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La danza è un regalo di Dio: intervista a Bella Ratchinskaja [ESCLUSIVA]

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Bella Ratchinskaja frequenta e si diploma con onore presso l’Accademia di Stato del Balletto di Perm. Successivamente partecipa al concorso dell’URSS per giovani ballerini e si trasferisce a Leningrado dove intraprende la carriera di ballerina classica presso il teatro. Dal 1972 è Solista presso la compagnia “Choreographical Miniatures” diretta da Leonid Veniaminovic Jakobson dove spazia tutto il repertorio dei canoni classici e gode del prestigio coreografico personale. Ottiene diverse premiazioni per i successi ottenuti durante le tournée internazionali. Negli stessi anni comincia a muovere i primi passi nella creazione coreografica ricevendo consenso dal pubblico sovietico. Nel 1976 viene ammessa al corso di laurea in pedagogia del balletto classico presso l’Accademia Vaganova che termina con il Diploma d’onore ottenendo il massimo dei voti e il titolo ufficiale di Pedagogo del balletto classico, delle danze storiche, di carattere e repertorio. Subito dopo entra a far parte del corpo docente dell’Accademia Vaganova e parallelamente avvia una fervida collaborazione con il Ministero della Cultura della Mongolia portando lì l’educazione e la metodologia del balletto classico della scuola Vaganova. Nel 1989 viene premiata con il Diploma e Simbolo del Ministero della Cultura dell’URSS e della Mongolia per il merito professionale ottenuto. Nel 1989 si trasferisce a Milano dove lavora al Teatro alla Scala in qualità di “maître de ballet” e insegnante di danza classica presso la Scuola di ballo del Teatro alla Scala. Negli stessi anni, sotto il protettorato del direttore del corpo di ballo del teatro Giuseppe Carbone, avvia il corso di formazione “maître de ballet” che ha le finalità di formare i futuri insegnanti del balletto classico. Dalla seconda metà degli anni Novanta riprende l’attività coreografica e un’attiva collaborazione con teatri e compagnie internazionali nelle produzioni dei balletti classici. Nel 1996 crea il “Class Ballet” per Sarasota Ballet Company of Florida, tra il ’97 e ’99 porta sul palco del Teatro Carcano di Milano numerosi saggi coreografici, nel ’99 collabora con la Compagnia de la Comunidad de Madrid sotto la direzione di Victor Ullate, nello stesso anno lavora su “La bella addormentata” per il Teatro dell’Opera di Budapest sotto la direzione di Gyula Harangozo. Dal 1999 al 2003 lavora come maître presso la compagnia del Wiener Staatsoper sotto la direzione di Renato Zanella curando soprattutto le produzioni dei balletti classici. Nel 2002 e il 2003 rispettivamente crea coreografie e prepara il repertorio per il “Nacht des Ballet Gala” e il “Fanny Elssler Gala” di Eisenstadt e nello stesso anno è ospite al Dutch National Ballet. Tra il 2004 e il 2011 riprende la collaborazione in Italia prima con il Teatro e l’Accademia di Danza dell’Opera di Roma e poi con l’Accademia di Ballo del Teatro alla Scala di Milano mantenendo sempre vivo l’interesse per l’attività coreografica e realizzando dei balletti classici e demi-caractére per gli allievi, tra cui “La balalaika magica” per il saggio all’Opera di Roma nel 2007 su musiche del folclore russo e per l’anno dopo “Colombine e Pulcinella” su musiche di Giuseppe Verdi. Negli stessi anni fa parte e presiede giurie in diversi concorsi di danza in Austria, Italia, Svizzera. Riceve riconoscimenti dalla critica e premiazioni per il contributo reso alla danza, tra questi il premio Petruzzelli e il premio Crisalide. Dal 1997 è patron della “Russian Ballet Association” con sedi in Svizzera, Italia, Inghilterra e Giappone. Dal 2012 lavora presso l’Accademia e il teatro dell’Opera di Vienna. In collaborazione con la direttrice Simona Noja realizza coreografie per gli allievi tra cui il balletto in due atti “Cipollino” andato in scena sul palco del Teatro dell’Opera di Vienna e il “Frühling in Wien” creato per il saggio dell’Accademia. Per il “Nurejev Gala” della Wiener Staatsoper, che tradizionalmente chiude la stagione artistica del teatro, allestisce “Laurencia” e “Paquita”.

