Originaria di Bergamo, classe 1992, Beatrice Restelli è la ballerina classica componente la crew dei Mnai’s. Formatasi in terra natia tra l’Istituto per la Formazione Coreutica e l’Accademia di Danza Pavlova, Beatrice percorre una carriera esperienziale e professionale che abbraccia il palcoscenico e la passerella, lavorando sia per compagnie di danza sia per agenzie di moda. Nel 2013 entra a far parte del cast dello show Around, regia di Marco Silvestri, dove avviene ufficialmente l’ingresso nella “famiglia” Mnai’s. Sfila per eventi mondani quali convention, dinner show e persino all’interno della Milano Fashion Week, in cui si fa “bandiera” di una fetta di moda italiana emergente ed ecosolidale.
La tua formazione ha inizio nel 1997 a Bergamo tra l’Istituto per la Formazione Coreutica e l’Accademia di Danza Pavlova. Ci racconti un po’ di questo percorso degli esordi e di quanto l’impianto disciplinare ha influito sulla tua carriera futura?
Ho iniziato a ballare all’età di 4 anni presso l’Istituto Coreutico di Bergamo, in particolare in una delle sue tante sedi provinciali, quella cioè del mio paese natio, Curno. Mi ricordo che alla prima cosiddetta “lezione di prova” partecipai con la mia migliore amica Silvia. Entrambe entusiaste, entrammo a far parte di questo meraviglio mondo che è la danza! Per i primi anni gli studi di danza classica, che ho intrapreso maggiormente, si compongono di esercizi di livello propedeutico e di gioco danza; successivamente, hanno inizio i veri e propri corsi formativi che vanno da un primo a un ottavo livello, in ognuno dei quali si apprende una determinata tecnica e, di conseguenza, si eseguono determinati esercizi cosicché, alla fine delle otto annualità si possa raggiungere una preparazione fisica completa e corretta. Il mio passaggio dall’Istituto Coreutica alla Pavlova International Ballet School è stato all’età di circa 10 anni, quando – in tutta sincerità –capì di voler essere una ballerina nella mia vita. E la Pavlova International Ballet School era l’accademia perfetta per realizzare questo sogno! Grazie, infatti, alla direttrice Svetlana Pavlova e al cast di insegnanti al seguito ho appreso quella tecnica, disciplina e dedizione che mi hanno aiutato ad affrontare la vita di tutti i giorni.
Dal 2009 entri a far parte della Pavlova International Ballet Company, con la quale balli per numerosi eventi e spettacoli di grande rilievo, come “Chopiniana”, “Omaggio a Béjart” e “Tribute to Pink Floyd”. Quale di essi ha lasciato in te un segno professionale e quale, invece, uno emozionale?
La Pavlova International Ballet School è diventata con il tempo una vera e propria compagnia. È un grande onore per me farne parte, soprattutto per le preziosissime occasioni di lavoro a diretto contatto con artisti del calibro di Luca Rapis, coreografo che ha collaborato col grande maestro Béjart, o in celebrazione di ulteriori artisti di genere non prettamente tersicoreo, come i Pink Floyd. L’emozione che ho provato sul palcoscenico durante questi spettacoli è difficile da spiegare a parole: si tratta di una vera e propria sensazione di libertà che qualche anno fa ho voluto tatuare letteralmente sul mio corpo nel disegno di una farfalla, a mio avviso il simbolo più appropriato. I balletti di repertorio riescono a farmi stuzzicare al cento per cento le mie corde emotive, ma, comunque, anche le altre discipline mi regalano fortemente la gioia di danzare. È per questo, infatti, che sin dagli esordi ho sperimentato diversi stili come l’hip hop, la danza contemporanea, il flamenco, la danza di carattere, lo stile modern, coi quali ho arricchito il mio bagaglio culturale e performativo.
Nel 2013 è la volta di Around, spettacolo che ti vede protagonista all’interno della crew dei Mnai’s. Come è stato calarti in un contesto performativo radicalmente hip hop, viste le tue consolidate origini da ballerina classica?
In tutta franchezza, l’impatto iniziale non è stato dei migliori: il fatto che la compagnia fosse formata da 7 uomini e sole 3 donne e che i ragazzi si conoscessero già tra di loro ha accentuato profondamente il senso di inferiorità numerica della compagine femminile e, quindi, l’obiettivo di fusione degli stili coreografici non sembrava affatto una passeggiata! Fortunatamente, grazie al pregnante intervento del regista Marco Silvestri, il senso di “compagnia” è venuto a formarsi naturalmente e, di conseguenza, la creazione dello show è stata unica. L’energia e la passione di noi danzatori ci hanno portati, poi, con il tempo a diventare una piccola famiglia, nella quale, oltre alle fatiche, ai sorrisi, alle lacrime e agli applausi, abbiamo condiviso appieno la nostra arte: mi sono ritrovata a insegnare un grand jetè a un b-boy, mentre un ballerino di hip hop mi istruiva su come attuare una “banana” (ossia una forte tecnica, nello slang apposito).
Sempre in Around, tra i tanti ruoli in scena, interpreti quello di una ballerina/giocattolo che il malvagio “burattinaio” Kira (nome d’arte per Marco Cristoferi) manipola a proprio piacimento. Credi che al giorno d’oggi la ballerina classica viva un’altrettanta spiacevole esperienza nel rapporto con il mondo dello spettacolo?
