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Compagnia MK: suggestioni performative oltre il tempo e lo spazio

Compagnia MK: suggestioni performative oltre il tempo e lo spazio

 

Fondatore della compagnia MK, Michele Di Stefano intraprende la sua carriera nel mondo della danza con un bagaglio culturale sulle spalle colmato dagli studi universitari e la scena musicale punk/new wave degli anni Ottanta. Il suo debutto in qualità di coreografo avviene nel 1999 con e-ink, lavoro riproposto lo scorso anno dal progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreography anni Ottanta-Novanta). Lunga la sequela di collaborazioni, tra le quali si annoverano il duo performativo Sigourney Weaver, nonché i coreografi Cristina Rizzo e Fabrizio Favale nell’ambito della creazione della Piattaforma della Danza Balinese al Festival di Santarcangelo. Tra i suoi ultimi progetti vi sono Robinson, Il giro del mondo in 80 giorni, Quattro danze coloniali viste da vicino e Grand Tour. La compagnia MK è una delle cinque formazioni internazionali inserite nel libro Corpo sottile. Uno sguardo sulla nuova coreografia europea (Ubulibri, 2003). Michele Di Stefano è stato vincitore nel 2014 del Leone d’argento per la Danza alla Biennale Danza di Venezia.

Dalla sua biografia si deduce che lei, dopo gli studi universitari, sia approdato nella scena musicale punk/new wave per poi sfociare nel progetto/compagnia MK. Quali sono state le tappe di questa evoluzione del percorso?

Gli studi sono venuti dopo la band, e in questo senso la letteratura è stata un lungo respiro tra due desideri nei confronti del corpo scenico che in fondo avevano la stessa natura: necessità di invenzione da zero, complicità relazionale ed esposizione della corporeità come luogo possibile della creazione.

Acclamatissimo successo in tutti questi anni per la compagnia, sia in Italia sia all’estero. Che cosa ha dato e continua a dare la sua danza al pubblico che la segue?

Penso davvero che la domanda andrebbe rivolta al pubblico.

Guardando alle sue ultime produzioni (Robinson, Il giro del mondo in 80 giorni, Quattro danze coloniali viste da vicino e Grand Tour) è inevitabile notare il riferimento ad alcuni classici della letteratura e al concetto di avventura e sperimentazione. Che mi dice a tal proposito?

Quello che accomuna gli spettacoli elencati è forse una categoria, che è quella del romanzesco, dalla quale saccheggiare immagini che sono illustrazioni di una condizione di scoperta, necessariamente legata all’incontro con l’altro, alle possibilità che l’incontro apre in termini di ridefinizione dell’identità, fondazione di uno spazio comune, eccetera. Nel giro del mondo però l’incontro è continuamente rinviato per mancanza di tempo o è vissuto come incidente sulla strada della circolazione senza ostacoli ma in fondo è proprio questa distrazione dai propri obiettivi che favorisce l’avvio di una metamorfosi. Il Robinson di Defoe ha molto chiaro il proprio intento civilizzatore nei confronti di Venerdì ed è piuttosto il romanzo di Michel Tournier – Venerdì o Il limbo del pacifico – a ribaltare i termini dell’incontro, dopo aver fatto sprofondare Robinson nelle viscere dell’isola e averne così avviato la trasformazione. Allora, infine, quel che accomuna gli spettacoli elencati è lo spostamento, lo smarrimento nel paesaggio, la ricerca di un passaggio per procedere altrove o semplicemente un attraversamento senza ritorno che sembra il contrario del turismo.

Guardiamo all’ensemble, invece, della compagnia: com’è il suo rapporto con Biagio Caravano?

Biagio c’è sempre stato dall’inizio, nel pieno e nel vuoto per così dire. Non so davvero quantificare la fortuna di avere dei compagni di avventura così, con un istinto quasi telepatico nei confronti dell’invenzione di una materia corporea non codificata che necessita di metodo e di coraggio per ridefinirsi ogni volta.

Per il lavoro Hey ha collaborato col duo Sigourney Weaver, composto dallo stesso Caravano e dalla musicista/performer Daniela Cattivelli. Come è stata la fase di progettazione e creazione della performance?

