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Gesti quotidiani, centri coreografici, nuovi progetti: intervista ad Ambra Senatore

"Aringa Rossa" coreografia di Ambra Senatore

Raggiungo Ambra Senatore al telefono, che tra una replica e l’altra, in mezzo a numerose riunioni creative, riesce a trovare il tempo di raccontarmi di sé, della compagnia e della nuova avventura che la aspetta in Francia con l’anno nuovo (insieme a una nuova avventura prima della fine dell’anno, cui fa cenno nelle righe che seguono…). Una coreografa che incanta sul palcoscenico mettendo in scena i piccoli gesti quotidiani, e una donna che contagia con il suo entusiasmo mentre racconta il suo lavoro, che abbiamo cercato di condensare in questa intervista…

Com’è arrivata alla danza contemporanea?

Studio danza da quando avevo cinque anni: ho iniziato con la danza moderna, cui si sono molto presto aggiunti il classico e il modern jazz. All’università ho poi incontrato dei docenti che mi hanno fatto studiare dal punto di vista storico e teorico la danza contemporanea e in Erasmus a Parigi l’ho conosciuta meglio: usavo il mio budget di studentessa per vedere più spettacoli possibile, e mi si è aperto un mondo. Non facevo corsi di danza a Parigi, ma facevo delle audizioni, che per me erano delle lezioni gratis, durante le quali però mi hanno selezionata! Perciò senza davvero deciderlo o prevederlo ho iniziato a lavorare e da lì è cominciato tutto…

Studi di tipo teatrale, il premio Hystrio lo scorso giugno…Quanto influisce il teatro nelle sue creazioni?

Gli studi di storia della danza non avevano dipartimenti specifici, perciò ero iscritta a Lettere, al corso che poi è diventato l’attuale DAMS. Erano quindi studi più teatrali, ma ho fatto la tesi e il dottorato in storia della danza, corso che ho anche tenuto come insegnante a Milano. Il mio lavoro coreografico è a cavallo tra danza e teatro, volendo usare una distinzione di generi che ormai però non è più d’attualità; è vero che i miei lavori rimandano al corpo e al movimento, perciò restano nell’ambito della danza, ma rimandano anche ad aspetti teatrali: pur non partendo da un testo scritto, spesso la parola è presente, così come una costruzione drammaturgica. Sicuramente la mia non è una danza astratta, lavora attorno alla vita quotidiana; non vorrei che fosse narrativa ma inevitabilmente, attraverso questi frammenti di vita, parla dell’essere umano.

Sono molto importanti nelle coreografie i gesti quotidiani…Da quale ricerca parte l’idea di una coreografia?

Di solito nascono da un desiderio maturato in molto tempo nel cuore e nella testa; ad esempio, l’idea di una coreografia del 2007 è nata da una immagine unita ad una frase di una canzone nel ’97! E in dieci anni l’idea è maturata, ha spinto e allora ho sentito il bisogno di lavorare attorno a quest’idea. O ancora: l’idea alla base dello spettacolo che ha debuttato nel settembre dello scorso anno è del 2009, e ha preso il suo tempo per manifestarsi tanto da indurmi a farla diventare spettacolo. Di solito ho delle immagini nella testa attorno cui devo costruire, oppure si affaccia un desiderio di tipo strutturale: la voglia di costruire un lavoro la cui struttura proceda per indizi, che via via compongono un puzzle, il cui contenuto arriva dopo; lo scopriamo in corso d’opera.

Come lavora su una coreografia?

Lavoriamo molto con improvvisazioni che partono da immagini, da giochi, da temi non narrativi, che portano a percorsi inattesi; ed è la bellezza di questo mestiere per come lo abbiamo impostato: trovare delle strade che portino ad altre inattese, come se lo spettacolo nascesse ed emergesse dallo spazio che gli hai lasciato. C’è molta spontaneità all’inizio, ma anche molta discussione e molto confronto tra di noi, in modo da sottolineare quello che ci è piaciuto e ritrovarlo per ripeterlo e farlo maturare, e in questo, davvero, devo molto ai danzatori con cui collaboro. Nell’ultima fase c’è poi la composizione di tutti questi elementi che sono emersi, per dare un senso unitario alla pièce, per non cadere nel rischio di presentare una serie di scene magari interessanti ma che non hanno un filo. Alcuni mi hanno fatto notare che in certi miei lavori c’è una tecnica cinematografica quasi di flashback, di deviazioni di senso…E grazie a queste tecniche, anche se il lavoro non piacesse, penso che il pubblico potrebbe comunque riconoscere un tessuto di base.

Cosa significa dirigere un centro coreografico nazionale?

Direi che non lo so ancora! Inizierò a dirigere a gennaio. Ovviamente mi sono informata, quando mi sono candidata e quando man mano il lavoro di candidatura è andato avanti. La candidatura consisteva in una lettera di presentazione, in un progetto e in un dossier sul lavoro svolto negli anni; dei 25 candidati, in 5 si arriva alla fase finale, in cui si ha un mese per presentare un progetto triennale completo. Un progetto per il quale ho fatto riunioni con rappresentanti delle istituzioni pubbliche, dei teatri del territorio, partner che potessero essere interessanti per il lavoro sul territorio con i cittadini e per il mio lavoro coreografico.