Carissima Bella, mi racconti i tuoi primissimi ricordi legati al mondo della danza?
Mia mamma Margarita mi ha detto che iniziai a ballare prima di camminare. Mi ricordo che ero sempre in movimento e anche papà Vladimir era molto orgoglioso perché quando ci si ritrovava tutti in compagnia a tavola, anche con ospiti, lui mi chiamava e diceva “Bella vieni a danzare”. La prima cosa che imparai è stato Prisiadca, il plié della danza di carattere, studiavo questo passo ogni sera e non andavo a dormire se prima non lo eseguivo, ero una fanatica fin da giovane, avrò avuto quattro o cinque anni e vedendo questo movimento decisi di impararlo e una sera ballando, bene appunto, “Prisiadca” un ospite esclamò: “Ma questo movimento lo fanno solo gli uomini” e mi colpì moltissimo.

Nella tua famiglia sei stata l’unica ad aver scelto l’arte coreutica?
Era un periodo molto duro in Russia, dopo lo Stanilismo, eravamo andati a vivere al nord, un momento difficile. Mio papà Vladimir ad orecchio suonava tutti gli strumenti soprattutto la fisarmonica e mamma disegnava. Sicuramente avevo una predisposizione naturale però anche loro avevano quest’attitudine artistica; ma in realtà la mamma era una stenografista e papà lavorava nella costruzione degli aerei ma non era ingegnere perché nel post stanilismo, essendo lui metà ebreo, non gli era consentito studiare per ragioni politiche.

Poi come avvenne l’idea di studiare presso l’Accademia di Perm in cui ti sei diplomata?
Noi abbiamo vissuto a Vorkuta al Polo Nord ed io ero sempre malata di reumatismi e il dottore disse a mia mamma “Bella non può vivere qui, deve andare a studiare al sud”, però quando io ballavo già lì sul palcoscenico improvvisavo… un giorno sono venuti degli insegnanti dell’Accademia di San Pietroburgo (Leningrado in quel periodo) e vedendomi sul palco dissero: “Quando avrai dieci anni vieni a studiare a San Pietroburgo”. Mia sorella Lira era accanto a me ma io ero ancora piccola e risposi “Sì sì” ma poi naturalmente mi dimenticai fino a quando i dottori esclamarono che bisognava cambiare zona e allora mia sorella disse “Mamma ti ricordi che Bella era stata invitata a studiare danza nell’internato a San Pietroburgo?” e allora mia madre scrisse a Leningrado, Mosca e a Perm. Scrisse anche all’Accademia di Perm perché la scuola di Leningrado si era trasferita durante la guerra a Perm e queste erano le tre Scuole più importanti e prestigiose della Russia. Mosca rispose che non aveva l’internato, Leningrado disse che avevano pochi posti mentre Perm rispose di andare subito… fu così che partimmo, sostenni l’esame ma fu un “disastro” perché io ero totalmente piccola di statura, più bassa del tavolo, con la testa grossa dai tanti capelli ricci e in più la mamma mi mise in capo un grande fiocco, non corrispondevo alla ballerina classica e non possedevo i canoni accademici, loro cercavano allieve con una statura normale mentre io ero come una bambola, mi tenevano tutti in braccio. Anche quando viaggiavo non dovevano acquistare il biglietto per me perché tutti credevano che avessi meno di cinque anni mentre in realtà ne avevo quasi dieci anni. Comunque feci l’esame e fu una cosa particolare perché fino a quel giorno io non ebbi mai dubbi che non potessero prendermi, dato che ero talmente incosciente, e sempre sostenuta da tutti al di fuori della scuola. Quando entrai in sala davanti alla commissione (ora lo so esattamente cosa pensavano gli esaminatori, con il senno di poi) ma in quel periodo non nutrivo dubbi sulla mia bravura, e mi chiesero di ballare, io iniziai e dopo pochi attimi tutti i maestri erano sdraiati sul tavolo e ridevano perché io