«Non veniamo al mondo per lavorare o per accumulare ricchezza, ma per vivere. E di vita ne abbiamo una sola» (J. Mujica): mai parole sarebbero state più azzeccate a sintetizzare il messaggio di Cirkopolis, spettacolo del Cirque Éloize andato in scena al Teatro Il Celebrazioni di Bologna lo scorso 24 gennaio alle ore 21.
Suggestivamente nostalgico della più celebre pellicola di Fritz Lang, Cirkopolis catapulta lo spettatore in un universo futuristico – ma ben radicato nella visione del tempo presente – dove la fucina industriale, coi suoi ritmi incessanti e i processi sistematici, prevarica indefessamente sulla natura umana di chi ci lavora. Come se il senso delle vite stesse dipendesse solo da una macchina e dal suo corretto funzionamento.
Dave St-Pierre e Jeannot Painchaud, uniti nella co-direzione dell’opera, hanno ben pensato di abbattere questo falso mito: tra acrobazie funamboliche, gag di autentica clownerie, contorsionismi straordinari e giocoleria virtuosistica, infatti, i personaggi in scena gradatamente si spogliano dei grigi e seriosi panni dell’affannosa routine quotidiana per ostentare muscoli guizzanti, tutine super sexy, gonne a campana da far invidia alla più spregiudicata pin up hollywoodiana. Allo stesso modo, le scenografie e musiche – rispettivamente curate da Robert Massicotte e Stéfan Boucher – prendono colore da una “tavolozza” carica di leggerezza, poesia, briosità e amore.
E questo “quadro” prende forma ancor prima che si apri il sipario, dato che due dei performer accolgono il pubblico in platea con una serie di sketch d’infallibile stampo clownesco, grazie ai quali s’intuisce subito che lo spettacolo evaderà i canoni della compostezza quotidiana. Lo conferma, infatti, l’assolo acrobatico di una delle danzatrici alle prese con un cerchio roteante perennemente in disequilibrio, dove la sfida alla forza di gravità è solo il pretesto per animare un caleidoscopio di pose immaginifiche e sensazioni impareggiabili. A tutto questo seguono arguti esercizi su un trapezio a croce greca tridimensionale, o su una ruota a doppio cerchio con pioli maneggiata anch’essa in modalità oscillatoria, o più semplicemente su uno stand appendiabiti, dove la somma di un performer e di un abito femminile ingrucciato equivale a un’esplosione di dolcezza e poesia pura. Tenerezze del cuore e della memoria, come nell’assolo di giocoleria col diablo, una carezza ai ricordi fanciulleschi, quando la spensieratezza e le risate per un piccolo errore significavano il leitmotiv di ogni giornata.
Lo sguardo al passato, allora, si tramuta nella speranza di rinnovarlo nel presente, da cui è necessario fuggire per ritrovare la pace, proprio come simboleggia l’arrampicata sulla fune da parte di una delle performer, sincronizzata alla scenografia video del fondale che oltrepassa i tetti dei grattacieli della triste city per sconfinare nell’immenso chiarore di un cielo soleggiato, decontaminato dai grigiori, dalle ansie e dai preludi di una morte troppo ravvicinata.
Dunque, festa! Tutto è più bello, più gaio, più pazzo – se ne si esclude l’accezione negativa del termine. Salti, rimbalzi, equilibrismi, contorsioni: ogni fibra del corpo abbandona il suo status naturale per ipertendersi all’ennesima potenza. La routine può passare in secondo piano, la vita vera può iniziare ad avere il suo senso.
Marco Argentina
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Cirque Éloize / Cirkopolis © Valérie Remise