho incontrato Sandro Pertini, Giulio Andreotti, Berlinguer, abbiamo cenato alla Casa Bianca con il Presidente Jimmy Carter. Ho incontrato Kennedy, Mitterand…Al termine di ogni incontro, però, Nureyev si limitava a dire “Ah, it’s very nice” (Ah, molto carino), non aggiungeva altro. Erano delle persone: a lui non interessava la politica. Lui amava i paesi dove la qualità della vita e della cultura era alta.

Io ricordo che, in occasione del Festival del mandorlo in fiore di Agrigento, una mattina bussò alla porta del mio hotel per andare a visitare la casa di Pirandello. Io immediatamente gli chiesi che cosa sapesse lui di Pirandello. Bene, siamo stati in questa casetta…lui ne era a conoscenza, io no. Incredibile!

Un altro particolare?! A Milano c’è una compagnia che si chiama “I Legnanesi”, uomini che si travestono in modo molto particolare, una compagnia teatrale molto importante. Io non ne avevo mai sentito parlare, il primo che la nominò fu proprio lui. Nureyev era curiosissimo, era una spugna pronto ad assorbire tutto.

Arriva l’ultima esibizione di Nureyev. Quando è uscito dalle scene, che cosa Le ha detto?

Nessuno di noi avrebbe voluto essere presente in un momento di questo tipo. Lui non mi disse nulla: lo sapevamo tutti, ma non proferimmo parola. Nureyev è morto tenendo la mia mano in ospedale a Parigi: è stato un momento molto triste. Ho girato come un pazzo per la città, ero veramente sconvolto: pensavo al passato, ai momenti trascorsi insieme…ma ad un certo momento mi son detto: da domani devo vivere un’altra vita. E così è stato.

Fino all’ultimo momento, Nureyev non ha mai parlato del passato. È morto con orgoglio, con gli occhi aperti, fiero.

Sono già passati 20 anni da quel giorno. Nessuno, però, riuscirà mai a sostituirlo. Che cosa sta organizzando per onorare al meglio Rudolf Nureyev?

A Civitanova Marche tra un mese allestiremo una mostra proprio in occasione dei venti anni dalla morte di Nureyev e della ventesima edizione di Civitanova Danza 2013, festival internazionale nel nome di Enrico Cecchetti. Vi saranno incontri con personalità della danza che hanno conosciuto Nureyev. A fine dicembre, dal 16 a fine anno, saremo al Teatro Arcimboldi di Milano per alcune serate dedicate al grande Rudolf, Lo Schiaccianoci e il Lago dei Cigni. Lo faccio io in suo onore: non c’è il contributo di nessuno, porterò in giro per l’Italia gli spettacoli nei mesi seguenti. La mostra, invece, verrà riproposta a Venezia, San Pietroburgo e a Parigi: costumi di scena, il passaporto di Nureyev, tantissimi saranno gli oggetti presenti.

So che altre persone stanno organizzando dei gala in suo onore…L’unica cosa che mi auguro è che chiunque usi il suo nome, lo faccia nel miglior modo possibile.

Nureyev manca tantissimo a tutti. Quale aspetto Le manca più di tutti?

Mi manca la sua presenza. Lui era l’unico al mondo che conosceva il mondo della danza, in tutti i suoi aspetti. Quando qualche ragazzo gli diceva: “Maestro, voglio fare il ballerino!” lui, candidamente, gli rispondeva: “Se per te mangiare è più importante della danza, mangia. Ma se la danza è più importante del cibo, balla.”

Nureyev era nato Nureyev. Lui ha condizionato la vita di tutti.

Un aggettivo per descriverlo

Impossibile dare un aggettivo soltanto. Posso soltanto dire che mi ha cambiato la vita: lo penso ogni giorno, è stato un grande amico, tra noi c’è stata un’unione lavorativa molto forte. Nureyev ha avuto anche un rapporto bellissimo, da un punto di vista lavorativo, con Margot Fonteyn: non erano amanti, tra loro vi era una stima che andava oltre il palcoscenico. Era una persona schietta, non ha mai nascosto la sua omosessualità. Era e rimarrà sempre un grandissimo, sul palco e fuori dalle scene.

Valentina Clemente

Foto tratte dall’archivio personale di Luigi Pignotti

 

 

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