cantavo e ballavo in maniera del tutto particolare. Quando il direttore si recò dalla mia futura maestra, lei era ad Odessa per riposare, le disse “Guarda Sofia abbiamo preso una ragazza (me lo ha poi raccontato lei) che vedrai è molto interessante”. Quando successivamente lei mi vide in sala danza, dopo pochi attimi, quasi svenne… e disse “Dio Onnipotente non c’entra niente con la danza questa piccolina, non sta sui due piedi e si muove in continuazione”. Anche perché per fare il battement tendu sei su due battute quattro quarti e io non stavo su due piedi, saltavo, giravo, ma su due piedi proprio no e mentre eseguivo questo passo guardavo fuori dalla finestra la neve che scendeva e pensavo al suono della campanella affinché la lezione terminasse al più presto. In seguito questa maestra, Sofia Vladimirovna Iezilius, mi prese a casa sua e vissi con lei otto anni: è stata come una seconda mamma e se ho appreso tutto ciò che oggi conosco è solamente grazie a lei. Alla fine del primo anno durante gli esami volevamo bocciarmi perché ero un disastro totale però pensavano anche che riportarmi a Vorkuta non potesse essere la soluzione giusta per la mia salute e così decisero di temporeggiare e di affidarmi un ruolo in un balletto in teatro, quello di uno “gnomo” nell’opera di Edvard Grieg “Peer Gynt”. Mi misero un costume che era di alcune taglie più grandi della mia, per tutti i tre atti dovettero continuare a cucirmelo addosso perché lo perdevo, malgrado tutto ciò lo spettacolo fu un successo che mi cambiò totalmente. Questo cambiamento mi permise di divenire tra le migliori allieve dell’Accademia, ci fu una trasformazione dopo quello spettacolo, forse perché ebbi modo di vedere da vicino le ballerine professioniste in scena e il loro lavoro. Dio mi ha aiutata, sempre lui mi aiuta e mi salva in ogni situazione negativa!

Quali sono i ricordi più belli legati al giorno del Diploma?
Mi scrisse il mio direttore e mi consegnò il “Diploma Rosso” con lode e così potei avere accesso diretto in tanti teatri come a Mosca, a Kiev e a San Pietroburgo, tutto ciò grazie alla “lode”. Però io decisi di trasferirmi a San Pietroburgo perché mi vide il grande maestro e coreografo russo Jacobson che lavorò molto anche con Mikhail Baryskhinov. Mi vide in un Concorso di danza a Kiev, in quel tempo era Direttore al Teatro di Kirov, mi invitò ed io desiderai partire ma mentre terminavo gli ultimi corsi (settimo ed ottavo) lui perse quella carica ma diede vita ad una sua compagnia di danza, bellissima, in cui fece memorabili coreografie per la Makarova e per tutti i grandissimi danzatori dell’epoca. Jacobson fu un geniale coreografo e quando io finii la scuola volli andare da lui ma la mia maestra con la quale avevo vissuto mi disse: “Bella non è una città per te, perché tu hai una predisposizione per la tubercolosi, non puoi andare in quel luogo” ma io ho sempre avuto la testa dura e non ascoltavo nessuno, certamente sarei potuta andare a Mosca o a Kiev dove il clima era più secco e migliore ma alla fine decisi di seguire il maestro perché lui mi disse che mi avrebbe creato un balletto tutto intero per me… tu immaginati Michele questa piccola scricciola che non sapeva fare niente al cospetto di uno straordinario artista che ebbe la grazia di propormi un tale “sogno”! Così partii e una volta arrivata a San Pietroburgo il Governo mi diede un appartamento al centro della città nei pressi di piazza Vostania, una bellissima casa che divisi con la mia grande amica Irecka e poco distante sorgeva anche la casa di Jacobson: eravamo vicinissimi. Quando lui venne a trovarci ci portò delle scatole di cioccolatini e