Il 19 aprile 1970 si spegneva Jia Ruskaja, fondatrice e direttrice dell’Accademia Nazionale di Danza. Personaggio complesso, Ruskaja svolse la sua attività nell’arco di cinquant’anni attraversando periodi diversi e anche difficili della storia italiana (dal primo dopoguerra alla seconda guerra mondiale fino al ’68). Il suo fu un percorso lungo, costellato di successi ma anche di sconfitte, ciò nonostante unitario negli obiettivi programmatici. Osservandolo nel suo complesso, vi si riconosce un costante impegno volto al recupero dei valori profondi, antichi, della danza, arte che l’artista considerava non solo nella sua espressione spettacolare, ma anche come strumento mirato all’educazione e all’affinamento della persona nel segno di quell’equilibrio armonico tra mente, corpo, emozione che erano alla base della sua estetica. Uno strumento non riservato a «pochi privilegiati», ma esperienza «accessibile alla massa», come lei stessa scrive nel 1958.
Il valore educativo e culturale della danza costituì il perno della sua politica di sviluppo della scuola che avviò nel 1928 e potenziò nell’arco di un ventennio fino a conquistarle, con la riforma dell’istruzione pubblica varata nel secondo dopoguerra (1948), lo status di accademia nazionale. Sin dall’inizio, la scuola ruskajana non si pose in antagonismo con le scuole di ballo teatrali in quanto era concepita con un diverso orizzonte di interessi e un ampio spazio riservato alla danza moderna. Il suo obiettivo più alto, a cui si dedicò con una passione e una tenacia singolari sin dall’abbandono delle scene nel 1935, fu la diffusione della danza a livello territoriale e, soprattutto, il suo inserimento nella scuola media come materia curriculare di rango pari a quello delle altre materie dell’istruzione pubblica. E questo implicava l’altro obiettivo: il riconoscimento di “università della danza” del triennio di perfezionamento per la formazione di insegnanti e coreografi. Tuttavia, nonostante i sostanziali passi e la costruzione di una efficace piattaforma metodologica, di fatto furono i suoi discepoli e il collegio dei docenti a portare a compimento questo progetto quando nel 1998 l’Accademia fu trasformata in Istituto dell’Alta Formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) rilasciante titoli di studio di valore equivalente a quello universitario, e nel 2010/11 prese avvio il liceo coreutico, sezione del liceo musicale e coreutico, sesto del quadro della riforma della scuola secondaria di secondo grado.
Jia Ruskaja (translitterazione del russo Я русская, “Io sono russa”) era il nome che le aveva assegnato Anton Giulio Bragaglia con cui la giovane aveva collaborato a Roma nel 1921 e nel 1923. Ma il suo vero nome era Evgenija Fëdorovna Borissenko, russa ortodossa nata a Kerč’, in Crimea, nel 1902. Dopo aver terminato gli studi nel 1919, si era trasferita in Inghilterra da cui, dopo l’annullamento (nel 1920) del matrimonio con Evans Daniel Pole da cui aveva avuto un figlio, era passata in Italia. Bella, alta con lunghi capelli biondi e occhi di un azzurro intenso, intelligente e abile imprenditrice di se stessa, non le fu difficile inserirsi negli ambienti dell’avanguardia romana attirata dalla presenza degli artisti russi che si erano rifugiati in Europa in seguito alla rivoluzione.
Dopo le pantomime futuriste alla Casa d’arte Bragaglia, nel 1923 prese parte ad azioni sceniche al Teatro sperimentale degli Indipendenti dello stesso Bragaglia, osannata dalla critica come «impareggiabile danzatrice di incredibile versatilità». Si trattò di interpretazioni miste di recitazione muta e danza, dal segno estremamente moderno ma non scevro di quella raffinata e sensuale femminilità che lei stessa immortalerà nel suo libro La danza come un modo di essere, pubblicato nel 1927 come manifesto della sua linea estetica.
Nella danza Jia Ruskaja non aveva una formazione accademica, ma piuttosto generici studi coreutici effettuati nell’istituto Kušnikov della sua città natale. Ma fu proprio questa assenza di basi tecniche ad impedirle di rimanere imprigionata in un unico modello stilistico e a permetterle di dar sfogo alla sua creatività accogliendo gli stimoli più diversi.
