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Coronavirus: Le scuole di danza italiane? Dimenticate dalle istituzioni!

Il Giornale della Danza, sempre in prima linea per la notizia e soprattutto per portare alla luce fatti di cronaca, sin dalla sua fondazione nel 2010, come prima testata giornalistica online in Italia, anche in questa occasione, il direttore e tutta la redazione sono vicini alle migliaia di scuole di danza collocate su tutto il territorio italiano e ai loro Maestri, per la drammatica situazione che stanno vivendo. Per questo, abbiamo voluto dare voce a voi, ad una maestra di danza Rosanna Filipponi, vicina a tanti colleghi. Abbiate coraggio! (chi vuole scrivere può farlo a redazione@giornaledelladanza.com, noi ci siamo)

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Domenica 8 marzo è arrivata la tanto temuta ordinanza nazionale che ha determinato la chiusura di palestre e scuole di ballo.

Il panico si è scatenato su tutto il territorio nazionale, nessuno di noi ha mai dovuto fare i conti con una tale imposizione, se non in occasioni particolari, come un terremoto. Ma a Terni, in quella circostanza, non ne abbiamo risentito. In una sola notte abbiamo creato una chat nazionale, dove ciascuno ha invitato e inserito altri membri. È stato un lavoro spasmodico, ma ci siamo resi conto che eravamo un numero pazzesco; non oso quantificarlo.

In primis, abbiamo avvertito una sensazione di panico: “come si fa senza le rette mensili?” abbiamo pensato. Il punto è, però, che il provvedimento aveva la durata di quindici giorni, la problematica vera e propria non si era del tutto manifestata. Con il passare dei giorni, poi, è arrivata la chiusura totale. Le notizie che giungevano dai tg non lasciavano dubbi: era tutto chiuso. Non sapevo cosa fare, ho passato intere notti al telefono con le colleghe di tutta Italia: tutte condividevano il mio stato d’animo. Concorsi andati, saggi pronti a metà, costumi ordinati e niente soldi per pagarli. Questi i primi pensieri; poi abbiamo capito che i tempi sarebbero stato lunghissimi e sono subentrate altre preoccupazioni, più concrete.

Come avrebbero potuto fare i ragazzi a studiare e a tenersi in allenamento?

E, soprattutto, come avremmo potuto pagare gli affitti e le bollette senza alcun rientro di quota associativa? Pur cercando di far sentire la nostra voce, attraverso una petizione, sperando che possa passare il messaggio dell’inesistenza di una regolamentazione del settore, ciascuno di noi sta cercando il modo di trovare degli accordi con i vari proprietari degli immobili, ma non sempre dall’altra parte c’è disponibilità.  In più, i vari decreti, per ora, non fanno accenno a tutta l’attività sommersa delle associazioni sportive dilettantistiche che, contrariamente a quanto si pensi, rappresentano un vero e proprio mondo.

Attualmente, nel nostro Paese, le scuole di danza sono per l’80% inquadrate come associazioni o società sportive sotto l’ala del CONI, il restante 20% riguarda società con partita iva o ditte individuali. Da che se ne abbia memoria, è in corso una diatriba sulla questione; gli Enti di Promozione Sportivi, che sono i nostri punti di riferimento in un dialogo con il Governo, sono coloro che ci permettono di sopravvivere. Essere ditta individuale, al contrario, comporta dei costi eccessivi e onerosi, al punto che la scuola di danza per sopravvivere dovrebbe rivalersi dell’iscritto imponendo delle rette con iva esorbitante.

La conseguenza, chiaramente, sarebbe non avere più iscritti. A ciò si aggiunge che la danza è una di quelle attività pomeridiane già ritenuta particolarmente onerosa. La pandemia ha mostrato in modo cristallino la debolezza di questo sistema; il nostro ruolo non viene riconosciuto, veniamo meramente considerati collaboratori sportivi a cui spettano 600 euro, una tantum. Nel frattempo, le nostre spese corrono e crescono sempre più. Non avendo un un’inquadramento, non disponiamo nemmeno di sindacati e interlocutori: è come se non esistessimo. In realtà, il tessuto delle scuole private nel mondo rappresenta un rifugio, il luogo in cui formiamo gli studenti perché possano accedere alle Accademie, che poi ne fanno dei professionisti. È grazie a tale processo che i giovani possono aspirare a fare carriera, sognare teatri, spettacoli e un impiego come coreografo orchestrale, direttore di orchestra, o ancora, maitre maestranze, scenografo e costumista. Nel nostro piccolo, prepariamo i ragazzi ai concorsi, avvalendoci di coreografi, maestri e ospiti. Produciamo costumi, rassegne e, a fine anno, affittiamo interi teatri per per permettere loro di fare i saggi. In tali occasioni, paghiamo iva, SIAE e tributi per i biglietti di ingresso. Siamo importanti e facciamo parte del sistema economico. Siamo in molti e ci crediamo. In breve: le scuole di danza private vanno tutelate. Se dovessimo fermarci, si fermerebbe un intero settore, quello artistico della danza. I danni sarebbero enormi; la nostra distribuzione è capillare sull’intero territorio internazionale e va compreso. Trovo poco appropriato che nei primi decreti non sia stata fatta menzione del nostro impegno, del nostro lavoro. Lo Stato ha peccato di poca chiarezza su questo punto; ci hanno poi pensato i decreti comunali a specificare con più trasparenza. Ognuno di noi sta cercando di tenere vivo il rapporto con gli studenti perché non perdano l’interesse e abbiano un punto di riferimenro.

La prospettiva di riaprire a settembre prossimo diventa sempre più concreta, tra mille se e mille ma. Il problema fondamentale è che la propagazione del coronavirus non consente aggregazioni; come si potrebbe pensare di continuare? Alcuni colleghi stanno tenendo lezione on line: personalmente, non amo questo metodo di insegnamento, sarei in difficoltà. Per me è importante poter correggere fisicamente gli errori; ritengo, inoltre, che la lezione virtuale vada a inserirsi come un modus operandi che può applicarsi dai 14 anni in su, penalizzando fasce di età minori. La danza si fa in sala, con un un’insegnante e non con una connessione che va e viene. Attendiamo, sperando per il meglio, il decreto di aprile; forse avremo delle risposte. Voglio rivolgere il pensiero a tutti gli allievi, ai danzatori professionisti, ai sovrintendenti, ai maestri e ai coreografi.
Quando tutto questo finirà, ovvero appena si potranno riprendere le attività, mi piacerebbe che ognuno facesse la propria parte. Molte autorità del settore ancora non hanno espresso la propria opinione; ho letto di Luciano Cannito e della signora Carla Fracci che si sono mostrati preoccupati per la situazione. Non ho trovato nemmeno corretto il silenzio di molte scuole di danza, soprattutto quelle istituzionali!

Rosanna Filipponi

Direttore ASD FORMAZIONE DANZA TERNI plus

© www.giornaledelladanza.com

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