delle bottiglie di champagne, noi avevamo solo due sedie perché l’appartamento era vuoto e mettemmo lui a sedere e noi rimanemmo in piedi di fronte, come due buone allieve, dimenticandoci di aprire ed offrire lo champagne e i cioccolatini. Lui sapeva parlare benissimo, era un oratore fantastico, tant’è che parlò per tre ore e noi lì ad ascoltarlo in totale silenzio, senza spostare nemmeno un dito fino a quando lui perse la speranza di bere e mangiare dolci e ringraziando se ne andò. Il resto della compagnia dopo aver saputo che Jacobson era venuto da noi rimanendo “a bocca asciutta” disse “andiamo piccoline, perché il maestro ha portato da bere e allora tornarono a casa nostra e facemmo una grande festa, naturalmente con champagne e cioccolatini”.

Mentre del periodo in Accademia Vaganova a San Pietroburgo?
È stato un periodo bellissimo, naturalmente io iniziai a ballare perché Jacobson montò degli spettacoli per me e tecnicamente risultavo ottimamente preparata anche grazie alla scuola di Perm che era gemellata con quella di San Pietroburgo, perché metà dei maestri durante la guerra si erano dovuti trasferire in quella località ed io avendo studiato con loro avevo esattamente acquisito, alla perfezione, lo stile ed il metodo. Sono grata anzi gratissima alla mia bellissima scuola di Perm, ricordo che quando arrivai in Vaganova non ebbi nessun tipo di problema tranne quello della salute e del clima freddo e umido: avevo sempre il raffreddore e in seguito scoprirono che avevo contratto la tubercolosi. Mi dissero in ospedale, durante le cure, che per sette anni non avrei potuto più ballare e a quel punto pensai di buttarmi giù dal quinto piano della mia casa, salii sul tetto ma poi non ebbi il coraggio perché Dio mi salvò un’altra volta, infatti in quel momento in ospedale incontrai mio marito, il quale era venuto a trovare la sorella. Prima di allora non avevo mai avuto nessun interesse per gli uomini. Ero talmente piccola e magra che avevo avuto solo dei partner in scena “scomodi” e non sentivo sentimenti se non quelli artistici quando mi trovato in palcoscenico. In ospedale disegnavo sempre “occhi piangenti” perché era un momento tragico della mia vita e il mio futuro marito venne per salutare la sorella prima di organizzare una scalata in montagna. Ironia della sorte volle che la prima volta che lo incontrai fu quando si apprestava ad andare montagna e l’ultima volta che lo vidi fu quando riuscimmo ad andare in montagna soli noi due… Quel giorno lui mi disse “Verrai a trovarmi? io mi trasferisco nel Mar Nero, ho studiato un anno per scalare la montagna, ho tutti gli attrezzi necessari” e io gli ho risposi “Sì sì certo” ma mi dimenticai immediatamente di lui e dell’invito. Avevo solo il pensiero che ormai non potevo più ballare in quanto era l’unico forte desiderio: la danza era la mia vita. Mentre quando poi lui tornò dalla montagna chiese di me a sua sorella domandandole se avesse conservato il mio numero telefonico, fortunatamente lei lo aveva trascritto e così mi invitò ad uscire. La prima volta andammo al cinema e sulla strada di ritorno in metropolitana mi disse “sposiamoci”! In Russia, a quei tempi, era molto più facile sposarsi senza troppi anni di fidanzamento e io gli risposi: “Sposiamoci perché la mia amica è sposata”… non prendevo le cose seriamente!” Lui mi è piaciuto subito, era più grande di me e più esperto, un uomo altissimo (1 metro e novanta). Accanto a lui sembravo una bambina dell’asilo. Lui mi aspettò un anno finché io finissi le cure per la tubercolosi a spese del Governo russo. Immaginati Michele: sua madre piangeva, sua sorella anche perché il figlio e