Nel 1929 volle misurarsi anche con il cinema (fu la protagonista di Giuditta e Oloferne di Baldassarre Negroni), sebbene avesse già scelto di allinearsi a quella corrente di danza libera di ispirazione antica (definita “danze classiche”) che, diffusa dai discepoli di Émile Jaques-Dalcroze e dai seguaci di Isadora Duncan, stava diventando di tendenza in tutta Europa.
La linea delle danze classiche aveva ispirato la creazione, nel 1928, della prima scuola di danza a Milano presso il Teatro Dal Verme, che nella nuova sede di via della Spiga 26, poi del villino edificato a Monte Tordo in Parco Sempione intitolò “Scuola di Danze classiche di Jia Ruskaja”.
La produzione “classica” dell’artista russa trovò piena attuazione nella direzione della sezione moderna della Scuola di ballo del Teatro alla Scala (1932-1934) dove era giunta in seguito ai successi raccolti con le sue composizioni per le“Rievocazioni classiche” dirette dal famoso grecista Ettore Romagnoli e per i drammi rappresentati al Teatro greco di Siracusa dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico (1929, 1930).
Ma furono le medaglie alle Olimpiadi di Berlino del 1936 (e anche il matrimonio nel 1935 con Aldo Borelli, direttore del “Corriere della Sera”) a consacrare Ruskaja come didatta e coreografa di alta statura culturale e a consolidare l’appoggio politico che aveva favorito la sua affermazione artistica e di lì a breve le consentirà di ottenere l’inserimento della danza nella istruzione pubblica.
Nell’ottobre 1939 Ruskaja mandava a Roma la sua migliore allieva scaligera Giuliana Penzi a guidare la scuola di danza annessa all’Accademia d’Arte drammatica diretta da Silvio D’Amico: la Regia Scuola di danza istituita con la legge 165 del febbraio 1940 ma con decorrenza dal mese di ottobre dell’anno precedente.
Dal punto di vista didattico e metodologico la Regia Scuola era speculare a quella milanese per la quale, peraltro, nel gennaio 1941 Ruskaja riuscì ad ottenere la parificazione. Appena in tempo in quanto nel 1943 la scuola fu distrutta dai bombardamenti e Jia Ruskaja fu costretta a trasferirsi a Roma.
Forte dell’esperienza scaligera, nella nuova scuola milanese Ruskaja aveva costruito un modello didattico bilanciato tra la tecnica del balletto tradizionale (definito danza accademica) e l’Orchestica, lo stile di danza libera da lei creato. Ruskaja aveva coniato il termine Orchestica per visualizzare la sua visione moderna della danza e la sua concezione del movimento come il “tutt’uno armonico” trasmesso dall’arte greca.
Ma alla iniziale bidimensionalità ispirata alla pittura vascolare della Grecia antica e alla densità ritmica delle sculture di Fidia, Ruskaja affiancò assai presto asimmetrie ed equilibri precari evocanti i bassorilievi di Skopas e le Menadi di Ercolano (come spiegherà ella stessa in numerose occasioni). Impeti, voli, cadute, rovesciamenti del busto contrastarono con le poetiche “caròle botticelliane”; traiettorie oblique si composero con disegni orizzontali costruendo uno spazio fortemente dinamico in una sorta di recupero della sua avventura futurista. Negli stessi anni Trenta il suo repertorio di danze si arricchì con soggetti ispirati all’arte rinascimentale, ottocentesca, con delicate pantomime e libere evocazioni dell’arte orientale.
Il “Corriere della sera” del 2 novembre 1934 aveva elogiato l’impostazione didattica dell’artista russa definendo le sue allieve «danzatrici moderne preparate musicalmente, intellettualmente e fisicamente per le interpretazioni di danze classiche interessanti ed elevate per gusto e finezza». Fu proprio allora, con la rifondazione della scuola milanese attuata dopo l’abbandono della direzione scaligera, che Ruskaja impose alle allieve il compimento dell’iter della scuola secondaria superiore (in particolare del liceo classico) e la frequenza di materie teoriche a latere. Tali materie furono inizialmente Storia dell’arte e Teoria musicale; dal 1948 Storia della musica, Storia della danza e Teoria della danza. Della Teoria della danza si colgono i prodromi già nel documentario Fanciulle e danze del 1942: «uno studio indefesso e analitico del corpo umano per acquistare scioltezza plastica e immediatezza di espressione», che nel ’48 si trasformerà in una materia curriculare autonoma comprendente un sistema di notazione che Ruskaja, ella stessa docente della materia, definì Orchesticografia, poi semplicemente Scrittura della danza.
