Nato a Brindisi, Danilo Palmieri, dopo aver frequentato l’Accademia Nazionale di Danza, nel 1995 vince una borsa di studio alla Royal Ballet School di Londra e l’anno successivo è ammesso alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala dove ottiene il diploma nel 1998. Nello stesso anno comincia la sua esperienza professionale al Ballet National de Marseille, diretta da M.C. Pietragalla. Nel 2001 inizia la sua collaborazione in qualità di solista con la compagnia AENAON diretta da Daniel Lommel. Nel 2002 torna al Teatro alla Scala per poi raggiungere la compagnia di Joseph Russillo al Teatro Regio di Torino. Nel 2005 comincia la sua collaborazione con Gheorghe Jancu che crea appositamente un assolo nel Sogno di una notte di mezza estate di B. Britten, per la regia di Pier Luigi Pizzi, andato in scena al Teatro Real di Madrid. Viene in seguito invitato dalla compagnia Scaena Ballet diretta da Carmen Roche nella produzione Lo Schiaccianoci. Dal 2006 è invitato in molteplici produzioni internazionali, lavorando con coreografi quali Gheorghe Iancu, Renato Zanella, Hugo Viera, Lynne Pag. Tra le sue partner di Myrna Kamara, prima ballerina del Miami City Ballet. Artista poliedrico e versatile, si esibisce come Principal Guest Performer e tiene inoltre stages e aster class in Italia e all’estero. In questa intervista esclusiva si racconta al Giornale della Danza.
Quando ha iniziato a danzare e quando è maturata in Lei la decisione di abbracciare la danza come professione?
La mia vita artistica nasce sin da piccolo, all’età di sei anni circa, dedicandomi al canto, partecipando a vari concorsi canori regionali e nazionali, esibendomi in RAI in una trasmissione come ospite fisso promuovendo il mio disco. Da lì si sono susseguite varie proposte, in alcune trasmissioni televisive e radiofoniche, un piccolo tour promozionale. La Danza è arrivata successivamente, all’età di dieci anni. L’idea di dovermi esprimere solo ed esclusivamente con la voce mi faceva sentire incompleto, quindi decisi di iscrivermi all’Accademia Nazionale di Danza a Roma. Successivamente vinsi una borsa di studio alla Royal Ballet School a Londra e nel ‘98 mi sono diplomato alla Scuola di Ballo del Teatro la Scala.
Quali sono stati i momenti più significativi della Sua carriera?
Ce ne sono stati tanti, ma uno in particolar modo, subito dopo aver terminato la mia collaborazione col Balletto di Marsiglia mi trasferii a Parigi e lì, in occasione di una audizione presso il Centro Culturale del Belgio, ho avuto il piacere e l’onore di conoscere Daniel Lommel, ex étoile della compagnia “Ballet du XX Siècle-Maurice Bejart”. Fin da subito ha creduto in me e devo dire che non solo mi ha cresciuto artisticamente ma mi ha formato umanamente. Abbiamo collaborato per molti anni portando in scena nuove coreografie ispirate a pittori come René Magritte, Bran Bogart e altri pittori contemporanei, in Belgio, Francia e Grecia. Daniel Lommel è stato fondamentale e, senza esagerare, posso dire che è stato un secondo padre per me. Poi, nel corso degli anni, ci sono stati vari incontri importanti, da Marie-Claude Pietragalla a Gheorghe Iancu, con cui ho lavorato diversi anni assieme al Maestro Pier Luigi Pizzi. Un altro incontro molto importante per me è stato quello con Myrna Kamara, étoile dell’Arena di Verona, con cui ho danzato in alcune produzioni, tra cui l’Aida e la Carmen con le coreografie di Renato Zanella all’International Tokyo Dome, in occasione del Gala Placido Domingo nel 2010
Oltre ad essere un danzatore, è anche coreografo, quali sono le Sue maggiori fonti di ispirazione?
Sono una persona estremamente curiosa, follemente innamorato dell’arte in genere, interessato a tutte le forme di creatività e di espressione estetica, perché tutte hanno la capacità di trasmettere emozioni e ciò che mi emoziona per me è fonte di ispirazione.