fratello voleva sposare una “ballerina”, malata di tubercolosi che per giunta aveva perso il lavoro. Immaginati cosa pensavano loro di me e di questo matrimonio!!!! Però da quel momento il Governo fu magnanimo con me tant’è che mi mandò a fare un corso di “maitre de ballet” alla Vaganova. Desidero chiarire che attualmente c’è un sistema molto più semplice ma prima finché non avevi ballato per vent’anni consecutivi e non possedevi il Diploma di studio professionale non potevi assolutamente accedere a questi corsi di maitre! Io non avevo danzato per vent’anni ma avevo ricevuto il famoso “Diploma Rosso con lode” in qualità di allieva e allora fecero un’eccezione. Sono molto grata a Olga Chenchikova moglie di Vassilis Makar la quale quando seppe di questa mia tragedia scrissero loro una lettera al Governo, il quale rispose positivamente. Ero circondata da tanto affetto e da gente che mi voleva molto bene, sarò grata loro tutta la vita e in occasione di quest’intervista desidero ringraziare pubblicamente Olga Chenchikova.

Ed in seguito sei diventata pedagoga?
Erano corsi molto belli, ricchi di arte e di nozioni insieme ad artisti diplomati che avevano ballato almeno per vent’anni… le lezioni si svolgevano dal lunedì al sabato, le materie erano danza classica, danza di carattere, passo a due, danze storiche, danze di ballo liscio e facevamo gli esami a metà anno e a fine anno accademico, sia scritto che parlato. Delle lezioni stupende che mi hanno aiutato tantissimo, anche i ballerini, miei compagni di corso, che avevano ballato vent’anni e studiato bene danza ma lo stesso necessitavano di approfondire lo studio perché i nostri difetti e i nostri pensieri venivano rimessi a posto. Il sistema di studio Vaganova, in aggiunta all’esperienza maturata in palcoscenico, faceva sì che si uscisse formati al cento per cento… perfetto! Sono molto orgogliosa e fiera di aver frequentato quest’Accademia perché, a mio avviso, un’altra Scuola come quella di San Pietroburgo non esiste al mondo.

Cos’ha apportato di innovativo, a tuo avviso, Agrippina Vaganova nell’apprendimento della danza e del balletto?
Prima di tutto ha apportato il “non improvvisare”, studiare attentamente le sequenze (ad esempio quella dei pliè e dei tendue per arrivare al battement affinché il muscolo si riscaldi con una giusta sequenza dei passi). Dal piccolo passo fino al grande passo per poi arrivare al centro; ogni anno aumenta la coordinazione nell’allievo. A quei tempi si studiava an dehors e an dedan che anch’io oggi non riesco più a insegnare perché manca il tempo, ma questo ti aiuta a sviluppare la mente. La maestra ci dava an dehors ma poi noi non facevamo pausa subito e il secondo gruppo partiva in an dedan e così ti ritrovavi per tutta la lezione impegnato: la docente teneva la lezione e noi allievi dovevamo provare ed ascoltare. Sai qual è la prima parola che ho imparato arrivando in Italia? “Stanco” perché mi ha colpito questa parola… Nessuno dei nostri maestri a San Pietroburgo ha mai chiesto “Siete stanchi?” perché se sei stanco a lezione vuol dire che non sei adatto. Anche quando dicono “sacrifici… mi fa male qua mi fa male là” lo trovo innaturale in quanto fare il ballerino non è assolutamente un sacrificio. Sacrificio è quando ti accorgi che non è la tua professione… andare in sala danza è un regalo. Quando studiavo mi dovevano “buttare” fuori dalla sala! Tanti momenti allegri ma anche tanti tragici e dolorosissimi, ho vissuto su e giù. Mi sembra un segno della mia vita: mia mamma Margarita mi ripeteva spesso “o ridi o piangi”! Ho sempre avuto una vita estrema…

I rapporti con la Mongolia come si sono sviluppati?
