Tre mondi coreografici. Tre modi di intendere il corpo e la danza. Il trittico ideato dal direttore del corpo di ballo della Scala, Frédéric Olivieri è formato da Études di Harald Lander, Boléro di Maurice Béjart e Petite Mort di Jiří Kylián.
Una sfida dichiarata al danzatore e allo spettatore: una progressione emotiva che parte dalla disciplina accademica per dissolversi nella bellezza inquieta del gesto essenziale e poi scivolare nel rituale ipnotico.
Apre la serata Études, omaggio coreografico (ripreso da Johnny Eliasen con la consulenza di Lise Lander) alla tecnica classica portata al suo massimo grado di rigore e brillantezza. Lander costruisce un balletto che si sviluppa come una lezione di danza in tempo reale: dalla sbarra ai salti mozzafiato, ogni movimento è un’elevazione della disciplina accademica a linguaggio scenico. Progressivamente si trasforma in una escalation di abilità, culminando in un travolgente apice corale che coinvolge l’intero ensemble scaligero nel gran finale. I danzatori – qui veri atleti dell’arte – si muovono con una precisione quasi geometrica. Ma non è solo virtuosismo: è una dichiarazione d’amore per la forma, per il rigore della struttura, per l’ordine, per il lavoro invisibile dietro ogni arabesque perfetto, e la musica di Czerny ne è il palpito.
Dopo l’intervallo è la volta di Petite Mort di Jiří Kylián (ripreso da Elke Schepers): sei uomini, sei donne, sei spade. La morte, il piacere, la fragilità. Un capolavoro di equilibrio tra potenza e sospensione. Kylián lavora sul filo del gesto: pulito, elegante, ma sempre teso a qualcosa che sfugge. I corpi dialogano in un’alternanza continua di duetti intensi, momenti di immobilità e scivolamenti poetici. I fioretti – simbolo e oggetto scenico – diventano estensioni del desiderio, strumenti di distanza e contatto. Il titolo è un eufemismo per l’organismo, un momento di abbandono totale, tra diletto e mancanza. I costumi, essenziali e simbolici, amplificano il senso del pezzo: corpetti nudi e aderenti rendono le fisicità senza veli, mettendo in evidenza la fragilità materiale ed emotiva. Le gonne-scultura vuote da cui le donne escono evocano costrizioni sociali e ruoli imposti, da cui il corpo si libera. I colori neutri e linee terse spogliano la scena dal superfluo, focalizzando l’attenzione sulla movenza e sul corpo. Insieme, costumi e danza raccontano un’intimità profonda, fatta di bellezza, rischio e verità. Il finale è rarefatto, intimo, capace di accrescere la serata con un sospiro trattenuto.
Dopo un breve intervallo a mezze luci, a chiudere il trittico il crescendo ossessivo di Ravel trova nel Boléro di Béjart (ripreso da Gil Roman e Piotr Nardelli) la sua raffigurazione più carnale e cerimoniale. Un solo danzatore conduce – in questo caso l’applauditissimo Roberto Bolle – e un gruppo contrapposto in una spirale collettiva di tensione, desiderio, liberazione. Qui il corpo diventa simbolo: sensuale, potente, al limite della trance. La coreografia è un rito laico, ipnotico, che lascia lo spettatore sospeso tra inquietudine e magnetismo. Ogni gesto si ripete, si amplifica, si moltiplica: il tempo si dilata, la musica si fa assillo. È il momento più viscerale, e vista l’accoglienza del pubblico in termini di tributo, quello più atteso della serata.
Études, Boléro, Petite Mort: insieme formano un percorso che attraversa metodo, consuetudine e interiorità. Orchestrato dal M° Frédéric Olivieri il quale pone in scena non solo la danza, ma il suo senso più profondo: la tensione tra controllo e abbandono, tra regola e libertà, tra forma e passione.
Nota di merito ed elogio per i danzatori scaligeri, coesi e pienamente partecipi: ogni presenza (dal corpo di ballo sino all’alta gerarchia) ha contribuito alla forza collettiva del trittico. Applausi espansivi per Takahiro Yoshikawa al pianoforte capace di rendere la musica integralmente intrecciata all’azione, e per l’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala diretta da Simon Hewett con respiro teatrale e densità di colori.
Il Piermarini ha accolto l’evento in grande spolvero alla prima rappresentazione del 22 settembre 2025, con prestigiosi ospiti in platea e un pubblico numeroso in ogni ordine di posto, a conferma del fascino e del richiamo della serata.
Spettacolo che non lascia indifferenti, e che conferma come, ancora oggi, la danza sappia parlare il linguaggio universale del corpo – quando il corpo sa, con precisione, lasciarsi andare.
Michele Olivieri
Foto di Vito Lorusso © Teatro alla Scala
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