Ho guardato al loro lavoro sul fischio e l’emissione di suono, all’imperturbabilità con cui Daniela si fa strapazzare da Biagio mentre canticchia Aloha aggrappata a un microfono e sono partito da lì per allagare la scena di continui tentativi di enunciazione. Danzare e dire, cantare. Risvegliare l’attenzione, cinguettare al pubblico. Una sorta di varieté collassato su se stesso e sempre sul punto di dichiararsi concerto o addirittura discorso alla nazione, ma in playback. E’ stato bello mescolare i piani e trovare continue assonanze nel rimescolio della sostanza sonora.

Mi parli della Piattaforma della Danza Balinese al Festival di Santarcangelo. Come annovera questa esperienza nel suo bagaglio emotivo e culturale?

La Piattaforma è un progetto curato da me e dai coreografi Cristina Rizzo e Fabrizio Favale, in forte complicità con il Festival di Santarcangelo. Quel che è stato, nella sua temporaneità, è soprattutto una modalità diversa di fare spazio ed esistere nell’invenzione del possibile, una coabitazione precaria e problematica tra artisti e tra artisti e pubblico, alla ricerca di nuove posture per questo appuntamento, adottando di volta in volta le strategie necessarie per non fare sistema o definirsi come formato. Quest’anno, per non irrigidirsi, si sposterà a Fabbrica Europa e si concentrerà su un momento pre-autoriale e pre-drammaturgico che stiamo cercando di far emergere per avviare le danze e dimenticarci di tutti i discorsi. E’ il nostro modo di invitare gli altri, soprattutto la responsabilità che ci assumiamo nell’invito. È quindi soprattutto un gesto di apertura, che ci coinvolge a tal punto nella sua improbabilità da lasciarci basiti per molto tempo.

Lo scorso anno è stato riallestito per il progetto RIC.CI il suo e-ink, lavoro d’esordio della compagnia. Che effetto le ha fatto ripescare dal repertorio questo pezzo coreografico e rimaneggiarlo dopo quasi 20 anni?

La caratteristica principale di e-ink è la sua origine scritturale, la precisione geroglifica della lingua che attraversa i corpi, composta millimetricamente e appoggiata altrettanto esattamente a un ritmo irregolare. La strana comicità involontaria del duetto viene proprio da questa sua minuziosità. Per cui non c’è stato un rimaneggiamento, ma un passaggio di informazioni quasi asettico ai due nuovi performer. Avevo ipotizzato che una partitura così precisa potesse agire come un virus nella materia corporea e trovare la strada per sbilanciare un equilibrio in favore di un altro, produrre una postura e una danza aliena ma allo stesso tempo riconosciuta dal nuovo corpo, proprio come si riconosce una febbre e di conseguenza ci si adegua fisicamente alla condizione del momento. L’efficacia di questo processo nel corpo e la sua capacità di rigenerare una comunicazione tanto elementare quanto intraducibile (e dunque estremamente diretta nell’evidenza del suo mistero) mi ha fatto ripensare a William Burroughs e ai suoi ragazzi selvaggi: language is a virus.

Nel 2014 riceve il Leone d’argento per la danza alla Biennale di Venezia. Una meritata ricompensa per gli sforzi di un’intensa carriera. Dopo due anni come vive questa gratificazione?

Con compostezza.

MK riceve dal 2010 il contributo del MiBACT. Oltre al mero ambito finanziario, sente che il Ministero sostenga anche – oserei dire – “ideologicamente” il suo lavoro?

E’ di fatto la riconoscibilità, sul piano del reale, della mia attività che permette una reciprocità e quindi un dialogo, ma mi sembra nella natura delle cose che il Ministero non debba esporsi ideologicamente ma solo confermare e sostenere andamenti che corrispondano ai criteri che informano i suoi programmi. O meglio, la coincidenza tra i due piani non è affatto scontata – se ho capito la domanda – ma dal punto di vista ministeriale deve esserlo assolutamente, per definizione.

Per concludere: la compagnia MK è tra le cinque compagini a titolo internazionale inserita nel testo Corpo sottile. Uno sguardo sulla nuova coreografia europea. Mi saprebbe dare una sua definizione di “corpo sottile”?

Quello che si infila nel portabagagli di un’auto in transito alla frontiera?

 

Marco Argentina

www.giornaledelladanza.com

Michele Di Stefano © M. Giovanna Mancini

Michele Di Stefano e Biagio Caravano / e-ink © Claudia Pajewski

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