Loro sono venuti da noi in Accademia, io insegnavo anche per gli allievi esterni tipo quelli provenienti dalla Mongolia o dal Giappone. Loro erano bravissimi e carini. Avevo in sala un’allieva piccina di statura ma con una tecnica straordinaria e naturale nonostante la giovane età e con lei ho allestito la bambola di “Coppelia” per l’anniversario di Madame Dudinskaja, la quale compiva 75 anni… Lei in quel tempo aveva le ginocchia rovinate e malate, camminava storta, zoppicava e faceva molta fatica. La ricordo seduta sul palcoscenico per più due ore con la sfilata di tutti i danzatori con cui aveva ballato nella sua carriera, i quali la prendevano per mano invitandola a danzare. Lei ad un certo punto è salita in scena e ha ballato una mazurka girando e rigirando sul palcoscenico… questo non lo dimenticherò mai; possedeva un’energia incredibile! Ecco cosa significa il “vigore fisico” di un grande artista! Questo lo possiamo dire anche per Nureyev, per la Fracci ecc… Per i tempi di adesso è diverso, sicuramente tutto è cambiato! Noi abbiamo perduto qualcosa per sempre della tecnica del passato. Parliamo poco di interpretazione del ruolo, perché le produzioni, al giorno d’oggi, vanno fatte una via l’altra con diversi stili e non c’è il tempo necessario per lavorare sui piccoli ma fondamentali dettagli. Ho paura che vada persa la possibilità interpretativa; ricordo che in Vaganova, tra le altre materie, studiavamo anche la capacità attoriale (molto utile) ed i maschi studiavano scherma… una scuola meravigliosa!

In seguito sei arrivata a Milano, nel tempio del Teatro alla Scala…
Il periodo di Milano è stato interessante, lavoravo alla Vaganova e sono venute un gruppo di italiane che volevano organizzare una scuola a Brescia però io naturalmente risposi “no”. Poi il nostro grande maestro e ballerino Stakanoff parlò con loro e di rimando dissero che desideravano organizzare un’Accademia Vaganova: una specie di gemellaggio. Lui parlò con me e mi invitò ad andare. Ma in cuor mio sapevo di non poter lasciare la Russia perché in quegli anni c’era una forte crisi economica e alla fine accettai anche per poter continuare a pagare l’appartamento da poco acquistato. Con mio marito decisi di allontanarmi dalla Russia solo per un anno e lui rimase con nostra figlia la quale entrò dapprima a studiare alla Vaganova ed in seguito alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala di Milano laureandosi all’Università di Vienna. Cosicché partii ed arrivai a Brescia. L’impatto fu un’amara sorpresa perché vidi la scuola con il pavimento di cemento, bambini piccolissimi e mi domandai come potessi insegnare senza nemmeno conoscere una parola di italiano. In Russia abbiamo solo tre accademie, sicuramente ci sono anche altre scuole governative ma quando si parla di Accademia vuol dire: San Pietroburgo, Mosca e Perm. Venendo in Italia avevo sbagliato cosa intendessero dire per Accademia, infatti ad ogni angolo ce n’era una… Quando mi sono resa conto è stata una tragedia, anche