Devo dire che, sebbene l’ambientazione russa di quel quadro dello spettacolo (il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo) e il mio tutù rimandino facilmente il pensiero all’Olimpo della danza classica, il messaggio che il regista ha voluto lanciare è legato al ruolo della donna, in particolar modo al suo essere vittima della prepotenza maschile, dalla quale non riesce a liberarsi, proprio come, in scena, dimostrano i fili indistruttibili a cui il mio personaggio è legato per i polsi. A un certo punto dell’azione scenica, però, il burattino riesce a liberarsene, ma anche in quell’istante la paura di quanto il suo aggressore possa divenire persecutore vince sulla agognata libertà. Un’esortazione al raggiungimento di questa libertà senza alcuna paura è, dunque, la morale di questa “favola” dello spettacolo Around, una “favola” rivolta a tutte quelle donne che ogni giorno vivono terrificanti episodi di questo tipo. L’amore non è manipolazione: è libertà di essere!
Il tuo curriculum vitae enuncia una numerosa sequela di esperienze lavorative che hanno a che fare col mondo della moda, nel quale hai pur sempre l’occasione di esprimere la tua arte tersicorea. Come vivi la tua danza al di fuori dell’ambiente da palcoscenico?
Ormai posso dire che convivo con queste due grandi “fette” della mia carriera professionale con estrema naturalezza. Ho esordito nel mondo della moda come indossatrice in una sfilata per il marchio Replay all’età di circa 5 anni. Da allora questa e quella della danza sono state due strade parallele che ho portato avanti senza troppi problemi, naturalmente dando priorità alla seconda piuttosto che alla prima. L’enorme impegno che gli studi di danza mi hanno richiesto nel corso degli anni non mi ha concesso di impiegare altrettanto zelo per le sfilate o gli eventi correlati. Ciononostante, posso dire che la danza ha contribuito fortemente alla buona riuscita di questa mia seconda attività, aggiungendo cioè grazia alla slanciata silhouette che Madre Natura mi ha donato! D’altronde, come dicevo precedentemente a proposito della mia formazione da ballerina, la varietà d’interessi non è mai svantaggiosa, soprattutto se – come nel mio caso – l’irrefrenabile voglia di fare ti stimola ad arricchire il bagaglio esperienziale sempre di più.
Parlaci un po’ di Nu’Art Events, con la quale hai danzato in eventi mondani come “Milano Fashion Week Design” o in location di gran classe come il Just Cavalli di Milano.
Ho iniziato a collaborare con la Nu’Art Events, a seguito di un’audizione, nel gennaio 2015. Ho preso parte a diversi eventi, come matrimoni, convention, dinner show e tanto altro. Posso dire, in tutta sincerità, che il punto di forza di questa agenzia consiste nella piena libertà di espressione che un’artista come me ha a disposizione.
Nel 2008 hai vinto una borsa di studio per Vacliffen Foreign Exchange Program a Toronto, in Canada. Com’è stata questa esperienza intercontinentale?
Sfortunatamente non ho avuto modo di usufruirne per problemi legati a motivi molto personali, ma sono sicura che sarebbe stata un’occasione unica ed estremamente formativa.
Nel 2010, invece, hai vinto un’altra borsa di studio per effettuare una settimana di studi intensivi presso l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano. Che ricordi hai di quest’esperienza nel Tempio della danza italiana?
Il premio speciale vinto nella prima edizione del Premio MAB, il Premio Internazionale di Danza Classica “Maria Antonietta Berlusconi”, penso che sia stato uno dei regali che abbia mai ricevuto dalla danza nella mia vita. In quella settimana alla Scala ho potuto studiare con insegnanti di altissimo livello, i quali hanno reso unico e irripetibile quel breve frangente formativo, in cui la mia scelta di vita professionale non è potuta risultare se non più che azzeccata. Il viaggio quotidiano da pendolare sulla tratta Bergamo-Milano è stato faticoso, ma molto ben ricompensato: ho svolto, infatti, lezioni di danza classica, di repertorio e di danza contemporanea, immagazzinando sempre più nuove conoscenze e affinando al meglio le tecniche pre-esistenti, del cui impegno nel conseguirle mi sento di rendere moltissime grazie al sostegno dei miei genitori.
Dulcis in fundo, arrivando sino all’anno corrente, il tuo nome compare nell’evento Ethical Fashion Show, in cui hai sfilato per la collezione di tre giovani stilisti. Che effetto ti fa essere stata “bandiera” di una piccola, ma comunque importante, fetta della moda italiana emergente?
L’esperienza è stata a dir poco inestimabile, sia per lo splendore incomparabile di una tra i più prestigiosi eventi mondani del nostro Paese, la Milano Fashion Week, sia per la purezza del messaggio che i tre stilisti di cui sono stata indossatrice hanno voluto lanciare al mondo della moda. I loro abiti, infatti, sono stati realizzati con materiali tutti unicamente naturali, nel rispetto dell’ambiente e degli animali. A mio avviso, prendere parte a iniziative di tale peso educativo non può essere che un onore, soprattutto per lo sprone al perpetuo benessere del pianeta che – fin troppo spesso – viene da noi stessi ignorato.
Marco Argentina
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