Jia Ruskaja nella scuola milanese di Monte Tordo aveva dunque costruito le basi del grande edificio che nel 1948 fu restituito alla sua direzione con lo status di Accademia Nazionale: una struttura verticale il cui segmento centrale di otto anni, parallelo alla scuola media e al liceo, era seguito da un triennio di perfezionamento e era preceduto da un corso propedeutico. Per completarne il profilo di organismo moderno e di elevato livello culturale, aveva dotato la scuola di una biblioteca la cui collezione, passata alla Regia Scuola e poi alla Accademia Nazionale, fu nel tempo incrementata con acquisizioni sistematiche promosse dalla stessa Ruskaja, poi dalla sua erede Giuliana Penzi (1970-1990), quindi da Lia Calizza, terza direttrice dell’Accademia (1990-1996).
La Biblioteca conserva la documentazione dell’attività artistica e culturale promossa da Ruskaja nel corso degli anni: spettacoli e tournée in vari teatri italiani, manifestazioni e congressi in prestigiose sedi europee; illustrazioni didattiche nel teatro all’aperto del Castello dei Cesari, dove la scuola si era trasferita nel 1955. Ma anche incontri, dibattiti, eventi culturali, corsi di aggiornamento dell’ANID (Associazione Nazionale Insegnanti di Danza), seminari e coreografie dei maestri ospiti (tra questi: Harald Lander, Léonide Massine, Ljubov Černičeva, Boris Kniaseff, Anton Dolin, Birger Bartholin, Ol’ga Lepešinskaja, Nina Vyroubova, Boris Trailin, Kurt Jooss, Pauline Koner).
Una testimonianza di questi eventi la si trova nei Numeri unici pubblicati dal 1956 al 1965. I titoli stessi o i temi centrali di queste monografie (danza e poesia, danza e musica, danza e architettura, danza e pittura, Dante e la danza ecc.) evocano quell’“incontro tra le arti” che fu uno dei principi fondanti dell’estetica ruskajana. Nel primo Numero del 1956 Ruskaja affronta inoltre il problema dell’assenza degli allievi maschi, dichiarandosi a favore del loro inserimento al fine di eliminare quelle restrizioni che, inizialmente indotte dal modello duncaniano, in seguito imposte dagli schemi ministeriali, erano ormai divenute anacronistiche.
Nelle fotografie che illustrano i Numeri unici è possibile riconoscere le diverse generazioni delle allieve di Jia Ruskaja, dalle prime, scaligere, quali Giuliana Penzi (prima maestra alla scuola di Monte Tordo, poi alla guida della Regia Scuola) e Avia De Luca, a quelle della Regia Scuola, come Wjlma Valentino e Anna De Angelis, quindi alle allieve dell’Accademia Nazionale, come Lia Calizza, Chiara Zoppolato, Caterina Commentucci, Simona Cesaretti, Gloria Spedaletti, Maria Grazia Garofoli, Leda Lojodice…
Tra le più giovani fa capolino chi scrive, allieva per undici anni a partire dal 1959, quindi nel 1974 successore di Jia Ruskaja nella cattedra di Teoria della danza.
Documentazione fotografica: Mario Corsi, Il teatro all’aperto in Italia, Milano, Rizzoli, 1939; Renzo Rossi, La danza e le danze, Roma, Palombi, 1941; Numeri Unici, Accademia Nazionale di Danza, Roma, 1956-1965; FOTOEDU, Indire (Istituto Nazionale Documentazione, Innovazione, Ricerca educativa), online; Collezioni private.
Flavia Pappacena
www.giornaledelladanza.com
Assolo di Jia Ruskaja (“Scuola di danze classiche e di ginnastica ritmica di Yia Ruskaya al Teatro Dal Verme”), Estratto di Stramilano presentato da Za Bum, regia di Corrado D’Errico, Istituto Nazionale Luce,1929.
La scuola d’arte di Jia Ruskaja, “La Settimana Incom” 10/3/1949, Istituto Luce Cinecittà.
Una documentazione più approfondita su Jia Ruskaja e la sua scuola sarà a breve pubblicata dall’editore Piretti nella collana “Biblioteca di danza”.