alla scuola di ballo erano scontenti perché io lavoravo molto bene ma non riuscivo a comunicare verbalmente con gli allievi tant’è che chiesi se ci fosse qualcosa di più serio e loro mi indirizzarono alla Scala di Milano. Una volta arrivata al teatro scaligero incontrai un allievo il quale aveva studiato per un anno a San Pietroburgo così mi fece da interprete. Alla direzione in quel momento c’era De Warren il quale mi propose di tenere una lezione, al termine tutta la Compagnia fu molto contenta e anche il direttore disse “prima impari l’italiano e poi tra tre mesi firmiamo il contratto perché non puoi tenere delle lezioni senza sapere la lingua” oppure mi propose in alternativa un contratto per un anno presso la Scuola di Ballo. Allora io accettai subito la seconda offerta in quanto desideravo iniziare immediatamente a lavorare. Sono entrata in Scuola di Ballo con Anna Maria Prina alla direzione la quale, per fortuna, parlava russo. È stato un momento molto difficile ma non per la scuola ma bensì per me personalmente. Sentivo che non andavo bene, non capivo un cavolo, non sapevo parlare l’italiano, il sistema di studio era diverso dal mio abituale russo… malgrado tutto ciò fui comprensiva ed umile e mi misi a lavorare  con grandissimo impegno. Tenevo lezioni in tutti i corsi, sostituivo i docenti ammalati, lavoravo anche al sabato. Ad un certo momento la direttrice Prina mi chiese se conoscevo una buona pianista e così ne feci arrivare una direttamente dall’Accademia di San Pietroburgo, la signora Gianna Bolotova. Mi ritrovavo spesso a piangere perché venivo dalla scuola russa in cui era fondamentale curare anche le sfumature ma non potendo comunicare verbalmente con gli allievi mi sentivo inadeguata. Oggi sono migliorata e parlo l’italiano ma in quei giorni desideravo solo rientrare nella mia patria il più velocemente possibile. Nel frattempo però mio marito perse il lavoro di ingegnere scientifico, tutti gli istituti russi erano chiusi e così rimasi alla Scala e pian pianino mi ambientai. Oggi considero l’Italia il mio paese, lo sento con tutta la mia anima, conosco ogni sua bellezza paesaggistica anche grazie ai numerosi viaggi e sposamenti per gli Stage. Comprendo bene l’anima degli italiani perché stranamente assomiglia alla nostra. Mi trovo bene anche a Vienna dove lavoro da diversi anni e ho instaurato una bellissima amicizia con Simona Noja. Ci siamo conosciute quando ero maitre alla Staatsoper, nel 2000, mentre lei era prima ballerina e abbiamo preparato insieme il “Lago dei Cigni” e tanti altri spettacoli. Giorno dopo giorno è nata una bella e profonda conoscenza basata sulla stima e sul rispetto. Adesso lei è direttrice della prestigiosa Scuola dell’Opera di Vienna dove insegno anch’io. Un mio ringraziamento sincero va anche a Manuel Legris, direttore della Wiener Staatsballet, la compagnia di balletto dell’Opera di Vienna.

Purtroppo a Milano sei stata vittima di un brutto incidente stradale. Come ti ha cambiato la visione della vita?
