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Micha Van Hoecke è il nuovo Direttore del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma

Danzatore, coreografo, attore, regista. Una vita sempre a servizio della danza e dell’arte, ricca di grandi incontri e collaborazioni, come quelle con Roland Petit e Maurice Bejart. Il nuovo Direttore del Teatro dell’Opera di Roma si racconta al giornaledelladanza.com.

Danzatore, coreografo, attore e regista. Lei da bambino cosa avrebbe voluto fare?

Io provengo da una famiglia di artisti, mio padre era un pittore, mia madre, di origine russa, era invece una cantante, ed avevo anche una zia ballerina, si può dire che sono cresciuto quindi a pane ed arte. Quando da bambino ho iniziato a fare danza insieme a mia sorella gemella Martina ero però abbastanza ribelle, mi chiudevo in bagno perchè non volevo andare a lezione di classico.

Alquanto insolito per uno che come Lei ha poi fatto della danza la sua vita.

Sì, in effetti può sembrare strano ma vede, da bambino, il mondo dell’Opera di Parigi in cui sono cresciuto,  mi sembrava un ambiente borghese e lezioso, poi crescendo ed avendo modo di frequentare i ballerini mi sono ricreduto ed anzi mi sono lasciato completamente affascinare.

E la sua famiglia? Che ruolo ha giocato?

Mia madre sognava per me un futuro da danzatore oppure da direttore d’orchestra e, sembrerà strano, le sarebbe anche piaciuto che io diventassi un marinaio.

Un marinaio?

Sì, un marinaio! Nella mia famiglia c’è sempre stata sete di conoscenza ed un grande amore per il sapere, e quella del marinaio è una professione che incarna perfettamente tutto questo. Il marinaio, sempre il giro per il mondo, ha l’opportunità di conoscere e far proprie tante culture.

A proposito di cultura e conoscenza, ci racconta l’incontro con Roland Petit?

Entrai a far parte della Compagnia di Roland Petit all’età di 15 anni. Stavano allestendo l’opera Cyrano de Bergerac, ricordo che ricoprivo il ruolo dell’assistente del cuoco. Roland Petit mi notò anche perchè ero l’unico che riusciva a fare i double tour en l’air. Legai moltissimo con i suoi assistenti che ricordo con grande affetto.

Una collaborazione importante è stata quella con Béjart. Com’è nata?

La collaborazione con Maurice Béjart nacque davvero per caso, oserei dire per un infausto destino! Stavo lavorando come protagonista allo spettacolo Gli Uccelli di Aristofane, insieme a me lavorava il mio migliore amico Patrick Belda, che era il “delfino” di Béjart. Patrick purtroppo morì all’età di 24 anni in un incidente e fu in quel momento che Béjart mi chiese di lavorare al suo fianco. Io ero in un momento della mia vita molto particolare, avevo infatti deciso di lasciare per un periodo la danza in quanto mi arrivavano delle proposte lavorative molto importanti dall’ambiente del cinema. Quando però il Maestro mi chiamò per lavorare con lui non seppi resistere e da quel momento il mio percorso artistico cambiò decisamente.

Che tipo era Maurice Béjart? Ma soprattutto, cosa Le ha insegnato?

Béjart era un uomo burbero ma anche dotato di una grande generosità, una persona estremamente intelligente e di cultura, geniale e curioso. Lui più che al danzatore in sé era sensibile all’intimità del danzatore, all’ Essere danzante. Da lui posso dire di aver imparato la disciplina interiore che è importantissima nella vita di ognuno di noi e specialmente nella vita di un artista.

C’è qualcosa nella Sua vita artistica di cui va particolarmente fiero?

Sì, certamente. Sono molto fiero dell’ Ensemble, la Compagnia che ho fondatonel 1981. L’Ensemble rappresenta per me il prolungamento di me stesso, ma più che la Compagnia in sé mi affascina il progetto, l’idea da cui è scaturita. Insieme a questo un altro progetto a cui lavoro da tanti anni e di cui sono orgoglioso è il Ravenna Festival.

Che progetti ha per il Teatro dell’Opera di Roma?

Mi piacerebbe riuscire a “proteggere” i ballerini. Mi spiego meglio, vorrei riuscire a dare ai miei ballerini delle opportunità lavorative importanti e stimolanti, evitare che molti di loro vadano a cercare lavoro all’estero come spesso accade. Purtroppo a volte gli enti lirici, per ragioni più burocratiche che artistiche, tendono a perdere il rapporto diretto con i propri ballerini. Bisogna rinnovarsi e progredire mantendendo sempre viva quella che è la proprio identità, quindi ci sarà assolutamente un grandissimo spazio per il repertorio classico che è magnifico, ma ci vuole anche varietà nella programmazione. Il teatro non può diventare per i ballerini semplicemente un luogo di lavoro, nel teatro si fa cultura, e la cultura a sua volta per poter viaggiare ed essere competitiva nel mondo deve essere di qualità e quindi fatta con grande spirito di lavoro. Per il resto cercherò di lavorare come sempre ho fatto, cercando di creare un lavoro d’equipe, facendo convergere tutte le parti verso un unico binario che sarà quindi la fusione della danza col canto, con la musica, con la recitazione.

Un sogno nel cassetto?

Che i rapporti lavorativi e personali che ho adesso con molte persone, basati sulla stima e sul rispetto, possano continuare ancora per molto tempo.

Alessandro Di Giacomo 

Foto di Furio Detti

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