Arte a parte, traggo ispirazione da tante cose, dai miei viaggi che mi danno la possibilità di rimanere in contatto con la natura e con gli animali. Tutto ciò è bellezza e io mi emoziono!
Le necessità di distanziamento sociale imposte dalla pandemia COVID-19 hanno costretto gli artisti alla necessità di utilizzare i mezzi digitali per poter continuare a creare e restare in contatto con il pubblico, come vive questa dimensione?
Purtroppo, viviamo in un momento estremamente complicato che mette a dura prova la vita di noi artisti e la nostra creatività. Personalmente credo che in alcuni casi i mezzi digitali a disposizione possono in minima parte aiutarci a mantenere il contatto col pubblico.
Il teatro ha bisogno di vivere, deve vivere, gli artisti tutti hanno bisogno del contatto diretto con il pubblico, non si può fare tramite webcam, è frustrante per molti di noi.
Di recente ha creato “Cold Blood” per il progetto “The Naked Truth”, ideato da Joshua Royal per combattere lo stigma legato all’HIV. Può parlarci della genesi di questo suo lavoro coreografico?
Il video Cold Blood è nato e per sostenere il progetto The Naked Truth trasmesso in live streaming il 1 dicembre 2020 in occasione del World Aids Day e Stigma. L’idea che avevo in mente sin da subito era quella di girare un cortometraggio e raccontare in tutta la sua tragicità la sofferenza, il dolore, senza troppi giri di parole. Volevo dare un messaggio chiaro e forte, a tratti anche molto forte. Ma era quello che volevo sin da subito e il risultato è stato esattamente fedele all’idea. Per dar vita a Cold Blood, senza esitare, ho contattato Francesco Biasi, giovane coreografo videomaker pugliese, persona di grande talento e di profonda sensibilità. Ci siamo incontrati e lui ha accettato con molto entusiasmo di collaborare a questo progetto assieme a Fabrizio Suma, cameraman fantastico. Seguivo la vita artistica di Francesco Biasi da tempo e ogni volta ne rimanevo estasiato. La sua visione introspettiva a tratti sofisticata ma intima allo stesso tempo per me erano un chiaro messaggio, mi colpivano l’anima, i suoi messaggi sono diretti. Era questo di cui avevo bisogno e per questo mi sono completamente affidato a lui, gli ho dato carta bianca. Sicuramente avremo altre occasioni, perché ho qualche idea su cui sto ancora lavorando.
Qual è il significato profondo di “Cold Blood”?
Probabilmente credo che solo chi soffre può realmente dare un significato vero e autentico, credo sia un dolore lacerante e devastante. Io ho cercato più che altro di dare un messaggio, una visione e spero una speranza a tutte le persone che soffrono.
Crede che la danza abbia il potere di sensibilizzare?
L’arte in genere e la danza hanno questo potere, sono fermamente convinto di questo, ma ci vuole forza coraggio e tanta volontà per abbattere certi pregiudizi. Soprattutto in Italia, se ne parla sempre troppo poco di HIV/AIDA e stigma.
Crede che la danza abbia il potere di cambiare il futuro?
La danza è cultura, storia, tradizione, fa parte di noi, non so se cambierà qualcosa onestamente, ma sicuramente aiuterà ad evolverci.
E cosa potrà cambiare il futuro della danza?
L’importanza di individuare e accogliere le tematiche che emergono. La trasformazione creativa può far nascere la possibilità di muoversi in modo autonomo e personale. Riguardo il percorso formativo, dipende sempre dal lavoro e dal bagaglio e dall’esperienza ovviamente dell’insegnante.
Crede che gli artisti abbiano una missione di speranza in un momento così difficile quale quello che stiamo vivendo?
In questo momento vedo purtroppo molta incertezza, frustrazione, si è in balia delle onde, tutto questo è preoccupante e fa molto male. Bisogna cercare in qualche modo di essere produttivi e tenersi artisticamente, mentalmente impegnati, creare, sviluppare nuove idee ed essere pronti per una nuova e tempestiva rinascita, perché prima o poi ritorneremo a danzare.
Lorena Coppola
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