Amavo molto mio marito, e abbiamo vissuto ventidue anni insieme, un principe di natura, ottimo compagno e splendido padre ma non lo dico perché non c’è più… era realmente così, benvoluto da tutti i quali conoscevano la nostra storia e le sofferenze per aver vissuto separati per lungo periodo. Era ingegnere scientifico ma non serviva più in quel periodo in Russia mentre l’Italia lo riteneva di un livello troppo superiore per trovare un impiego. Fortuna ha voluto che incontrai i signori Codini che sono stati grandi amici e ancora oggi mi aiutano. Anche a distanza li porto sempre con me, con grande affetto e gratitudine. Mio marito trovò lavoro nella loro azienda vicino a Milano, precisamente la “Disa” di Magenta. Grisha non parlando italiano è arrivato e ha lavorato per loro solo cinque mesi perché purtroppo accadde una grande tragedia. Il desiderio di mio marito era sempre quello di andare in montagna, non ci andava mai ma la sognava sempre. Quando arrivò in Italia non disponevamo di danaro per le lunghe gite, ma pensammo di poter fare una passeggiata in giornata, camminando sui monti, così acquistammo le scarpe e ci recammo in provincia di Lecco, era il 15 febbraio, un periodo secco con un caldo anomalo, l’erba sembrava paglia, lui mi abbracciò forte e pensai “Dio non voglio più niente dalla vita dopo questo abbraccio” mi sentivo al settimo cielo, in Paradiso. Abbiamo proseguito la camminata, lui portava lo zaino mentre io salivo come un topolino aggrappandomi con le mani e sono arrivata velocemente, ho iniziato a meditare e ho scoperto che lui non c’era, ho iniziato a cercarlo e improvvisamente ho guardato giù dal precipizio dall’altra parte e ho pensato che poi non era così piatto come avevamo pensato, ho iniziato a correre intorno e poi l’ho visto esattamente come l’avevo scorto la notte precedente. Ma non era un sogno premonitore era peggio, mentre lui dormiva sono entrata nella stanza, l’ho baciato e l’ho visto esattamente nella stessa posa e ho pensato “magari lo bacerò così per l’ultima volta”… presi uno spavento che non ti dico ed ebbi una reazione stranamente forte e non dormii. Alla mattina volevo rimandare il viaggio ma acconsentii ad andare perché lui era felicissimo della gita. Durante la notte avevo avuto tanti segnali negativi ma io non li ho compresi… Tutti pensano che gli artisti sono sensibili ma “Dio mi aveva detto tutto e io non avevo capito”! Poi è iniziato il calvario, ma ciò che mi ha salvato è stato il lavoro. Nella vita dicono che sono dolce e pazza ma quando entro in sala danza c’è qualcosa assolutamente di diverso, un’energia fortissima… la danza è la mia vita e mi sento libera e tranquilla. Quando è successo il secondo incidente, che ha coinvolto la mia persona, è stato anch’esso una cosa strana. Avevo deciso di dare una svolta professionale alla mia vita entrando alla Scala con il direttore Fréderic Olivieri. Il giorno di San Valentino mi ero vestita elegantemente ed ero andata al cimitero a trovare Grisha (il nostro è stato un grandissimo amore) e poi non mi ricordo bene, sono stata investita e sono entrata in coma. Quando mi sono svegliata mi hanno detto “signora stia tranquilla lei ha avuto un incidente e io ho risposto subito ‘dov’è mia figlia?’” ma lei era già lì con me in camera. I dottori mi hanno salvata, mi hanno ricucita, mi hanno fatta rinascere e sono stati veramente eccellenti. Non ho avuto dolore perché quando mi hanno svegliata non sapevo nemmeno di essere stata vittima di questa tragedia incredibile. In seguito non mi sono mossa per cinque mesi, sempre sdraiata ed immobile… i dottori italiani hanno fatto un miracolo!

Cosa avvenne una volta ristabilita dall’incidente?
Non sono mai stata gelosa di nessuno e ho sempre trovato persone meravigliose. È difficile cambiare rotta e dopo cinque mesi che non lavoravo con l’affitto da pagare e il mutuo che avevo aperto a Vienna… i soldi mancavano e allora ho telefonato a tutti i miei allievi che conoscevo e ho tenuto uno Stage sul Lago di Garda. Sono entrata in sala danza con i bastoni e nel momento in cui la mia pianista ha iniziato a suonare ho abbandonato scordandomi le stampelle e ho incominciato ad insegnare. Mia figlia Dasha mi ha rincorso dicendo “mamma i medici ti hanno detto di non lasciare mai i bastoni”!!! Questo è il significato della nostra professione in quanto la danza non è un sacrificio ma un dono e un immenso regalo di Dio.

Michele Olivieri
www.giornaledelladanza.com

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