Un panorama molto complesso e legato al territorio quindi…

Un centro coreografico ha 3 vocazioni principali: il sostegno alla creazione e alla distribuzione degli spettacoli del coreografo che lo dirige; il lavoro sul territorio locale ma anche nazionale e internazionale, sempre coinvolgendo le persone per la diffusione della cultura di danza. È quello che chiamano mediation culturelle, e che portano avanti con un lavoro serio e sostenuto verso i cittadini: il lavoro coreografico trova un senso ed è ben strutturato perché si diffonde non solo tra addetti ai lavori ma perché incontra molto anche i cittadini, che di fatto lo finanziano, dato che sono fondi pubblici a sostenerlo. Il lavoro che immagino al Centro Coreografico Nazionale è volto a potenziare sempre più questa vicinanza delle persone alla coreografia; considero la danza un tramite, quello a me più vicino, per operare uno scambio, una condivisione umana, che ponga l’essere umano al centro.

Parlava di tre vocazioni…la terza?

Il terzo asse è il sostegno ad altri coreografi, che non hanno centri coreografici, che chiedono di lavorare nei nostri spazi concessi dal ministero anche affinché siano condivisi per periodi con altri coreografi. Questo per alcuni Centri Coreografici si sviluppa anche nella programmazione di spettacoli, ma non nel mio progetto: per i prossimi tre anni non programmeremo un festival o una stagione, ma accoglieremo tanti coreografi per prove, sharing, discussioni col pubblico, e li aiuteremo nella diffusione dello spettacolo finito attraverso relazioni con altri luoghi dediti invece alla programmazione, in modo che abbiano la certezza di poter andare in scena.
Questo terzo capitolo è quello più nuovo per me, ed è la cosa più dura: sono sempre stata io a chiedere sostegno, adesso devo scegliere chi sostenere ed è difficile perché ho molta voglia di poter sostenere altri coreografi, ma in tanti ci contattano e questo implica dover dire per forza anche molti no. Non so se riuscirò a farlo: so che alcuni dei no che diremo rischiano di determinare l’impossibilità di realizzare un progetto, ed è una responsabilità nuova e grandissima. È molto difficile, lo sapevo e mi ci sto già confrontando: anche se sono ancora attivi i precedenti direttori, stiamo già lavorando perché il centro da gennaio sia subito attivo col nuovo progetto.
Quindi dirigere un centro coreografico significa avere un rapporto con altri artisti, con i cittadini, con le istituzioni (e non voglio però che diventi un rapporto politico, di relazioni nocive, perché se così fosse lascerei il mio incarico. Certo il lavoro coreografico è sempre politico, perché è relativo alla polis, alla comunità dei cittadini, alla mediazione culturale, anche quando non si fonda espressamente su un lavoro di messaggi politici, ma non deve trasformarsi o entrare in giochi di potere politici).

Su quali progetti sta lavorando ora? Progetti futuri?

La compagnia col 31 dicembre passa tutte le sue attività al Centro Coreografico Nazionale, e riaprirà quando terminerò il mio incarico. Avevo iniziato una creazione per il 2016, prima di immaginare la candidatura, e la continueremo, per un debutto nel settembre/ottobre 2016. C’è già in cantiere una creazione 2017, che ho nel cuore, e che per come funzionano questi progetti in Francia devo già costruire per avere dei fondi per la produzione: il Centro Coreografico Nazionale ha dei buoni fondi, ma in piccolissima parte servono alla produzione degli spettacoli, dato che garantiscono il sostegno ad altri coreografi, la mediation e i salari di un’équipe che non avrei intenzione di cambiare facendo tabula rasa, visto che per ora stiamo lavorando bene.
Stiamo costruendo questa creazione 2017 dal punto di vista produttivo, con tempi un po’ strani ancora visto che mi divido tra il prossimo nuovo incarico, la compagnia e la gravidanza…

E dal punto di vista artistico come sarà la creazione 2016, i cui tempi si sono necessariamente allungati, ma che è ancora in lavorazione?

Il lavoro per il 2016 è parecchio teatrale: la creazione di MattonciniPetits Briques del 2015 fatta di una serie di scene brevi e autonome ha aperto le porte per la nuova coreografia: si mettono insieme questi mattoncini e altri che verranno e si costruisce la casetta! Non è un banale collage, certo il materiale di Mattoncini si modificherà, si amplierà molto, però sarà una base di partenza. Pièces, è il titolo provvisorio, che in francese significa sia “pièce teatrali” sia “stanze”, e siccome questi mattoncini sono momenti di vita quotidianissima in contesto domestico, è calzante il termine “stanze”, anche se Pièces rischia di essere forse un titolo banale ed usatissimo. Per ora coinvolge 4/5 interpreti in scene di serate tra amici fatte di dialoghi scomposti, ricomposti, straniti…
La creazione 2017 è pensata al momento per sette danzatori, molto danzata e caratterizzata da cambi repentini di scena che diventino nuovi incontri, con un punto di vista cinematografico che vorrei approfondire su più livelli…ma non ti svelo altro!

Greta Pieropan
Foto: compagnia
www.giornaledelladanza.com

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