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“Un’estate con…” – Sabato con Giuseppe Carbone

(Intervista del 1 dicembre 2010)

Un’intervista breve ma molto intensa: sono questi gli aggettivi da usare per descrivere il dialogo condiviso con il Maestro Giuseppe Carbone: una persona posata, molto precisa ma soprattutto innamorata della danza e di tutto ciò che fa in questo ambito. La sua storia non lascia spazio all’immaginazione e, a dir la verità, quasi intimorisce, tanti sono gli studi, le esperienze e soprattutto le coreografie che il Maestro ha creato in tutti questi anni. Un dialogo che mi ha lasciato un vero ed unico principio: i veri “grandi” non si vantano affatto di quello che hanno fatto….pensano sempre a cosa possono creare per migliorare ciò che hanno compiuto. Giuseppe Carbone ne è l’esempio lampante.

La sua carriera è veramente lunghissima: formatosi prima alla scuola dell’importantissimo Teatro alla Scala, ha poi proseguito come ballerino, direttore del corpo di ballo e coreografo in numerose città europee. Ha, però, iniziato da piccolo. Con quale approccio si è avvicinato alla danza e soprattutto: è stato amore a prima vista?

Può sembrare strano, ma mi sono avvicinato alla danza quasi per caso. Io volevo diventare cantante e attore, poi però ho iniziato le lezioni di danza…e non ho più smesso! Mi sono appassionato sempre di più ed è, brevemente, diventata la mia professione…credo sia fantastico fare delle proprie passioni un lavoro, ed è quello che è successo a me.

Nel corso della sua carriera, Lei ha potuto vedere, toccare con mano e soprattutto partecipare all’evoluzione della danza: i movimenti che i ballerini portano in scena oggi non sono gli stessi di alcuni decenni fa. Da che cosa crede siano stati causati questi cambiamenti?

Più che cambiamenti, sono vere e proprie evoluzioni, piccole modifiche dovute essenzialmente all’avvento di danzatori provenienti dall’Europa del Nord e dell’Est. Nei balletti degli ultimi anni, la qualità del movimento si è alzata tantissimo, proprio per la presenza di scuole ed accademie molto attente alla preparazione dei propri danzatori, che passo dopo passo si sono affermati nei più importanti teatri del mondo. Uno spazio deve anche essere lasciato alla fluidità del movimento, che con il tempo ha subito delle modifiche…insomma: la danza si muove, cambia e si fa modellare dai ballerini che portano il loro bagaglio culturale e soprattutto fisico e di preparazione.

Lei continua a svolgere l’attività di coreografo: quando crea uno spettacolo, che cosa cerca di far trasparire con le movenze di chi balla la Sua “creazione”?

Quando metto in scena uno spettacolo cerco sempre di toccare una problematica sociale che permetta agli spettatori di riflettere: i ballerini che danzano devono trasmettere la loro personalità ma soprattutto emozioni forti. È un lavoro molto difficile e complesso: i danzatori devono dare il massimo ma il coreografo deve comunque preparare la compagnia nel miglior modo possibile. È difficile ma non impossibile e non lo nego assolutamente: adoro poter mandare dei messaggi carichi di significato a chi assiste alle mie opere e soprattutto adoro questo lavoro!

Negli ultimi anni si parla molto delle difficoltà che il nostro paese sta affrontando in ambito artistico: alcuni teatri, templi sacri del balletto e dell’opera, non hanno abbastanza fondi per proseguire la loro attività e, nel peggiore dei casi, sono costretti a chiudere. Molte compagnie non possono più esibirsi e tantissimi danzatori non hanno più un lavoro. Qual è, secondo Lei, il vero problema del nostro paese?

In Italia, al termine di un’esibizione, cala il sipario…e non si sa, purtroppo, cosa potrà succedere il giorno dopo. Nel nostro paese, in effetti, manca un progetto ben definito sulla danza: abbiamo ottime accademie e teatri, ma non c’è una progettualità che ci permetta di scommettere di più anche sul nostro paese. Conosco molto bene la Germania e posso dire con certezza che in un paese come questo, apparentemente freddo ma ricco di cultura e tradizione, c’è un vero e proprio piano per l’arte della danza: ci sono 38 teatri d’opera per balletto e fittissimi calendari che costantemente vengono proposti. Ho avuto l’opportunità di lavorarvi, prima come danzatore e poi come direttore del Corpo di Ballo dell’Opera di Bonn, ed è stato un periodo molto bello della mia carriera e soprattutto della mia vita.

Lei è padre di tre figli, tutti danzatori. Lei e Sua moglie, Iride Sauri, ballerina ed insegnante, avete spinto i vostri figli a svolgere questa professione?

Non li abbiamo mai obbligati, sicuramente si sono avvicinati alla danza più velocemente proprio perché l’ambiente che li circondava era proprio questo. Hanno studiato danza con la mamma e quando ci siamo trasferiti a Milano, nel 1991, sono entrati all’Accademia del Teatro alla Scala ed hanno iniziato il vero e proprio studio, quello più “accademico”, appunto. Hanno sempre e comunque fatto quello che si sentivano di fare…evidentemente la loro indole li ha spinti verso questo mondo bellissimo!

Beatrice è ballerina solista alla Scala, Alessio premier danseur all’Opéra di Parigi: vi chiedono mai consigli di natura tecnica?

Certo! Continuano a studiare la tecnica con la madre, mentre con me preparano i grandi ruoli. È molto bello poter condividere le passioni, la propria professionalità e soprattutto trasmettere tutto questo ai propri figli, che a loro volta esprimono tutto questo quando si esibiscono. Sono delle grandi soddisfazioni.

Una piccola curiosità: Lei si allena ancora alla sbarra?

Dovrei farlo ma mi limito ad insegnare, anche se ammetto che un po’ di esercizio mi farebbe molto bene!

Un messaggio per chi si avvicina alla danza?

Danzate perché è una cosa bellissima…a cui non si può rinunciare!

Valentina Clemente

Nella foto in home page: Alessio Carbone, Beatrice Carbone, Alvise Carbone, Iride Sauri e Giuseppe Carbone

Foto di Nicola Allegri

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